Queste pagine sono cortesia dello Iauv e del Professor Tentori.
Si ringarzia l'architetto Luigi Pavan per averle rese disponibili in questa versione


A parlare del Guggenheim di Bilbao non è, questa volta, un critico o un giornalista, ma il vicesindaco e assessore all’urbanistica di Bilbao, è dunque è un testo di estremo interesse anche se ­ a me sembra ­ è ancora troppo breve il tempo dell’esperimento per trarne indicazioni sicure. Ad ogni modo vogliamo sperare anche noi che ­ come dice l’autore dell’articolo ­ la cultura non debba più essere considerata un costo, o una perdita, quanto un investimento economico sul futuro di una comunità.

Dissento solo da una frase del sottotitolo, che definisce Gehry "l’architetto che Modena ha di recente rifiutato". Come facevo rilevare in un articolo precedente, è stato il dispositivo burocratico centralizzato a Roma (ministero della cultura+ sovrintendenza+ commissioni varie) a decidere, per conto del Comune di Modena.

Francesco Tentori
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L’articolo è preceduto dal seguente corsivo, siglato f. m., che introduce anche le successive interviste a Aulenti, Gregotti e Botta.

NEI giorni precedenti l’apertura del Museo Guggenheim a Bilbao, una dei tre capoluoghi dei Paesi Baschi (Euskadi nella loro lingua) inevitabili perplessità affioravano fra gli artisti, critici, architetti invitati dal mondo intero. Non era solo per la paura delle bombe ­ esplose o minacciate dall’Eta ­ bensì sul futuro di quel colossale, magnifico, bizzarro fiore (così parve alla prima occhiata) che ­ al calare del secolo e del millennio ­ era spuntato nelle triste periferia di Bilbao, e doveva riproporre il successo del parigino Beaubourg negli Anni ’70. Perfino Claes Oldenburg, amico di lunga data dell’autore Frank O’ Gehry, non riusciva a celare dubbi sul destino del museo Usa. La sera dell’inaugurazione ­ dopo mirabolanti fuochi d’artificio, cena e balli baschi alla presenza di re Juan Carlos e della Regina Sofia ­ una moltitudine di abitanti (che avevano in parte finanziato il progetto) accorsero ad ammirare l’edificio. La mattina successiva, cominciarono le code che non conoscono fine. Il gioviale Gehry, restio alle etichette, divenne subito una celebrità. Anche l’uomo della strada sapeva chi era. Sull’onda di tanta gloria, il minuscolo Gehry ­ noto da principio per le sue ville e villette, costruite a forma di pesce sulla West Coast, ora dedito a opere faraoniche ­ è chiamato da ogni dove. L’Italia non ha voluto essere da meno, Modena gli ha commissionato un "lavoretto" per la Porta di Sant’Agostino nel centro storico. Di fronte alle difficoltà opposte dalla Soprintendenza, Gehry ha pensato bene di ritirarsi.
 

Sul "caso Bilbao" pubblichiamo un intervento di Ibon Areso Mendiguren ­ vicesindaco e assessore all’urbanistica della città basca ­ che spiega come la presenza del Guggenheim abbia permesso il rilancio non solo dell’immagine, ma anche dell’economia di Bilbao. A tre big dell’architettura nostrana abbiamo invece chiesto di commentare il caso Modena. Gehry ha parlato di "contesto impossibile" per lavorare e di "situazione inaccettabile". Ma il modello Bilbao è riproponibile in Italia? [f. m.]



 

Con un ambizioso progetto culturale, una città in crisi ritrova una nuova immagine e rilancia l’economia

BILBAO
impara l’arte

Un modello di sviluppo che era stato rifiutato dalla comunità. Tutti pensavano che sarebbe stato meglio finanziare le imprese in difficoltà

A dare la scossa, è stato il Museo Guggenheim, disegnato da Ghery: l’architetto che Modena ha di recente rifiutato

di Ibon Areso Mendiguren*, nelle pagine "Cultura e spettacoli" de "La Stampa" di venerdì 29 dicembre 2000.

SONO convinto che in futuro non esisteranno città economicamente importanti che non siano, nello stesso tempo, culturalmente importanti. Questa doppia funzionalità è già riscontrabile in grandi capitali, come Londra o New York, ma oggi viene perseguita anche da città di lunga tradizione economico-commerciale come, ad esempio, Francoforte: che negli ultimi anni si è dotata di ben diciassette nuovi musei.

Nel nostro caso, il potenziamento del Museo di Belle arti e del Teatro Arriaga, il nuovo Palazzo Euskalduna dei Congressi e della Musica, la rete di biblioteche, la stagione operistica, la creazione di campi da golf ecc., sono stati considerati elementi necessari per lo sviluppo della nostra area urbana, anche se il progetto pilota di tutto il settore non può che essere il Museo Guggenheim.

La costruzione di questo museo è l’elemento più simbolico e caratterizzante, della scommessa che Bilbao ha fatto sul suo futuro; ed è quello che ha contribuito in maggior misura alla sua nuova immagine internazionale.

La scelta operata dalle istituzioni basche non fu semplice. La selezione di Bilbao come sede europea del prestigioso Museo Guggenheim di New York richiese, innanzitutto, il convincimento da parte della Fondazione omonima che la nostra proposta era seria e fattibile.

A questa selezione contribuì anche il fallimento delle trattative che la Fondazione aveva in corso con altre città europee considerate più idonee, fra cui Venezia e Salisburgo.

Ma il problema più importante fu un altro: e cioè il rifiuto che il progetto suscitò nella società bilbaìna, che non capiva per quale motivo si dovesse investire in un museo, dal momento che ­ data la crisi economica in atto ­ pareva ovvio a tutti che gli investimenti pubblici avrebbero dovuto essere destinati, prioritariamente, alla salvaguardia dei posti di lavoro, tramite finanziamenti alle industrie in crisi.

Certamente, molti soldi pubblici ­ in quegli anni ­ furono destinati alle imprese in difficoltà, ma questi aiuti, in molti casi, produssero soltanto un sostegno artificiale all’occupazione, all’interno di sistemi produttivi comunque senza futuro; mentre risultarono efficaci quando contribuirono a renderli competitivi, sostituendo mano d’opera con tecnologia, ma in questo caso incrementando, però, la disoccupazione.

Insomma: la gente non capiva che la proposta delle istituzioni basche, oltre all’aspetto culturale, presentava un’importante prospettiva economica, e che la cultura non doveva essere considerata un costo, quanto un investimento economico sul futuro.

Un’altra opposizione forte fu espressa da molti contesti culturali che si videro ridurre gli aiuti e le sovvenzioni che erano abituati a ricevere, a causa della necessità di concentrare sul nuovo museo la maggior parte delle risorse destinate alla cultura.

In questo clima di dissenso diffuso, che induceva molti a considerarci "los mas tontos de Europa", per aver accettato ciò che tutti gli altri avevano rifiutato, e per aver propiziato la cultura della Coca-Cola e dell’imperialismo americano, dovemmo concretizzare la scommessa strategica che avevamo formulato, costruendo un museo che avesse la forza di diventare l’emblema della nostra città e di inserire Bilbao nel circuito delle grandi mostre che si svolgono nelle principali capitali del mondo.

La verità è che quella scommessa superò le nostre migliori aspettative: come dimostrano le cifre riportate più avanti, e il suo successo cambiò radicalmente il clima avverso che ho prima descritto.

Il primo studio di fattibilità, stimò necessario un numero di 400 mila visitatori all’anno, per compensare l’investimento di 132,22 milioni di euro. Ci sembrava un obiettivo difficilmente raggiungibile e ­ invece ­ nel primo anno i visitatori furono 1.360.000, più di tre volte l’ipotesi iniziale. La cifra media che, oggi, ipotizziamo per il museo è di un milione di visitatori all’anno.

I 132,22 milioni di euro furono così impegnati: 84,14 per la costruzione del museo e l’urbanizzazione circostante; 36,6 per l’acquisto delle opere che andarono a costituire la collezione iniziale del Guggenheim di Bilbao; 12,2 per entrare a far parte della Fondazione, che si era impegnata a portare le sue collezioni a Bilbao con lo scopo di evitare il consueto periodo di rodaggio di un museo nuovo, e di assicurare ­ fin dall’inizio ­ un livello di qualità paragonabile a quello delle sede centrale.

La società di consulenza KPMG Peat Marwick ha studiato la situazione applicando il suo modello economico e i risultati sono eloquenti.

Nel primo anno, dal 19 ottobre ’97 al 19 ottobre ’98, entrarono nel Museo 1.360.000 visitatori. Nel secondo periodo, che va dal 19 ottobre ’98 al 31 dicembre ’99, i visitatori furono 1.265.000.

Di questi, il 79 % e l’87 %, rispettivamente, sono venuti a Bilbao ESCLUSIVAMENTE per vedere il Museo o ­ essendo venuti per altro motivo ­ hanno prolungato la loro permanenza per visitarlo. Le spese che questi visitatori hanno fatto in Euskadi, in questi due periodi, ammontano ­ in euro ­ a 433 milioni (186 e 247, rispettivamente). Il che significa che la spesa media per persona è stata di 137 e 195 euro. Le entrate derivanti dal Museo Guggenheim di Bilbao, in questi due periodi, si sono così distribuite:

­ più di 63,40 milioni, in ristoranti, bar e caffetterie nel primo anno e quasi 84,14 milioni nel secondo;

­ più di 48,70 e 60,10 milioni, in negozi e altre attività commerciali;

­ più di 39 milioni, in alberghi, pensioni o altro tipo di alloggiamento, nel primo periodo, e 56,50 nel secondo;

­ più di 10,80 milioni, in trasporti (benzina, pedaggi ecc., nel primo periodo, e 13,80 nel secondo;

­ più di 10,80 milioni, spesi nello stesso Museo (biglietti di entrata ristorante e acquisti nel bookshop, nel primo periodo, e più di 12,60 nel secondo.

Questo giro d’affari ha prodotto un valore aggiunto, nell’economia della Comunità Autonoma del Paese Basco, che ammonta a più di 337 milioni di PIL: 144 (0,47 % del PIL della Comunità) nel primo periodo, e 193 nel secondo (0,62% del PIL complessivo).

Un simile incremento di ricchezza, ha prodotto entrate aggiuntive, all’Azienda Pubblica Basca, quantificate in 63 milioni di euro derivanti dall’Iva, da imposte societarie, dall’Irpef: 27 milioni nel primo periodo e 36 nel secondo.

Lo stesso incremento ha generato 3.816 posti di lavoro (0,51% degli occupati di Euskadi) nel primo periodo e 5.083 nel secondo (0,67%). Va detto che non tutti questi posti sono totalmente nuovi: in quanto un certo numero, già esistente prima dell’apertura del Museo, è entrato a far parte del nuovo contesto produttivo.

Per dare un punto di riferimento, diciamo che il cantiere navale Euskalduna, operante nell’area in cui oggi si trova il Museo, creò ­ nei suoi anni migliori ­ 3.000 posti di lavoro diretti, e 1.000 indiretti (tramite contratti), e che negli ultimi anni impiegava dalle 2.300 alle 2.400 persone.

Nell’anno 2000, prevedendo 1 milione di visitatori, la ricchezza generata in Euskadi salirà a più di 150 milioni di PIL, con un’entrata ­ per l’Azienda Pubblica Basca ­ di 28 milioni di euro.

Riassumendo, possiamo dire che ­ se verranno mantenute le previsioni per il 2000 ­ il Museo avrà generato, dalla sua inaugurazione, più di 600 milioni di euro di attività economica e di 90 milioni di entrate fiscali.

L’incremento del PIL del primo anno ­ 144 milioni di euro ­ significa che la società basca ha recuperato, in un anno, tutto l’investimento effettuato. Se analizziamo la situazione esclusivamente dal punto di vista dell’Amministrazione, le maggiori imposte hanno permesso di recuperare ­ in tre anni ­ l’investimento pubblico destinato alla costruzione fisica del museo e ­ in poco più di quattro anni ­ l’intero investimento.

In questi dati, non abbiamo incluso altri fattori: come la promozione pubblicitaria a favore della città. Se considerassimo gli articoli sui quotidiani e sulle riviste, i servizi televisivi ecc. in tutto il mondo, e li quantificassimo come pubblicità a pagamento, gli investimenti che abbiamo destinato a questa operazione sarebbero stati interamente recuperati soltanto da questo punto di vista.

Ci sono, infine, altre ricadute positive, meno tangibili ma non per questo meno importanti. Mi riferisco al recupero di autostima della società bilbaina: che aveva vissuto un periodo di grave depressione, al momento della sua crisi industriale e delle cocenti conseguenze occupazionali da essa generate. Si è creata una forte inversione di tendenza e, anche se abbiamo ancora molto lavoro da fare, è iniziato in modo indiscutibile il percorso della riconversione economica.

In conclusione, possiamo affermare che l’operazione Guggenheim è stato un investimento, e non un costo ­ come oggi la gente ha ben capito ­ e che un investimento culturale può aiutare a generare le stesse risorse e gli stessi posti di lavoro che, in precedenza, si ottenevano con l’industria tradizionale.

*Vicesindaco e assessore all’urbanistica di Bilbao
 
 

"In Italia il Guggenheim

Bilbao

non funzionerebbe"

Le opinioni di Aulenti, Gregotti e Botta

di Fiorella Minervino, nella stessa pagina dell’articolo precedente

GAE Aulenti, autrice [ristrutturatrice] del Musée d’Orsay a Parigi, di Palazzo Grassi a Venezia, delle Scuderie Papali a Roma, nonché del Museo di Arte catalana a Barcellona e quello di Arte asiatica a San Francisco, sostiene che gli amministratori di Modena si sono impegnati con Gehry senza sapere chi egli fosse, per pura moda. "Bene ha fatto Gehry a ritirarsi ­ dichiara la Aulenti, che ha appena vinto il progetto per la ristrutturazione della Venaria a Torino ­ è inutile forzare quando il progetto spaventa". Quanto a un altro Museo come Bilbao, in Italia, l’architetto ritiene che il Paese possiede troppi palazzi antichi, architetture, contesti straordinari per pensare a un nuovo edificio.

Drastico Vittorio Gregotti che ­ oltre al Centro Belem di Lisbona ­ sta preparando a Milano il Teatro degli Arcimboldi alla Bicocca, in sostituzione della Scala (in restauro per due anni). Inoltre, Gregotti è fresco d’una vittoria francese: la grande Sala per l’Orchestra di Parigi con 2000 posti, che comincerà a costruire [?] fra due mesi, da un vecchio teatro in disuso nel centro. "Le Soprintendenze hanno una tradizione di prudenza, ovunque ­ precisa ­ perfino a Yeng Ming Pei, in Francia, affidarono il Grand Louvre perché gli avevano rifiutato il progetto alla Défense. L’Italia, con tale patrimonio, ha una sua logica prudenza. Il lavoro di Gehry [a Modena] era, essenzialmente, di scultura non era del tutto necessario e si trovava in un’area dove il nuovo è difficile da unire all’antico".

Per il fenomeno Bilbao nel nostro Paese, Gregotti è negativo: "Non lo si può rifare in alcuna parte del mondo. Il Guggenheim è un’opera di ottima architettura ma, come Gaudì all’inizio del ’900, è fuori dalla tradizione". La riflessione è che, avendo ottenuto un tale successo mediatico in una brutta città come Bilbao, per il costo di 1.200 miliardi, è un fatto sproporzionato ai problemi, una stranezza poco ripetibile dallo stesso autore.

Infine, lo svizzero, italiano di formazione, Mario Botta: "E’ giusto che Gehry si sia ritirato ­ riferisce l’architetto che ha edificato il Museo a Tokio, il Moma a San Francisco, il Tinguely a Basilea, e sta costruendo quello di Rovereto, che diverrà il più grande Museo d’Italia ­. "L’architettura non può essere contro la società che la determina. Se non è condiviso, meglio lasciar perdere".

Per il colosso di Bilbao, Mario Botta è convinto che il modello fatichi a entrare in Italia, così carica di storia culturale, che fa sì che ogni cosa venga guardata con sospetto. "Invece gli architetti devono battersi per il nuovo. Perché no Bilbao in Italia?

Un’opera con una comunicazione utopica, di potenza ed energia, è un fiore, per una città. Certo, non in piazza San Marco a Venezia. C’è spazio per il nuovo nelle zone da risistemare per il futuro. Il modello Bilbao lo vedrei in ogni città italiana che va riscattata nelle zone periferiche, con organismi forti o con operazioni collettive importanti: come il Teatro degli Arcimboldi di Gregotti". Conclude Botta: "Sto lavorando in Germania, Usa, India, a Gerusalemme, ma le

difficoltà che incontro al Museo di Trento sono uniche, in Italia si fa in 5 anni ciò che, in Germania, si realizza in 24 mesi. Ora però sono molto contento, ho un segreto: mi hanno invitato a costruire una chiesa a Torino".