CRITICA DELL’ARCHITETTURA. I CONTENUTI DELLO SLOGAN
Costruire, n.198, Novembre 1999 (p. 32-33).
Lo Spazio "Tra". A proposito del Centro per le arti contemporanee Le Fresnoy, Tourcoing, Francia. Architetto Bernard Tschumi
http://www.tschumi.com/2frame.htm

di Antonino Saggio

Da almeno un quindicennio l’espressione in-between (in Italiano "il tra") è diventata ricorrente nelle discussioni tra gli architetti sostituendosi ai più antichi slogan "la forma segue la funzione", "il meno è il più", "il gioco sapiente dei volumi sotto la luce".

L’architettura non nasce più pura, nuova e sola, ma si incunea, riammaglia, attraversa ed è continuamente attraversata dal già esistente. Una delle prime esemplificazioni si ha nel Wexner center per le arti all’Università di Columbus dove Peter Eisenman (che all’in-between ha dedicato anche dei testi) conficca una costruzione-percorso tra due fabbricati esistenti. Si risparmiano così nuove aeree dall’edificazione e si creano spazi in sintonia con un generale interesse verso l’ibridazione e la complessità. L’operare "tra", per i suoi sostenitori e teorici, è infatti intimamente legato alla fase storica che stiamo vivendo. Se "i volumi puri" di Le Corbusier davano la direzione alla conquista del territorio da parte della civiltà industriale, l’in-between vuole appartenere alla civiltà post-industriale che ha sostituito l’implosione all’espansione.








Veniamo ora, con queste premesse, al centro Le Fresnoy completato di recente da Bernard Tschumi nella città francese di Tourcoing nell’ex regione carbonifera della Francia nord-occidentale e che dell’in-between è non solo pregnante, ma anche innovativa, applicazione. L’edificio voluto da Dominique Bozo e da Alain Fleischer si propone come Bauhaus del 21esimo secolo. È insieme una scuola d’avanguardia e un centro di produzione che contiene tra l’altro un centro di risorse multimediali, due cinema, un auditorium, studi di fotografia e musica, una grande sala per performance e mostre, una biblioteca, uffici amministrativi, ristorante e molti laboratori dedicati a settori innovativi quali l’immagine elettronica, il film, il video.

Tschumi è noto al pubblico internazionale soprattutto per il Parco della Villette a Parigi basato sull’applicazione di un altro dispositivo progettuale di questo fine secolo: il layering (cioè il dividere un progetto in più strati - edifici, percorsi, verde, illuminazione - ciascuno concepito autonomamente e rimontato insieme nel progetto con tecniche di discontinuità cinematografica). A Le Fresnoy, senza tralasciare il carico di rimandi all’arte, alla filosofia, alla musica e al cinema contemporanei, Tschumi scopre una nuova potenzialità degli spazi interstiziali. La novità è che invece di basare il progetto su meccanismi planimetrici (come è stato fatto molte volte dopo Eisenman), decide di basarsi sulle potenzialità della sezione.

Affascinato dalla spazialità interne create dalle capriate delle fabbriche esistenti, decide di non abbattere i fabbricati (come era possibile nel bando di concorso), ma di sovrapporvi una nuova grande copertura che li riunisce sotto un unico manto. Tra il metallico nuovo tetto e quelli preesistenti ricoperti in laterizio si apre uno straordinario spazio interstiziale, uno spazio entre-deux. È un luogo carico di fughe prospettiche divergenti (la citazione a Piranesi è d’obbligo) ed è intensamente abitato da camminamenti, da entrate alle aule nei sottotetti e anche di luoghi per stare o assistere ad avvenimenti magari dalle falde dei tetti esistenti che sono stati apposta rafforzati. L’in-between assume in questo innovativo progetto una declinazione che apre a pensieri sulle relazioni tra l’esistente e il nuovo, tra il passato industriale e il presente elettronico e mediale, tra la nostra idea di esterno e quella interno, tra i movimenti rigidi di un corpo meccanico e taylorizzato e i movimenti fluidi legati alle informazioni e alle interconnessioni. La grande idea dell’architettura sotto forma di paesaggio contemporaneo si arricchisce di una nuova declinazione ma soprattutto quest’opera, così intensamente "pensata" da un architetto-teorico, smentisce la parola slogan che per semplicità abbiamo usato all’inizio. L’in-between (come le più antiche frasi di Sullivan, Mies o Le Corbusier) rappresenta per gli architetti un vero e proprio strumento di lavoro. Un dispositivo per costruire il mondo.

Antonino Saggio