20. Frammenti urbani in Anselmi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ripercorrere le idee e il lavoro dell'architetto romano Alessandro Anselmi ha un duplice scopo. Ricordare alcuni edifici di sicuro interesse e soprattutto contribuire a mettere a fuoco la singolarità dell'architettura capitolina.
 
 

Tutte le immagini si riferiscono al Municipio di Rezé-le-Nantes



La presenza del già costruito, (i manufatti, i tracciati, i frammenti che si accumulano nel tempo) non può essere posta tra parentesi da chi vive e opera a Roma. Materiali difficili, quando si eliminano i mimetismi e le facili citazioni, ma che Anselmi vuole usare e reinterpretare nei suoi progetti. Storia, memoria, luogo sono termini che hanno attraversato l'architettura italiana recente e nel post-moderno hanno avuto una cassa di risonanza. Nel filone che si richiama alla Tendenza, la ricerca è rivolta all'urbanità, al riproporre una architettura-città che evochi il dominio sulla natura della originaria fondazione militare. Al sud, invece, l'architettura-volume si erge solitaria, oggetto sacro al paesaggio e alla luce. Ma a Roma, città etrusca prima che romana, (e poi medioevale, rinascimentale, barocca, neoclassica e moderna), la stratificazione, l'accumulo, il riuso delle tracce della civilizzazione precedente è il centro della ricerca di oggi. Anselmi è l'antesignano di questa architettura-archeologia con una consapevolezza che ha trasmesso al più giovane Francesco Cellini, ma anche con una differenza profonda rispetto a un altro progettista romano di rilievo. Franco Purini parte da Roma e da Giambattista Piranesi per muoversi nella dimensione concettuale dell'arte contemporanea. I suoi progetti sono motivati da forti tesi di partenza e di quelle diventano pietrificazioni. Anselmi è più aperto e flessibile alle suggestioni che via via la storia, i contesti, i materiali o quello che lui chiama la scena urbana gli detta. Il suo progettare, più che la ferrea dimostrazione di un assunto o la ricerca di un destino futuro, si apre così alle suggestioni delle diverse occasioni tenute insieme dalla ineffabile componente dell'arte e dell'ispirazione.

Anselmi ha influenzato profondamente gli architetti romani della sua generazione e di quella seguente attraverso il Gruppo romano architetti urbanisti di cui è stato tra i fondatori. La presenza dei gruppi è un fenomeno caratterizzante la cultura romana sin dagli anni Sessanta. Studenti particolarmente motivati ed entusiasti affittano un appartamento dividendo le spese e aiutandosi l'un l'altro negli esami. Aggregazioni di dieci quindici persone condividono dei valori che vengono collettivamente rivendicati all'esterno. La missione dell'architettura, la necessità di sopperire con l'autodidattismo alle carenze della Facoltà, la militanza politica precedente e seguente il Sessantotto ne sono il cemento. Spesso gli aderenti si spostano insieme e in occasione di esami e della discussione delle tesi instaurano con i docenti accanite discussioni che contribuiscono allo svecchiamento dei metodi didattici.

Finiti gli studi, i gruppi si trasformano in studi di progettazione che, pur tra difficoltà, entrano nel circuito dei concorsi e delle realizzazioni. Si possono ricordare il Metamorph, il Labirinto, l'Aua (Architetti urbanisti associati, di cui faceva parte Manfredo Tafuri) e molti altri, ma certo il principale, il più noto e il più influente è proprio il Grau (con Anselmi, Paola Chiatante, Gabriella Colucci, Roberto Mariotti e Franco Pierluisi, di recente scomparso).

Anselmi (insieme a Chiatante) porta a compimento negli anni Settanta la sua prima opera rilevante. Il cimitero del paesino di Parabita nella provincia di Lecce. Il progetto è del 1967 e sintetizza temi già allora sul tappeto: il superamento dell'International style da una parte, la ricerca di continuità con la storia (che i giovani romani trovavano in Louis Kahn) dall'altra. La planimetria segue l'andamento scosceso del pendio e viene impostata sulla figura di un capitello ionico inscritto in un quadrato. Il muro curvilineo nella parte inferiore ospita i loculi, al centro vi è l'ossario e tra le due volute del capitello l'area delle cappelle private. È un manifesto provocatorio. Rivendica la permanenza delle forme classiche, ma le trasforma e le spiazza per dimensione (come nella contemporanea pop-art) per funzione e per significato. Il messaggio si sintonizza con quelle Complessità e contraddizioni dell'architettura che Robert Venturi ha appena dato alle stampe. La citazione diventa un'arma tagliente di modernità: il capitello un oggetto trovato, un pezzo di storia da cui ripartire. Ma i progettisti non si fermano all'intellettualismo dell'operazione. L'edificio è nella stessa arenaria gialla del barocco leccese e la facilità di lavorazione della pietra consente i tagli netti delle forme.
 
 

Un'ambiguità tra piano e massa risolve l'espressività delle parti. Il progetto evita i volumi conclusi e lancia i suoi piani liberi e aguzzi contro il cielo. Ma gli strumenti classici di controllo della forma (la prospettiva, la geometria) rientrano in gioco per creare, da pochi punti di vista privilegiati, delle scene unitarie. Sono illusioni, però - come nel teatro Olimpico di Palladio - perché quando l'osservatore si sposta, i quadri si spezzano e i piani riacquistano la loro valenza astratta.

Quando Anselmi progetta per Roma, la base del suo metodo emerge con ancora maggiore evidenza. Il progetto per case parcheggio al Monte Testaccio - frutto di una iniziativa dell'allora assessore Carlo Aymonino - data il 1984. Il Gruppo Grau non lavora più come un'officina esclusa dai grandi circuiti culturali e accademici, ma attraverso la Biennale veneziana del 1980 ordinata da Paolo Portoghesi ha un riconoscimento importante (contemporaneo al volume "Grau. Isti Mirant Stella" che raccoglie quindici anni di lavoro). La proclamazione del Post-moderno in Italia, non è vissuta da Anselmi come la rassicurante consacrazione del proprio contributo pionieristico, ma come occasione per aprire una nuova fase di ricerca che gli consente di rimettere in circolo gli assunti del linguaggio moderno.

Il progetto a Testaccio, sviluppa un tema distributivo molto in voga in quegli anni: un corpo lineare con due corpi di fabbrica ai lati di una strada centrale. La distribuzione è rivolta all'interno della linea a notevole spessore (come si chiamava) mentre gli affacci sono all'esterno. Ai primi livelli vi sono le attrezzature comuni e a quelli successivi gli appartamenti di diversa dimensione. Sul fronte verso la piazza, l'architetto adopera un motivo del razionalismo italiano. Un telaio gigante racchiude la costruzione consentendo ai diversi episodi formali di essere asimmetricamente disposti (i balconi, l'inserimento di un cubo svuotato per l'ingresso eccetera). Il retro, invece, vede l'inserimento di otto volumi in aggetto che ricordano alcune ricerche in chiave metafisica. Sfondo ai diversi episodi plastici è una facciata neo-barocca che fa vibrare la parete attraverso l'andamento a zigzag degli elementi vetrati contro la rigida orizzontalità dei pannelli e dei frangisole.

Ma questa architettura si carica di echi quando se ne scavano più a fondo le ragioni. L'organizzazione distributiva con il percorso interno a cielo aperto, per esempio, rimette in movimento le tracce e i frammenti della sua Roma. A pochi metri dall'edificio vi è il monte Testaccio creato artificialmente dall'accumulo dei cocci rotti che gli antichi depositavano dai magazzini del vicino porto fluviale. Il monte è solcato da un percorso ascensionale che, trasferito nel nuovo, diventa l'episodio, la citazione, il collegamento che Anselmi ricerca. I due percorsi si chiamano l'uno con l'altro nell'andamento compresso e spezzato e nella tensione verso l'alto: in un caso verso la vetta, nell'altro al tetto giardino.

Questa attenzione al senso dei luoghi, viaggia in tanti altri particolari. Per esempio il telaio gigante è uno strumento che serve ad allineare il nuovo edificio sulle giaciture della maglia ortogonale del quartiere, (lasciando però libera la parete di seguire l'andamento diagonale del percorso) e altre suggestioni e rimandi vive la scalinata sulla piazza, l'arco squadrato di ingresso, i volumi puri "sotto la luce". È un progetto colmo di significati, ma in cui il pericolo della sovrabbondanza riesce a risolversi unitariamente. Mentre a Roma questa opera è bloccata dalla Soprintendenza, l'amministrazione di Rezé-le-Nantes in Francia porta a compimento un importante opera dell'architetto italiano. Il concorso vinto negli anni Ottanta e poi realizzato scrupolosamente è un'opera celebrata che consente di cogliere come Anselmi usi le diverse parti del progetto per determinare la scena urbana. È un concetto, questo sì, lontano dalle composizioni di volumi isolati del moderno e che della lezione spaziale, dinamica e urbana del barocco romano fa tesoro.
 
 









I materiali di partenza di questa occasione sono molti e tra loro disorganici. A poche centinaia di metri vi è una Unità d'abitazione di Le Corbusier, poi una serie di edifici amministrativi della municipalità che bisogna conservare, infine le giaciture e gli assi viari della fondazione romana e naturalmente le nuove attrezzature (uffici, una sala assembleare, una sala per l'anagrafe). Tre sono le intuizioni fondamentali del progettista. L'unità di abitazione diventa il nuovo fondale del progetto: il volume grigliato di Le Corbusier è risucchiato dentro l'immagine anche grazie al pendio-palcoscenico del giardino interno ricavato tra le due ali edificate. Seconda decisione è unificare con una parete grigliata (che naturalmente all'Unità rimanda) le costruzioni esistenti e alcune nuove. È una lastra arcuata sia in pianta che in alzato che si impenna richiamando la torre pubblica degli edifici municipali transalpini. La parete viaggia indifferentemente sul vuoto, lungo i vecchi manufatti e i nuovi corpi di fabbrica e fa del chiaroscuro lo strumento fondamentale della caratterizzazioe architettonica. Infine, Anselmi decide di articolare la sezione anche nel sottosuolo per ricavare alcuni degli ambienti richiesti dal programma e lascia emergere sul giardino forme libere. La forza dell'insieme e la perfezione dell'esecuzione, risolta sino agli arredi, lancia un chiaro messaggio: gli architetti italiani sono ancora tra i migliori al mondo quando gli si concede l'opportunità di fare.

Dopo molti concorsi a inviti, Anselmi ha completato un'altra importante realizzazione in Francia (il centro commerciale, la stazione tranviaria e il mercato di Sotteville-Le Rouen). In questo progetto, e in altri di questi ultimi anni, emergono sempre più spesso andamenti sinusoidali e arcuati come se si trattasse di forme antropomorfiche o vegetali. Una ricerca che abbiamo visto in azione anche nell'opera di Santiago Calatrava.

In conclusione, vale la pena tornare alla premessa. Anche se Anselmi ha tutte le capacità, le sensibilità e l'ispirazione dell'artista, egli possiede anche un metodo che forse possiamo fissare in tre punti. Innanzitutto, le tracce del passato non sono date oggettivamente ma scoperte, disvelate. Dai luoghi, dai contesti, dalla storia (dalla miriadi di possibili suggestioni) egli estrae una caratteristica fondativa. La scelta non è compiuta attraverso le categorie analitiche della scienza, ma con quelle sintetiche dell'arte e dell'intuizione. In secondo luogo, questa scoperta rabdomantica è la più importante decisione del progetto perchè struttura il nuovo. (La figura del capitello diventa la planimetria a Parabita, il percorso sulla collina a Testaccio scalinata interna delle case, l'Unità di abitazione a Nantes fondale della nuova piazza.) Attorno a questa traccia reinterpretata e de-contestualizzata rispetto al significato originario, si sviluppa la professionalità distributiva, costruttiva ed espressiva dell'architetto. Infine, Anselmi ricerca sempre la messa in campo di un conflitto, di una tensione. Da una parte la creazione di una scena che sviluppi l'idea dello spazio urbano come grande cavo (ed è la lezione di Roma da Piazza San Pietro alla scalinata di Piazza di Spagna) e dall'altro l'irrinunciabilità al piano, al frammento, alla tensione dinamica non chiusa e non finita delle forme. I suoi progetti vivono sempre due direzioni contrastanti: l'orizzontalità della costruzione - ossessivamente solcata nei piani che moltiplicano gli elementi - e l'alto del cielo.

A ben guardarlo il percorso e il metodo di Alessandro Anselmi nulla ha della facile memoria, della gratuita citazione, del pastiche accademico in cui architetti spesso accanto a lui pubblicati sono caduti, ma la tenacia di una costruzione che, cancellata ogni stanchezza funzionalista, è capace di indicare una strada e un nuovo strumento. Non il planovolumetrico degli oggetti disposti come volumi isolati, ma un vuotometrico dove lo spazio tra gli edifici torna ad essere il centro del progetto e della città.
 

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Pubblicato originariamente su

Costruire
Editrice Abitare Segesta, Milano. Direttore Leonardo Fiori

Antonino Saggio
ALESSANDRO ANSELMI. L'ARCHEOLOGO DEL FUTURO
       Costruire, n.133, giugno 1994 (pp. 120-124).

I libri cui si fa riferimento nell'articolo sono

Alessandro Anselmi - Manipolazioni di energie spaziali,
a cura di Vincenzo Giuseppe Berti,
Parametro, n.209, luglio-agosto 1995 pp. 96

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