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Convegno "Omaggio a Bruno Zevi" 10-11 Maggio  2001
Università mediterranea di Reggio Calabria.  Alessandro Bianchi, Rettore, Rosario Giuffré Preside, Sara Rossi coordinatrice. Il convegno segue l'iniziativa Tre lezioni in omaggio a Zevi promosso da F. Zagari nel giugno 2000
 


 

Intervento di A. Saggio
" La Storia è critica, la Critica è Storica"

Prima parte (4Mega)
Seconda parte (3,2Mega)
Terza parte (6Mega)
Quarta parte (6Mega)
 

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Mostra e Catalogo
AA.VV., L'architettura come spazio dall'antichità a oggi,  Università mediterranea di Reggio Calabria, Edizioni dell'Ateneo Reggio Calabria 2001

 
 

Scritto in Catalogo
AS, Il Museo Guggenheim di Frank Owen Gehry, (pp. 117-119)

(Un capolavoro il Museo Guggenheim di Frank Owen Gehry. Zevi contemporaneo)

di Antonino Saggio

Vorrei parlare di una delle architetture dello scorso secolo che Bruno Zevi considerava un capolavoro. Il Museo Guggenheim di Bilbao.

Come forse sapete il professore mi ha dato l'incarico di scrivere una monografia su Frank Owen Gehry nella sua Universale di Architettura. Il libro è stata pubblicato nel giugno del 1997 pochi mesi prima dell'inaugurazione del Museo.

Nei mesi successivi quel 19 ottobre 1997 più volte abbiamo trattato (rigorosamente per iscritto) di quest'opera. In una lettera del 21 dicembre gliene ne scrivevo sincopatamente, come avevo imparato a fare con un lungo allenamento, per cercare di catturarne l'importanza. Il professore era stato a Bilbao nel dicembre del 1997: "Ho passato tre giorni intorno e dentro al Guggenheim a Bilbao. Non ho alcun dubbio: è un capolavoro. che cercherò di spiegare in un editoriale" (la lettera è del 29 dicembre, l'editoriale in L'architettura n. 510 4/'98 ). Ecco le sei parole chiave cosi come le avevo scritte e come oggi in questo giornata in ricordo del professore voglio rileggere:

"1. Urbatettura (cioè far capire che si è andata a far seppellire l’architettura della città dei milanesi e che abbiamo (ha) vinto anche in questo caso, perché si procede per progetti-piani e non viceversa, perché si può fare architettura urbanissima attraverso le sette invarianti e non con gli accademismi. Ce ne erano prove, ma questo è sotto gli occhi di tutti eccetera)

2. Tempistica. Ci hanno messo sei mesi a decidere tutto! compreso il cambiamento dell’area, il coinvolgimento del Guggenheim e di quel geniaccio di Krens, il concorso e poi l’incarico. Bisogna sottolinearlo.

3. Business. Dio mio, è costato 180 miliardi, per il Giubileo ne abbiamo stanziati 3500!. cfr. pellegrinaggio eccetera.

4. Traiettoria futurismo cheapscape, tutto l’armamentario critico che conosce, ma più appuntito e ficcante

5. Costruzione. È finita la vecchia moralità della costruzione. Oggi tutto è possibile, cfr. lastre curvate, titanio, ottovolante strutturale, vetri alla Mertz [sic cfr. Merz] eccetera e computer

6. Utzon. Bisognerà pure dare a Cesare quel che è di Cesare, No?"
 
 

Ora nell'arco di una presentazione di pochi minuti ci si può soffermare solo su uno di questi punti. Possiamo farlo solo per il primo termine: urbatettura.

Innanzitutto bisogna ricordare che è un neologismo zeviano che indica la volontà di dilatare l'architettura a scala territoriale sino a quasi a sostituirsi all'urbanistica. Questa idea è leggibile in una serie di forti predilezioni per opere che il professore amava, per esempio il Forte Quezi di Daneri e in maniera ancora più evidente nel suo progetto (firmato all'interno dello Studio Asse) per lo Sdo di Roma.

Torniamo a Bilbao e cerchiamo di capire perché si può usare la parola urbatettura.

E' certo che Gehry fa innanzitutto boccionianamente una scultura d'ambiente. Un'opera che lancia traiettorie nell'atmosfera per scuoterla e farla vibrare. Ma l'aspetto plastico è basato in un sentire tutto da "da architetto" anzi di più, direi da architetto "consapevole ed esperto". Gehry sceglie per il progetto (perché è lui che ha scelto l'area) una zona industriale semi abbandonata tra il centro, le nuove espansioni periferiche e che si snoda lungo il fiume. Interconnette i tre poli dimostrando come con una concezione urbana e plastica al contempo si possa valorizzare un’area di basso valore, risolvere un sito derelitto, riagganciare la città al suo fiume, la periferia al centro.

I corpi si avvinghiano e si slanciano con virulenza meccanica nello spazio ma creano cavi, piazze, banchine attrezzate, luoghi per la gente. E la gente ci va a tutte le ore. E il museo è tutto il contrario di un oggetto plastico avulso dal contesto. E' anzi un'opera ipercontestuale perché a ben guardarlo non vi è movimento delle sue masse (dall'insinuarsi sotto il ponte al creare un bacino d'acqua come filtro di protezione al museo, dalla doppia articolazione delle entrate alle porte di sicurezza e di carico) che non crei spazi anche esterni per stare e per fare vive l'opera insieme al suo intorno.

Bisogna anche riflettere in una direzione più ampia. Il progetto di Bilbao nasce in una situazione per molti versi assolutamente "tipica" della nuova città post-industriale. La società dell’informazione ha infatti sempre meno bisogno di ampie porzioni di terreno, in particolare se dislocate nelle città, per produrre beni manifatturieri. Come ben sappiamo nel processo verso la produzione di informazione che investe tutto il mondo occidentale le aree si liberano dalle fabbriche (che possono divenire sempre più piccole, meno inquinanti e deprivanti) e grandi risorse sono rimesse in gioco, prima di tutto appunto quelle abbandonate dalla produzione industriale.

Progettare oggi in queste aree, come quella di Gehry a Bilbao, ma come moltissime altre, implica quindi una profonda riconsiderazione della città e del suo funzionamento e apre nuove strade di ricerca estetica ed espressiva. Le categorie tipo-morfologiche dell’analisi urbana degli anni Sessanta e Settanta (derivate dallo studio della città consolidata e strutturata) risultano sempre più sfocate se usate quali parametri di progetto, mentre emergono modi di guardare la città rivolte alla complessità, all’interscambio, all’intreccio tra spazi architetture e ambiente. È quindi del tutto naturale che gli architetti si allontanino dalla metafisica de chirichiana di una città per archetipi fissi nella memoria, e per la sua declinazione nell'architettura tipo-morfologica degli architetti della Tendenza, per guardare alle ricerche degli artisti più attenti a fenomeni di stratificazione, di residualità, di ibridazione: ai sacchi o ai cretti di Burri, ai manifesti scorticati di Rotella, al neo-espressionismo americano di Rauschenberg e naturalmente al fronte più duro della Pop-art o dell’Arte povera. L’architettura si insinua nelle maglie dell’esistente, usa e rilancia gli oggetti preesistenti come dei ready-made, crea con le sue articolazioni dinamiche spazi interstiziali ‘tra’ nuovo e preesistente. Ma al di là delle scelte espressive, o delle "ferraglie contorte" è proprio una idea diversa di architettura per la città che si afferma. A guardare le opere più riuscite viene proprio da definirle operazioni di urbanscape. Sono grandi opere di ripensamento della città, delle sue intersezioni, dei suoi flussi dinamici, dei suoi nessi complessi. Se si pensa a come Zevi abbia legato spesso Pollock a una visione non finita aperta e dinamica del divenire urbano comprendiamo meglio anche il suo urbatettura. Il suo editoriale dell'aprile 98 si chiudeva con una frase molto densa. "Gli autentici borrominiani, wrightiana, gehriani, anche se più giovani, non sono eredi dei maestri eretici, ma contemporanei". Su questo possiamo discutere più tardi, cominciando però a pensarci. Siamo di Zevi "contemporanei".

Saggio@uniroma1.it

Links
Link all'intervento al Simposio di Roma Tre su Zevi
Link ad una selezione di Scritti di Saggio Su Zevi
Link al Museo Guggenheim di Bilbao con Interviste quicktime
 


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