Rubrica di critica dell'architettura

SPAZIO COME SISTEMA
A proposito della Steinhaus di Günther Domenig

"Costruire", marzo 1999

di Antonino Saggio


Vent'anni fa Frank Owen Gehry creò per sé e la sua famiglia una addizione a una piccola casa in stile nei sobborghi di Los Angeles. La costruzione era realizzata con materiali disadorni presi dalla strada e montati con fare collagista e traballante. Si poteva pensare, allora, alla ricerca di uno stravagante artista-architetto senza possibilità di impatto nell'operatività seria e concreta dell'architettura. Sappiamo che il contrario si è rivelato vero. Con quella casa prendeva corpo il Cheapscape, e cioè la presa di coscienza del valore estetico del paesaggio povero, derelitto, disadorno. Se Gehry ha scelto per il celebrato Museo Guggenheim di Bilbao una caotica intersezione urbana, e se è riuscito a trovare nuovi spazi e forme in un'area abbandonata dall'industria, le ragioni affondano proprio nella sperimentazione iniziata nel 1978 con la propria casa. L'esempio, come altre case-provetta della storia dell'architettura, ci deve mettere perciò in guardia.
Oggi siamo di fronte a un'altra casa, anch'essa sperimentale e apparentemente altrettanto assurda di quella di Gehry. Si tratta della Steinhaus, la Casa di pietra, che l'architetto austriaco Günther Domenig costruisce per sé da ormai una decina di anni a Steindorf, in Carinzia, e di cui possiamo cominciare oggi a capire la rilevanza.
La casa ha una planimetria aperta verso l'esterno nella quale si inseriscono volumi distorti in cemento o acciaio a partire da un cilindro vetrato che emergerà direttamente dal sottosuolo. L' incrocio tra le masse crea percorsi e cavità, disarticolazioni e aggetti e tutto sembra nascere dallo stridere di masse rocciose che formano crepacci e voragini.
La casa è paesaggio, fa paesaggio ma Domenig più che alle periferie urbanizzate di Gehry torna a guardare direttamente alla natura.
Ma non si tratta affatto di una natura buona e madre, calma e accogliente, sensuale e dolce come quella di molte opere dell'organicismo nordico, ma bensì di una natura tellurica, cattiva, violenta, difficile e tormentata.
L'uomo della civiltà post-industriale ed elettronica non può non rifare i conti con la natura. Nuove produzioni basate sul trattamento delle informazioni liberano energie e possibilità (l'industria manifatturiera deve dominare e sfruttare la natura, quella delle informazioni la può valorizzare) e gli stessi progressi della scienza forniscono teorie meno romantiche di quelle di un tempo: i frattali, il dna, i quanti, le pulsazioni di un universo in espansione, le regole delle catastrofi, un essere della natura insomma inquieta e dinamica.
Domenig in particolare, e qui si ricollega alla ricerca espressionista tedesca, cerca di catturare un momento primitivo, una specie di caos iniziale. Per cui la sua opera è costitutivamente non finita. A una vista superficiale appare "distrutta" o "decostruita" in realtà essa presenta il suo stesso formarsi. Come se la vitalità dell'architettura sia un attimo prima della forma.
Questa casa non ha interno o esterno ma è pervasa da un sentimento unico.
Per anni siamo stati abituati a concepire il progetto "dall'interno all'esterno". Le funzioni creavano le spazialità dell'opera e queste si spandevano rivelandosi all'esterno. Ora questa idea di spazio interno come organo-motore dell'architettura, se ha portato grandi avanzamenti nel disegno dell'architettura, ha scontato limiti pesanti nel farsi della città.
Attraverso la concezione del paesaggio si comincia ad affermare invece una concezione di spazio fatto da compresenze, da socialità interagenti, da logiche concertate tra interno ed esterno. Insomma da una concezione di spazio come organo, ci stiamo avviando a una concezione di spazio come sistema.
Difficile strada da percorrere, ma crediamo la si percorrerà. D'altronde basta guardare ad altri lavori meno sperimentali dello stesso Domenig (per esempio l'ampliamento dell'università di Graz) per vedere come si stia già procedendo. Se da Gehry abbiamo capito la forza formativa del paesaggio povero e residuale, da questa casa possiamo cominciare a ripensare allo spazio, al fare spazio come rete continua interno-esterno.
Antonino Saggio