Biennale di Architettura a Venezia

E' finito il tempo della ricerca del bello ideale. E così a Venezia Massimiliano Fuksas fa i conti con il Web inaugurando la Biennale Architettura al motto di "Meno estetica e più etica".
 

Miniera di idee

di Antonino Saggio Home
"Diario" Anno V n. 23 8-5 luglio 2000 pp. 48-49 e cfr.  Dossier "I Biennarchi"

Preceduta da un paio di giorni dedicati alla stampa e agli addetti ai lavori, il 18 giugno si apre al pubblico la "Sezione Architettura" della Biennale di Venezia.

Chiuderà il 29 ottobre e sarà visitata da almeno 200mila persone. Centinaia gli architetti invitati a vario titolo da tutto il mondo, decine i padiglioni che ospiteranno mostre tematiche curate dai singoli paesi, molti i luoghi interessati nella città: dagli storici Giardini, agli spazi recentemente acquisiti delle Corderie dell’Arsenale, a luoghi "non deputati" come le stazioni dei vaporetti.

Come orientarsi, cosa cercare, come confrontarsi con un evento di tale estensione e importanza?

Una delle possibilità è quella di cercare, nelle singole scelte e nelle molteplici occasioni, i principi guidi con cui questa edizione è stata costruita.

Il primo assunto di Massimiliano Fuksas (direttore e curatore della esposizione, e anche architetto scomodo, di successo internazionale ma per molti anni ostracizzato dall’establishment culturale italiano) è che arte e architettura appartengono a un’unica sfera.

Da ciò deriva che questa Biennale di architettura avrà un grado di contaminazione e di sovrapposizione con le altre modalità dell’operare estetico mai raggiunto nelle edizioni che si sono succedute dal 1980.

Video, arti plastiche, pittura, grafica, performance, musica, cinema, fotografia saranno presenti e frammiste. Ad esempio nei rinnovati e finalmente acquisiti spazi delle Corderie, limitrofi agli storici Giardini della Biennale, vi sarà un muro lungo 258 metri e alto cinque su cui saranno proiettati frammenti dalle situazioni metropolitane di tutto il mondo.

Se l’architettura si arrocca in una sua presunta autonomia disciplinare è isolata, sconfitta e ininfluente, come è oggi in Italia. Se si apre ad altre manifestazioni del sentire e del pensiero contemporaneo può concorrere alla trasformazione. Questa tensione all’apertura è, d’altronde, tipica dei momenti in cui si cerca una presa di coscienza diversa sulla realtà. Era successo con l’Umanesimo (Brunelleschi, Donatello, Masaccio, Alberti) e anche nel momento di nascita della Nuova Oggettività industriale e meccanica (Gropius, Mondrian, Klee, Van Riteveld); si era vissuta una tensione simile negli anni Sessanta quando i fenomeni più forti della società di massa andavano emergendo e lo è di nuovo oggi che siamo negli anni della Rivoluzione Informatica.

Gli architetti d’avanguardia condividano con l’arte non tanto e non solo molte modalità espressive (che è una ricaduta facile e quasi immediata) ma è la stessa tensione "negativa" dell’arte che viene assorbita oggi dagli architetti. Dire "No" a quanto precede è un passo necessario per affermare un modo diverso di conoscere. E questo sguardo diverso sul mondo è imposto dall’accelerazione dei fenomeni che stanno investendo tutti. Globalizzazione, aree abbandonate dall’industria, squilibri planetari delle risorse, nuove alleanze tra natura e tecnologia, influenza nel paesaggio urbano e naturale della società delle informazione e della comunicazione.

Un avviso quindi al visitatore. L’architettura di oggi non può cercare il bello, il rassicurante, il già visto, ma si deve spingere in nuovi territori. Gli architetti non possono avere paura del brutto, come non ne ha paura l’arte stessa che al suo nascere (Michelangelo, Caravaggio, Manet, Picasso) contesta quanto precede per affermare un nuovo modo di conoscere e trasformare la realtà.

"Le cose brutte sono brutte. Le cose molto brutte a volte non sono più brutte" è il viatico che il direttore trasmette al visitatore per attivarlo, per renderlo partecipe.

Da questo discende che il primo tema che è "fuori" da questa biennale è la ricerca di un’idea di stile o di linguaggio quale fattore discriminante. Le scelte si spostano sui contenuti, sulle proposte, sulle nuove sostanze, non più sull’aderenza o meno ad uno stile. Se stile e linguaggio non sono più il centro, se la contaminazione è la tecnica di base, se la paura del brutto è rimossa, se la conoscenza avviene come per l’arte negando e ricominciando bisogna, allora, aprirsi coraggiosamente al nuovo.

"Siamo in un momento positivo, ma siamo anche in una situazione di chiusura, di egemonia. In un sistema internazionale tanto più globalizzato quanto più di regime". L’unico modo per "scappare da questo sistema di potere è aprendolo: il massimo di apertura e il minimo di chiusura". Queste volontà, espresse dal curatore già all’indomani dell’incarico, si rivelano in tre scelte chiave.

La prima è quella di avere architetti sconosciuti o quasi. Ci saranno, naturalmente, un certo numero di star. E molte di esse legittimeranno il loro ruolo con esposizioni basate su una tesi forte e nuova, piuttosto che sulla celebrazione dei successi passati, ma ci saranno moltissimi architetti nuovi o quasi. E sono questi i veri punti di forza: chi dalle lontane frontiere di una nuova Cina pensa ad un’immagine urbana mangiata dal bambù e chi riesce in cartone a fare un’architettura bella e forte che serve ai terremotati, chi esplora territori sconosciuti nelle aree rimosse dei territori persi delle metropoli e chi pensa ad un'architettura volatile presente ma non ostruente, chi indaga nuove strategie per le infrastrutture delle città e chi lavora a una nuova dimensione di interattività, mutabilità, trasformazione degli spazi grazie all’elettronica.

Questo punto ci lega alla seconda novità. Già da molti mesi la biennale di Architettura esiste "on line" con la creazione di un sito (http://www.labiennale.org/) che rappresenta una vera e propria miniera di idee per il rinnovamento. Interviste ad architetti, link, esposizioni interattive. Vi sono in rete alcuni degli architetti che esporranno anche al vero a Venezia, e altri che partecipano all’evento solo attraverso il web. Navigare e studiare questo sito è una risorsa aperta a tutti, che invoglia alla visita a Venezia, ma che ne è anche un possibile sostitutivo.

Infine, ed è la terza novità, vi è il concorso indetto parallelamente alla biennale e i cui esiti saranno resi noti all’apertura della manifestazione. Più di mille tra gruppi e singoli hanno aderito all’invito e tutto sarà disponibile e fruibile in rete. Si tratta quindi di una seconda esposizione la cui stessa virtualità ne costituisce la forza: architetti e artisti anche dal punto più lontano del globo possano verificare e incrociare le loro idee con quelle degli altri.

In fondo il titolo "More ethics and less aestetichs" riassume efficacemente questa esposizione. Vuol dire, con le parole di Fuksas, che "Bisogna diminuire la componente puramente estetica a favore di quella etica". Far capire che esistono contenuti, problemi e che l’architetto è parte di un processo generale e che "può comunicare quello che sta avvenendo nella società".

Ritrovare, smentire o arricchire questi temi, diventare dei cercatori attivi e critici nel grande dominio che la biennale on line e la città di Venezia offre nei tre mesi di apertura è un campo disponibile a ciascuno.

Niente può essere capito se non ci si interroga e non ci si sfida. Alcune domande, allora, possono essere i motori all’apertura dello sguardo: "Come è stata costruita questa Biennale? Cosa avremmo voluto al suo posto? Come ciascuno di noi avrebbe realizzato, invece, la propria?"
  
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