Antonino Saggio  I Quaderni
 
 

  

Densita' di rimandi

di Antonino Saggio

 

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Nel suo percorso Daniel Libeskind ha incontrato due volte la Storia. L'ultima e' con l'affermazione al concorso per il World Trade center dopo l'attacco terroristico delle torri gemelle. L'altra e' quando nel 1989, al crollo del muro di Berlino, e' al lavoro per realizzare un edificio simbolo della liberazione dal comunismo e della faticosa e dolorosa riconsiderazione degli errori della storia da parte del popolo tedesco. Ci riferiamo al Museo dell'Olocausto.

 

In questa occasione l'architetto concepisce   uno schema di folle e assoluta novita'. Il museo si trasforma in una linea spezzata e zigzagante nel suolo che e' prima compressa nel racchiudersi degli angoli e poi slanciata come una freccia aperta verso l'infinito. L'edificio parte dalla sede del museo preesistente e quindi si muove progressivamente sul terreno. A questa freccia si sovrappone un'altra figura rettilinea che la incrocia in piu' punti e la mette in ulteriore tensione. Gli spazi interni procedono linearmente, ma gli incroci labirinticamente si aprono a nuove possibilita', a nuovi percorsi, a nuovi drammatici bivi. Chi visita il museo scende e poi sale, si cala nelle fratture, scopre drammatici spazi a tutta altezza, si incunea nelle viscere, si immerge e riemerge. Altre linee diagonali e laceranti tagliano i volumi, vi girano attorno, rivelano drammaticamente la luce e aprono scorci negli interni.

 

 

Per la prima volta, con questa opera, e dopo molti anni, l'architettura affronta il dramma. L'architettura " comunica " , certamente, ma qui non e' una comunicazione facile. Non e' l'etichetta di minestra che Robert Venturi teorizza   di incollare ad una scatola amorfa per assecondare i consumi della nuova societa' di massa. E' un simbolismo, quello di Libeskind, che entra dentro le stesse fibre del fare architettura e che si appropria profondamente e drammaticamente della costruzione e dello spazio.

Libeskind diventa cosi' uno dei rari architetti che aiuta a misurarsi con le irragionevolezze del mondo e della storia. L'architettura, arte costruttiva, solida, razionale e certa per definizione, ha incontrato raramente nella sua storia questa deriva tormentata, difficile e crudele. Forse nei   cunicoli scavati nelle masse tufacee delle catacombe per proteggersi dal martirio, forse negli anfratti   tardo medievali, dalle cui grosse mura sembra quasi impossibile che possa trapelare il   bagliore di un risveglio, forse nella tensione autobiografica di alcune strutture di Michelangelo o nei macerati spazi di Borromini o nelle sovrapposizioni infinite di   Giambattista Piranesi. Nel Novecento il momento piu' alto di questo sentire l'architettura attraverso le irragionevolezze del mondo e della storia sono gli schizzi di   Mendelsohn tracciati in trincea mentre le bombe disegnavano le loro traiettorie e i gas si spandevano nell'aria.

 

Ma a parte queste pochissime eccezioni, l'architettura e' quasi sempre affermativa, positiva: e' vessillo di sicurezze invece che di incertezze, di speranze invece che di paure. Libeskind con il Museo dell'Olocausto rivela un'altra via: il modo di conoscere attraverso la sovrapposizione coerente dei sistemi e' svanito. La realta' puo' essere avvicinata solo come costante interconnessione di processi, di sistemi, di "strati".   E' la nostra percezione stessa che assomiglia sempre piu' a quella del palinsesto con i suoi layer liberamente, a volte casualmente e spesso drammaticamente sovrapposti. Il molteplice, il diverso, l'altro, sembra dire Libeskind, e' la nostra piu' grande ricchezza.

Libeskind arriva a questi esiti   attraverso un percorso che passa costantemente dentro e fuori paesi e culture e che si avvicina alla architettura con una strada eccentrica, senz'altro a-professionale nel combinare insieme musica, filosofia, grafica. Una autobiografia architettonica non solo intellettuale ma anche personale nella stesso essere il figlio di due genitori miracolosamente scampati dai campi di sterminio e parte di un popolo che vive da sempre il sentimento di un tempo e di una vita senza spazio di approdo certo.

 

Nato nel 1946 nella devastata Polonia del primissimo dopoguerra, Libeskind ha studiato in Israele musica per poi passare alla Cooper Union di John Hejduk e di Peter Eisenman, una facolta' di e'lite in cui si accede con borse basate sulla qualita' e non sul censo e dove e' proprio la provenienza da altri campi disciplinari che e' considerato il valore fondamentale per una preparazione che cerca la profondita' del pensiero che muove le scelte dell'architettura. Ma Libeskind dopo la scuola di architettura indaga ancora altri settori e si specializza in Storia e in Filosofia all'universita' inglese dell'Essex. Per buona parte degli anni Ottanta intreccia percorsi e discorsi:   e lo fa nei libri, in alcuni corsi e conferenze, nelle esposizioni come la Biennale veneziana del 1985 o la celeberrima mostra del Decostruttivismo del 1988. In questi anni e' impossibile definirlo usando canoni tradizionali o barriere delimitate. I luoghi si intrecciano con le esperienze: Milano, Como, New York, Londra. L'approdo,   per una lunga fase, non puo' essere che Berlino: terra lacerata e vitale, luogo e non luogo del mondo. Oggi, dopo l'affermazione al concorso per il World Trade center, e' di nuovo a New York.

 

Il   lavoro di Libeskind si presenta cosi' come una linea zigzagante tra luoghi idee e saperi che incide per il superamento della nostra presunta razionalita' di dominio sul mondo e sulle cose e per una radicale messa in crisi delle nostre certezze.

Il libro che avete tra le mani   e' un lavoro pieno e maturo di uno studioso ormai consapevole dei propri mezzi teorici ed espressivi. Il saggio, forse il piu' completo ed esaustivo ad oggi prodotto su questo architetto, offre un ritratto intrecciato di ramificazioni, estremamente denso di rimandi, ricco di suggestioni ed in definitiva molto bello anche dal punto di vista dello straordinario corredo illustrativo. Materiale illustrativo in molti casi inedito e scaturito da una vitale collaborazione tra l'autore e l'attenta ed entusiastica partecipazione dello studio di Libeskind.

Vediamo in una parola in che cosa consiste il lavoro di Antonello Marotta su Libeskind. Innanzitutto l'autore ha la sensibilita' giusta per intendere il suo architetto. Lo scruta attraverso la lente del pensiero letterario, filosofico, simbolico contemporaneo ma anche con qualche interessante puntata nelle vicende di questi anni. Non compie mai l'errore Marotta di creare un rapporto rettilineo tra opera e commento critico, ma   come Libeskind stesso l'autore procede sempre a   zigzag. Sa che i rimandi sono complessi. Bisogna cercarli con attenzione e soprattutto rilevarli al lettore con sicurezza di giudizio ed efficacia d'espressione.

Il lavoro che questo testo compie attraverso questo sguardo e' pregevole. Ad esempio emerge con straordinaria forza tutto il lavoro preparatorio   e teorico del giovane Libeskind prima sui disegni Micromegas   e poi sulle Macchine celibi che realizza alla meta' degli anni Ottanta. Si tratta di veri e propri strumenti, apparentemente inutili, ma in realta' fondamentali per elaborare il pensiero teorico e poi la specificita' architettonica dei progetti successivi.

ÒL'architetto opera nella consapevolezza che la realta' vive in materie distanti, che la storia unifica condizioni plurime, che le differenze siano una fonte di ricchezza: in questo nasce il suo interesse ai temi della combinazione di sostanze eterogeneeÉ E'   l'unico ad operare in tale direzione, senza i vincoli fisici e cognitivi della citta', per evidenziare in un tempo ed uno spazio escheriani le profondita' del pensieroÓ

Ma soprattutto l'autore e' un grande scopritore di ÒfigureÓ. Marotta trova cioe' la citazione illuminante, o l'immagine retorica che apre nuove strade di riflessione. Il testo e' molto ricco di queste perle, come quando spiega il concetto fondamentale della materializzazione del virtuale senza il quale non si capisce lo sforzo ultimo degli architetti digitali di questi anni. Per Libeskind Òil virtuale Ð scrive Marotta - vive nella materialita' e non nella fenomenologia, nell'esperienza e non nell'apparenza delle coseÓ e quindi in un intreccio tra strumento e realta' della nuova architettura.   La natura stessa d'altronde come dice Socrate con le parole di Valery, Ònon procede mai direttamente e senza riguardo agli ostacoli; ma con questi componendosi, li mescola al proprio moto, li gira o li utlizza, quasi che ad una stessa sostanza appartengano la strada presa, la cosa che per quella strada si mette, il tempo impiegato a percorrerla. Se un uomo agita il braccio si concepisce un rapporto puramente possibile. Ma,   dal punto di vista della natura, quel gesto del braccio e il gesto stesso non si possono separareÓ

Questa citazione Ð con intelligenza inserita da Marotta nel suo testo - illustra l'intima necessita' che muove una architettura come quella di Libeskind che intreccia lo scavo nella profondita' del pensiero e la materializzazione concreta, la nuova natura dell'architettura. Ma molte altre illuminazioni il lettore trovera' lungo il testo.

Dal libro in definitiva emerge un doppio ritratto interessantissimo: da una parte quello di uno degli architetti piu' vitali di questi ultimi due decenni, dall'altra quello di un autore ancora giovane, ma con questo volume pienamente affermato nella scena critica dell'architettura italiana.

Pubblicato in Antonello Marotta, Daniel Libeskind, Edilstampa, Roma 200) pp. 7-10

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