Versione Integrale
Director's cut

Peter Eisenman. Trivellazioni nel futuro

di Antonino Saggio
 Dicembre 1995
   

Antonino Saggio Home


Il testo che segue rappresenta una versione "diversa" rispetto a quella successivamente pubblicata. Qui sono presenti dei brani che per ragioni di spazio o per ripensamenti dell'autore sono stati omessi nella versione a stampa. Questa versione (evidentemente né sostitutiva, né alternativa rispetto al libro successivamente più volte ristampato dalle Edizioni Testo&Immagine) corrisponde a un modo di intendere la pubblicazione su Internet. Un pubblicare più personale, in fondo più nascosto rispetto a quella a stampa

 

 

 

 

Nuova Universale di Architettura diretta da Bruno Zevi

INDICE
 
 

  • Perché Eisenman 1
  • 1. Big bang dell'architettura
  • 1. Poker Vitruviano? 3
  • 2. Riduzionismo esclusivista 5
    • 2. Costruire testi e manifesti
  • 1. Architetto-artista concettuale. 9
  • 2. Cultura è un business. 11
  • 3. Nascita dei Five 13
    • 3. Strutture di carte e di dadi
  • 1. Peter Terragni. 15
  • 2. Differenze e diagrammi 18
  • 3. Perversioni dell'arbitrario. 19
  • 4. La casa del pendio. Eisenman wrightiano? 21
  • 5. Trivellazioni nell'inconscio. 23
    • 4. Dislocare il Post
  • 1. Sterro, tracciati, metafore 25
  • 2. Stratigrafia a Berlino. 27
  • 3. Collage di tracce. 29
  • 4. Il "tra" 30
  • 5. Il futuro del passato 31
    • 5. Rivoluzione permanente e grandi conquiste
  • 1. Lotta al Cubo 35
  • 2. Il cagnolino Balla sulla sabbia 37
  • 3. Cavi audaci per progettare 39
    • 6. Eisenman realista
  • 1. Decostruire, ma cosa?. 41
  • 2. Edifici in tre continenti 44
  • 3. Rebstock Park: plasmare la città 46
    • 7. Sei Domande e una risposta
  • 1. Trattatista di oggi? 50
  • 2. Existenz y Maximum y? 51
  • 3. Informatico versus Meccanico ? 52
  • 4. Simultaneità contro Velocità? 52
  • 5. La chiave è nel piccolissimo? 53
  • 6. Ancora il "tra". Eisenman transfunzionalista?. 54
  • 7. Modernità come crisi 55
    • Per continuare

     

     
     



    La lettera y in questa versione sta per dati incompleti o da verificare
     
     

     

     

     

    Peter Eisenman

    di Antonino Saggio

     

     







    Perché Eisenman

    Scrivo a testa in giù d'altra parte del globo. Lontanissimo fisicamente da 560 Fifth avenue y e da 150 via Nomentana. Eppure quaggiù la vita appare più chiara più forte, le domande più evidenti. I bambini vanno a scuola, giocano o chiedono la carità. E chiedendo la carità giocano e cantano imparando la loro vita: dura, che si cerca di migliorare, ma anche vita, tout-court. Le sfide che ci sono davanti (e sono tante: i problemi del terzo mondo, l'immigrazione, le aree deturpate, il recupero della periferia, i rifiuti e l'ecologia, la ricerca della qualità di spazi e di nuove socialità tra le persone, le risposte a un mondo progredito rivolto sempre più alla comunicazione e di un mondo ancora naturale legato ai problemi materiali del corpo - sanità, igiene, cibo, figli) sono crisi che si devono trasformare in valori, in risorse del progetto per spingerci oltre, darci la forza e la vitalità dell'agire.

    Perché Eisenman, allora? In vent'anni e più di provocazioni condotte ai vertici della tribuna internazionale dell'architettura, Peter Eisenman ci ha aiutato a riflettere, ci ha sfidato a pensare, ci ha invitato a porci domande per capire come questo mondo, queste sfide abbiano bisogno anche di una estetica di rottura, di cambiamento. La sua figura guida il trapasso, non ancora compiuto, e di cui stiamo faticosamente cercando le strade, tra gli artefici di una rivoluzione, che tra la Fagus di Gropius (1911) e Falling water di Wright (1936) ha drasticamente cambiato le coordinate del fare architettura, e il futuro. Eisenman in questo processo di cambiamento è figura storicamente imprescindibile.

    Sino a qualche anno fa, era soprattutto un critico dell'architettura. Abile e acuto polemista, studioso, docente, fondatore di riviste, direttore di un istituto di ricerca, rappresentava il campione di una teoria carica di sofisticati rimandi alle arti figurative, alla psicoanalisi, alla filosofia. Intellettuale dell'élite newyorchese si proponeva di combattere tanto il rassicurante ritorno all'antico che i meccanici legami forma-funzione. Ma nell'ultimo decennio, dopo una fase coraggiosa di analisi e di rifondazione, Eisenman ha pietrificato le sue teorie in progetti importanti: in Europa, in America, in Giappone. I volumi delle sue costruzioni nascono da estrusioni di poligoni complessi, si sviluppano con andamenti spezzati, si sovrappongono e intersecano reciprocamente, si dispiegano a ventaglio con rotazioni successive delle piante e delle sezioni, si mostrano come minerali fuoriusciti da improvvisi movimenti sotterranei, seguono il meccanismo genetico dei frattali, elaborano il tema della presenza-assenza di nuove geometrie. Le sue idee stanno fiorendo e propongono alcune drastiche, importanti, novità. Per metterle nel giusto rilievo questa indagine è estesa al suo intero percorso intellettuale con qualche inevitabile, ma speriamo solo apparente, digressione al dibattito architettonico a lui contemporaneo.
     
     
     
     
     

    1. Il Big bang dell'architettura


      1. Poker Vitruviano?

    L'architettura, dicevano gli antichi, ha tre componenti. Pollio Vitruvius nel 1 secolo a.c. individua la sfera della Utilitas, che possiamo chiamare funzione, la Firmitas che investe la costruzione e poi la Venustas, cioè la bellezza. Nei secoli questa triade si è sotto articolata, i pesi delle componenti sono stati diversamente gerarchizzati ma mai completamente sfidata l'idea che il risultato fosse legittimato quale "sintesi". Per avere un rapidissimo test, basti pensare agli anni Venti in questo secolo quando coesistevano tre approcci ben diversi: l'impostazione accademica, formalizzata in un lungo processo che faceva perno sugli ordini classici e sulla tipologia e che aveva sancito delle regole auree che aderivano a una concezione sovrastorica e immutabile di "bellezza"; quella dell'ingegneria, che attraverso le entusiasmanti conquiste dell'ottocento e del nuovo secolo privilegiava il calcolo e la "costruzione a regola d'arte"; e infine quella della "Nuova oggettività" che (soprattutto nel Werkbund e poi nei primi Ciam) si poneva l'obiettivo di affrontare le domande della società industriale. Al primo posto vi era appunto la utilitas, lo studio minimo ma efficiente degli ambiti, delle superfici, dei componenti, negli altri la venustas o la firmitas ma accademia, ingegneria o neue sachlichkeit: creavano solo delle priorità operative. In particolare i grandi architetti che guidarono il rinnovamento dell'architettura del secolo avevano chiara che questa ricerca di sintesi era semmai rafforzata dalle nuovi conoscenze tecniche e scientifiche e che solo uno sforzo intensamente unitario poteva permettere di affrontare con successo le nuove sfide.

    Attraverso un processo esaltante, pieno di errori ma anche di sconvolgenti intuizioni e di oggettive conquiste, Gropius, Mies, Le Corbusier e Wright guidano una trasformazione che simultaneamente investe la sfera della costruzione, nei secoli pietrificata nella tecnica lapidea, quella della funzione, (l'architettura non si occupa solo dei palazzi, le chiese gli edifici pubblici e monumentali ma investe tutto lo spettro del costruito: anche le case degli operai, i servizi minimi, e poi i quartieri e le città,) e quella della vecchia idea di bellezza. In Europa in particolare si combatte violentemente una visione cristallizzata e decorativa, per un minimalismo meccanico, industriale che fa tesoro della contemporanea modifica nel campo della percezione. La cornice prospettica ormai frantumata, nasce un sentire bidimensionale, a-prospettico, dinamico, astratto. In architettura non esistono più figure date a priori (il tetto, la finestra, l'edicola, il portico) ma segni astratti, senza significato proprio, che vengono, come nei quadri dei pittori, accostati in nuove dinamiche composizioni che attraverso la trasparenza del vetro e la struttura puntiforme del cemento armato e dell'acciaio coinvolgono in un flusso continuo esterno ed interno: luce aria verde vengono a fare parte integrante dell'architettura. Al trattatista y del I secolo, che sistematizzava la logica artificiale e dominatrice dell'urbanesimo militare romano, era inoltre estraneo il concetto di luogo (una ubiquitas y diremmo). All'inizio del secolo dall'altra parte dell'oceano, si scoprirà che l'architettura è del sito: quindi ne assorbe leggi di appartenenza nella logica asimmetrica dei volumi e nel processo organico della sua stessa crescita. L'architettura non "si adatta" a un luogo o a un paesaggio preesistente: serve a comprenderlo assorbendone e modificandole le leggi con la propria spazialità. La triade vitruviana si amplia a una quarta componente (indispensabile, tra l'altro, per cogliere la differenza tra l'architettura, abitata e radicata, e la produzione di oggetti, per definizione Mobili).

    L'architettura non è un intrusione nel paesaggio, serve a comprenderlo

    Funzione, costruzione, bellezza nuova consapevolezza dello spazio e del luogo si trasformano tutte insieme in una autentica rivoluzione.. L'architettura vive le sfide del comprendere e razionalizzare i bisogni, la conquista dinamica dello spazio, dà volto a un modo nuovo di percepire la fluidità dell'edificio nel suo intrecciarsi con il tempo della percezione e dell'uso.

    L'essenza polisemica della disciplina (l'architettura a differenza di altre arti serve anche uno scopo pratico) esce semmai rafforzata in questa nuova concezione (chiamata covenzionalmente "moderna", ma sull'aggettivo bisognerà tornare) e si irrobustisce della consapevolezza che l'UOMO, pur se drasticamente diverso da quello dell'Umanesimo rinascimentale, rimane l'agente originante proprio perché vive contemporaneamente dentro le diverse sfere che l'architettura adesso ancora di più e meglio di prima riesce a soddisfare.

    La ragione di questa discussione, stranota ai più, è che Peter Eisenman comincia a emergere nello scenario internazionale proprio attaccando queste idee.

    A suo avviso è proprio per il persistere della fortissima vocazione umanistica della nuova architettura, che nessuna rivoluzione epocale ha avuto luogo in questo secolo. Il fondamento umanistico impiantato nelle prime decadi del quattrocentesco in antitesi alla trascendenza medievale, rimane appunto "il fattore originante" della nuova architettura Conclusione di Eisenman, mediata dal filosofo francese Michael Foucault, nessuna "rivoluzione" è stata posto in atto nell'architettura "moderna". Architettura moderna e "modernismo" sono due cose diverse.

    Il Modernismo che Eisenman rivendica, invece, rappresenta la rottura della centralità umanistica, l'esaltazione del momento autoreferenziale e autonomo della ricerca estetica. Insomma l'oggetto-architettura deve esistere di per sé, rispondere alla sue leggi interne, non derivare o acquisire valore da un contenuto umano. L'uomo non è più l'agente originante, il destinatario finale, il centro. Oggetti ed edifici sono idee, appartengono alla sfera del linguaggio. Dovremo tornare su queste idee, ma cerchiamo ora di capire come direzionano tutta la prima fase del suo lavoro. Quella che va dal 1963, in cui egli termina la sua formazione accademica, termina dieci anni dopo quando si afferma come architetto di spicco dei New York Five.

     

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    2. Riduzionismo esclusivista

    Si fa un errore a pensare che il momento pregnante del lavoro di Eisenman sia quello in cui l'architetto, nei primi anni Settanta, comincia a assumere notorietà internazionale. È nel decennio precedente che i nodi vengono al pettine.

    Eisenman nato a Newark, città del New Jersey, l'11 agosto del 1932 studia architettura alla prestigiosa università privata di Cornell nel nord dello stato di New York dove, dopo aver svolto il servizio militare come ufficiale in Corea, si laurea nel 1955 con una tesi regolarmente premiata. Come è usuale negli Stati Uniti, dopo alcuni anni di pratica presso accreditati studi (Percival Goodman a New York e The Architects Collaborative, lo studio di Gropius, a Boston), torna agli studi universitari ottenendo il Master of science alla Columbia di New York nel 1959. Decisivo nella sua formazione è l'incontro con Colin Rowe, "il più importante dei miei padri". Rowe (nato nel 1922 y) ha un atteggiamento ricorrente negli intellettuali britannici. Uno snobismo eccentrico, nel suo caso irrobustito da vasta cultura, intelligenza e capacità di convinzione sia nella parola che negli scritti. Già negli anni Cinquanta il critico britannico studia la categoria, per altro fondativa nella nuova architettura, della trasparenza. Il suo approccio si autodefinisce "formalista": tende a scoprire ed evidenziare la logica del linguaggio architettonico che viene di conseguenza indagata, piuttosto che nei rapporti con il contesto storico-culturale, con lo stato dell'arte del costruire, o quale risposta a domande sociali, politiche, funzionali o ideologiche, nei suoi meccanismi interni di evoluzione, trasformazione, combinazione eccetera. Attraverso questa via, e la cosa non è affatto banale o trascurabile, si può interpretare Le Corbusier con Palladio e viceversa.

    Rowe orienta la tesi di dottorato di Eisenman completata presso la facoltà di Cambridge dopo un triennio trascorso in Inghilterra terminato nel 1963. The Formal Basis for Modern Architecture si struttura come una rilettura analitica di alcuni esempi contemporanei condotta anche con l'ausilio di numerosi diagrammi. Il trentunenne studioso vi mette a punto gli strumenti per una analisi pertinente al progetto che è fatta con le stesse armi che si usano sul tavolo da disegno. Il dr. Eisenman, formato al massimo livello accademico quale teorico della progettazione, torna negli Stati Uniti per insegnare come Lecturer a Princenton dove incontrà il coetaneo Michael Graves anche lui docente alla stessa università. Con l'amicizia tra i due giovani architetti (sviluppatosi anche in diverse collaborazioni progettuali) comincia a prendere corpo il nocciolo di quelli che saranno i NY Five. Con Graves cerca una strada tra impegno e urban design nei progetto di Manhattan Waterfront (1966) e in altre prove di concorso a Boston, Washington, Berkeley, ma non sarà questa la strada dell'affermazione.

    Nel 1959 muore Wright, e poi in rapida successione Le Corbusier, (1965 y) Gropius (1969 y) Mies (1972 y). Con la "morte dei maestri" scompare o meglio viene posta in crisi proprio la vocazione sintetica, unitaria dell'architettura che essi avevano tenuto insieme cercando sino alla fine, almeno con Le Corbusier e Wright, di conservare anche l'originario spirito di "rivoluzione permanente". Se si guarda alla scena americana degli anni Sessanta, in cui Eisenman comincia a muoversi, si scoprono un certo numero di continuatori di Gropius che aveva già da un quindicennio formalizzato uno studio allargato a molti collaboratori, ma il paradigma più diffuso e vincente è quello offerto da Mies van Der Rohe. Contemporaneamente emergono alcuni nuovi talenti come Paul Rudolph, Ieoh Ming Pei o Kevin Roche che aveva preso con Dinkeloo le redini dello studio Eero Saarinen prematuramente scomparso, alcuni geniali ma isolati continuatori della eterodossia wrightiana come Bruce Goff, una estesa produzione di qualità anche medio alta affidata ai grandi studi da Skidmore Owings and Merril a Minoru Yamasaki.

    La novità più forte è quella di Louis Kahn, ma si tratta di un messaggio che non ammette repliche; quando trascritto da altri, immancabilmente impoverito. Esaurita la spinta della nuova architettura, confrontata con una pratica di routine e di buon senso, o con l'ascetismo tutto costruttivo di Mies, Kahn opera un drastico azzeramento. Una rifondazione strutturata sulle motivazioni profonde al bisogno di architettura per l'uomo e le sue "istituzioni". Una ricerca sui "perché", legata a concetti di permanenza e a valori sovrastorici, perenni. Per Kahn Il progetto (design) non più è aggredibile analiticamente via le componenti tecniche, estetiche o funzionali ("la forma segue la funzione) ma sempre ricerca di sintesi protesa a un momento superiore (form) che raggruma contemporaneamente le tre componenti: costruzione, funzione e forma si condensano nella "stanza" e successivamente queste monadi con significato si aggregano attraverso suggestioni archetipiche (la luce dall'alto, gli spazi contenitori e contenuti, il sistema concentrico di spazi differenziati) in una nuova ricerca sul "tipo edilizio". Il processo di progettazione si trasforma in una ricerca di intima coesività. È l'opposto di una ricerca formalistica, o meccanicistica. Semmai la formula kahniana recita: forma è funzione forma è costruzione.

    La tautologia kahniana risucchia le sfere della vecchia triade vitruviana nel buco nero di una condizione primigenia. È l'ultimo ed estremo paradigma sintetico del secolo che, nella stessa impossibilità di diventare regola estensibile, accende una miccia. Contratta ai minimi termini di una tautologia, la stessa nozione di architettura quale sintesi tra diversi ESPLODE. in una miriade di frammenti, di schegge lontane e separate una dall'altra. È il Big bang degli anni Sessanta. Si accendono e spengono stelle e stelline ciascuna basata non più sull'idea di sintesi ma su quella di particolare. . D'altronde è il mondo stesso che non è più unitario, ma si diversifica in una miriade di stati, di opzioni diverse in una società del molteplice di cui lo stesso Sessantotto sancisce l'evidenza. Così la cultura architettonica, che con i maestri si era concentrata (pur se con accezioni diverse in Gropius, Mies, Wright, Le Corbusier e appunto nello stesso Kahn), nel tentativo di tenere insieme le componenti eterogenee dell'architettura perde la sua vocazione totalizzante e si occupa di frammenti di quello che prima era un insieme. Dopo Kahn si costruirà valore, non più sull'unitarietà ma sulla particolarità, non più sulla centralità ma sull'eccentricità, non più sulla ragionevolezza ma sull'esclusività.

    Il fenomeno avviene simultaneamente su tutti i fronti della vecchia trinità, ormai distrutta quale Dio uno e trino. Se Rowe è il campione di una lettura autorefenrenziale sul linguaggio, nel medesimo scorcio tra fine Cinquanta e inizio Sessanta, gli scritti dell'inglese Reyer Banham y - con l'esaltazione del momento tecnologico costruttivo - e dell'italiano Leonardo Benevolo, - con una indagine prevalentemente socio-funzionale che dalla nuova architettura si estende all'indietro sino al Rinascimento - contribuiscono su fronti diversi all'aratura sul fronte storico-critico di un terreno esclusivista che si svilupperà vieppiù nel decennio successivo. Si tende spesso a dimenticare, che uno dei libri più influenti degli anni Sessanta è Note sulla sintesi della forma nel quale un giovane architetto con solide basi nella matematica porta agli estremi una concezione deterministica. Il risultato formale è per Christopher Alexander il frutto di una ricerca meccanica di un albero di requisiti che possono tutti essere descritti e indagati nello loro ramificazioni e necessità di ordine pratico. È l'esplicitazione estrema ( decine e decine di attributi per uno scalda acqua) della Utilitas. Il paradigma scientifico spoglia l'architettura di tutti gli altri suoi attributi, soprattutto quelli autonomamente estetici. Questo tipo di riduzionismo meccanicistico si connota più oltre, nello stesso Alexander ma anche in altri progettisti, di sociologismo. Si rivendica tutto al momento della partecipazione, del bricolage, del montaggio quasi casuale degli elementi scelti direttamente dagli utenti.

    Ma dicevamo che questa concentrazione sul particolare, su una scheggia di quello che prima era unito avviene anche in altre direzioni . Basti pensare all'esaltazione del momento tecnico-costruttivo nelle esperienze radicali di gruppi quali gli Archigram o dello stesso Buckminster Fuller che si travasano in opere concepite nei primi anni Settanta dove si presentano costruzioni-macchine, scheletri le cui ossa e vene, magari colorate, sono diventate il tutto.

    Un altro decisivo libro degli anni Sessanta basato, su un fronte diverso, sullo stesso fenomeno riduzionista è quello di un ex collaboratore di Kahn. Scrive a ragione Tafuri che Robert Venturi apre "il pozzo senza fondo della ricerca formale". Eppure questa apertura, che sarà negli anni a venire il filone portante del cosiddetto post-modernismo, avviene attraverso un'operazione di per sé interessante. È l'interesse verso i nuovi significati indicati dalla Pop Art: l'arte deve metabolizzare anche il momento spontaneo, vernacolare, periferico, kitch della società contemporanea. Tesa da una parte alla sua storia alle sue regole e dall'altra al fluttuante mondo della società di massa (il Campidoglio e Michelangelo e dall'altra Las Vegas e le insegne pubblicitarie) l'architettura non può che raffigurare, appunto, complessità e contraddizioni.

    In questa generalizzata frammentazione della visione unitaria della disciplina, Eisenman si afferma sulla scena internazionale attraverso una ancora diversa visione riduzionista ed esclusivista. Vediamo attraverso quale percorso, perché naturalmente pur se gli esiti che lo sanciscono come figura di spicco della nuova avanguardia architettonica (sancito da un sondaggio che la rivista "Progressive Architetcture", ha compiuto il decennio seguente) alcuni "padri" sono esistiti, che con sorprendente intuito e acume combinerà.
     
     
     
     

    2. Architettare testi e
    manifesti


    1. Architetto-artista concettuale.

    Eisenman docente a Princeton (cittadina universitaria del New Jersey a poca distanza da New York), è abituale frequentatore dell'ambiente d'élite dell'avanguardia (forse anche nel suo caso si potrebbe parlare della categoria del Manhattanismo come in David Byrne, Woody Allen, Andy Warhol) e cerca la propria autonomia con una serie di distinguo rispetto al dibattito architettonico del momento.

    Innanzitutto si distanzia dall'impostazione kahninana rifiutandone sia la tensione sovrastorica. che i risultati, (che certo porgevano il fianco anche a entusiasmi accademici e passatisti). Rifiutando il paradigma sintetico e sovrastorico del maestro di Philadelphia egli taglia un cordone con la cultura degli anni Sessanta e contemporaneamente ne recide altri: quello funzionalistico-sociologico alla Alexander, quello costruttivo-utopistico (Archigram, Buckminster Fuller eccetera), naturalmente quello produttivistico degli studi incorporati o del professionismo di alta qualità come quello di Pei o Rudolph o Roche per il quale in fondo, non ha neanche la predisposizione creativa e la struttura di supporto professionale. La sua lunga esperienza in Europa, la vita a New York (la città meno americana d'America) lo allontanano da ogni mito della "frontiera" (alla Bruce Goff o Paolo Soleri).

    Semmai, più prossima la sua posizione potrebbe essere alla ricerca sofisticata e provocatoria di Venturi o dello stessa Tendenza italiana (parteciperà alla Triennale milanese coordinata da Rossi nel 1973 y). Ma in un caso come nell'altro le differenze sono fortissime: infatti in entrambi persiste, malgrè y soi diremmo, una visione contenutistica. Da una parte rivolta a una ricerca aperta al quotidiano, dall'altra a una metafisica di tipi e forme pure che, riscoprendo "l'edilizia cittadina" proposta nel ventennio da Piacentini, la promuove quale indicazione sociale e politica di segno opposto. Eisenman scoprirà una strada radicalmente diversa.

    Gli anni Sessanta vedono l'affermarsi sul fronte filosofico dell'analisi sul "testo" (che avrà in Italia "eco", oltre che negli scritti dell'autore di Opera aperta, anche in architettura attraverso il lavoro di Renato De Fusco e della sua rivista "Op. Cit." e negli scritti soprattutto di Giovanni Koenig molto vicino a Bruno Zevi). Le basi teoriche sono nel lavoro di De Saussure a inizio secolo, uno sviluppo rimarchevole si era compiuto nel lavoro degli strutturalisti sovietici come ..... y ma negli anni di Eisenman figura emergente è quella di Noam Chomsky, il suo secondo padre. Intellettuale tanto impegnato politicamente nel movimento pacifista che porterà al Sessantotto americano che sulla analisi del testo come struttura di significati autonomamente relazionati, il generativismo di Chomsky diventa la componente con la quale a un tempo irrobustire il formalismo di Rowe e iniziare un processo di "dislocamento".

    Si tratta di una delle parole chiave del nostro. Eisenman sin da giovane ha piena consapevolezza, che la conoscenza artistica non viaggia per coerenze ma per frizioni tra entità diverse. A compatibilità scontate sostituisce, con tutti i rischi del caso, incompatibilità: nella speranza diventino rivelatrici. Disclocare, pertanto, vuol dire operare non solo "da dentro" il linguaggio dell'architettura medesimo, ma anche "da fuori" facendo intervenire (non gli abituali contenuti ideologici, politici o costruttivi) ma un sistema di pensiero tanto più destabilizzante quanto più lontano dalla prassi e dai contenuti tradizionali dell'architettura.

    Pur se la prima dislocazione di quella che sarà una lunga serie è meno dirompente delle successive (testo letterario e testo architettonico fanno entrambi perno sul linguaggio) rimane una grande novità: l'architettura è un testo, i suoi riferimenti sono dentro la logica architettonica ma allo stesso tempo dislocati in altri sistemi del pensiero. Tipico a proposito è il suo primo manifesto della serie "Notes on Conceptual Architecture. Towards a definition" del 1969, dove cinque numeri su un foglio bianco rimandano ad altrettanti testi da Donald Karshan con un saggio in Conceptual Art and Conceptual Aspects a Gregory Battock, Minimal Art , da Erwin Panofsky Idea, a concept in art theory a Dematerialization of Art. "Un quadro" di architettura che fa riferimento alle nuove teorie tra minimalismo e arte concettuale della nuova avanguardia ad artisti come Sol Lewitt, Joseph Kossut, Donald Judd e a critici come Rosalind Krauss e Clement Greenberg.

    Su queste basi, Eisenman compie la sua prima affermazione come vedette internazionale. L'architettura viene indagata come un "testo" per rappresentare "la struttura formale di una narrazione", non per veicolare il complesso dei significati ideologici, funzionali, sociali, costruttivi.

    Ma se l'architettura è un testo, essa diventa allo stesso tempo - è il bel titolo del saggio di Pippo Ciorra; nella sua monografia - "un pretesto". Il medium è secondario: scrittura verbale, scrittura progettuale, scrittura costruttiva sono solo dei supporti intercambiabili. Non solo. Scrittura ex novo e ri-scrittura critica si identificano ("Terragni non esiste. Terragni l'ho inventato io. Terragni sono io." - affermerà in una conferenza).

    Eisenman in questo processo si autorappresenta non come un architetto tradizionale, ma come un "architetto concettuale": campione dell'analisi linguistica dell'architettura nei suoi significati logici autoreferenziali (via Rowe) quanto dei rapporti con la struttura di origine letteraria del testo (via Chomsky) (con riferimenti sparsi alle avanguardie artistiche del momento): è la sua personale rappresentazione, la sua scheggia del Big-Bang.

    Su queste coordinate la sua stella comincia a brillare, ad acquisire una propria consistenza esercitando i propri effetti gravitazionali coesistendo, a distanza, con altri sistemi solari della nuova galassia in cui è ormai esplosa la cultura architettonica. La miscela di unilateralità e perentorietà che egli afferma sul fronte del nuovo formalismo linguistico si ritrova infatti, nel corso degli anni Settanta, con la stessa perentorietà ed esclusività, anche in Rossi e Krier nella memoria delle forme primarie, in Venturi nel kitch, in Piano e Rogers nell'high-tech, in Kroll nel bricolage. Ma la miscela di Eisenman sarà vieppiù particolare perché egli intuisce che non basta avere idee e teorie: bisogna sapere strutturarsi entro un mondo ormai dominato dalla comunicazione
     

    2. Cultura è un business.

    Nella molteplicità del mondo contemporaneo e nella stessa frammentazione in cui si è ormai spezzata la disciplina, l'eccentricità, la perentorietà, e l'esclusività di una posizione intellettuale (non la sua "bontà") crea valore se veicolato in appositi media. Essi stessi infatti hanno bisogno di idee (diremmo, hanno bisogno "comunque", di idee) per funzionare nel mondo delle merci. Idee e tesi, per quanto lontane dalle consuetudini, vanno presentata con forza provocatoria, con una buona dose di teatralità (siamo anche nel momento del nuovo teatro e degli happenings), teorizzate in tutti gli aspetti, diffuse in tutte le sedi, legittimate e soprattutto autolegittimate attraverso un dislocamento eccentrico (possibilmente, "esotico") ma di cui bisogna captare le potenzialità di sviluppo e di accettazione.

    Il ventaglio delle iniziative di Eisenman relazionate al variegato mondo della comunicazione è vasto e articolato. Invece di radicarsi come l'amico Graves a Princeton diffonde le sue tesi insegnando in moltissime università: alla Cooper Union (diretta dal più anziano Hedjuk), in Texas (che aveva visto insegnare Rowe nella sua fase della trasparenza), a Columbia e più avanti alle università di Harvard, Carnegie-Mellon, Maryland, Illinois, Ohio State. Il suo approccio all'insegnamento naturalmente è molto diverso da quello abituale condotto da architetti professionisti che spesso negli Stati Uniti conducono i corsi di progettazione. Eisenman ha una dirompente forza di penetrazione nei discenti (miei ex studenti passati al suo corso me ne scrivevano ammirati ed entusiasti) che deriva dalla naturale "energia didattica" della sua stessa architettura e dalla sua fortissima base teorica. Egli focalizza l'insegnamento su concetti, modi di operare, parole chiave tutte interne al proprio sistema (graft, folding, scaling che negli anni va affinandosi e cresce): un gergo che stupisce e infastidisce dall'esterno, ma che in realtà è assolutamente indispensabile per direzionare le esplorazioni progettuali dei singoli quanto per trarre dall'insegnare un necessario feed-back. Naturalmente alcuni studenti diventano satelliti del suo sistema di pubbliche relazioni ma sono gli stessi circoli intellettuali delle prestigiose università in cui insegna che si trasformano in potenziali committenti: in una prima fase per le case degli stessi professori, più oltre per gli edifici dei campus.

    Un punto decisivo di coagulo di iniziative è l'Institute for architecture and urban studies che co-fonda nel 1967 a New York (e dirigerà sino ai primi anni Ottanta e con un picco di popolarità e di successo alla metà degli anni Settanta con la presenza di personalità come Rossi Tafuri Scolari Tschumi, Koolhaas e Fujii. L'Iaus è un'istituzione atipica: tribuna per teorici, architetti, artisti ma anche atelier per aspiranti architetti che vogliono compiere un internato fuori dalla strutture accademiche o rigidamente professionali. L'Iaus, registrato tra le istituzioni dello Stato e in un primo momento agganciato al Museo d'arte moderna della città , diffonde culturalmente le posizioni di Eisenman e poi dei Five, si apre alla presenza di altre vedette internazionali, ma dall'altra, e in collaborazione con l'Urban development corporation della città, promuove e realizza alcuni interventi abitativi su cui torneremo inseguito.

    Questo quadro in movimento trova in diverse riviste una tribuna ("Perspecta", "Casabella" y eccetera) ma è Eisenman stesso che, naturalmente, oltre al mensile informativo "Skyline" non può che fondare (1973) una rivista trimestrale che diventerà cult: "Oppositions", il titolo, è naturalmente alla moda tra gli anni Settanta e Sessanta (cfr. le nostre "Contropiano" e "Controspazio"), con una sensibile differenza però. Diversamente dalle riviste italiane fortemente ideologizzate e politicizzate, le "Opposizioni" di Eisenman non saranno mai di ordine politico ideologico ma solo frizioni tra sistemi diversi del pensiero cui abbiamo prima fatto cenno (ed ecco anche il perché della presenza di architetti come Rossi e Scolari nella rivista) Egli rimarrà fedele a un agnosticismo ideologico di fondo. Al massimo la sua etica corrisponde alla buona fede: "Io onestamente credo che quello che sto facendo non è solo per me, vi è un bisogno che sia fatto. C'è una moralità nel farlo" (Eisen 92 p. 107). L'individualismo quale etica. D'altronde lui stesso definisce l'architettura in Europa come motivata dall'ideologia, quella americana, invece, dal business. Potremmo anche dire che in un caso l'architettura è sociale nell'altro, appunto, individuale. La cultura per Eisenman è architettura: La sua azione culturale non può che essere, essa stessa, affare.

    Ma di che stupirsi, perché giudicare moralisticamente ciò?. Il problema è cosa egli propone, cosa rappresenta di pregnante, e soprattutto, (lui stesso non se ne dolerà di certo), come estrarre chirurgicamente dal corpo della sua teoria e dei suoi edifici organi vivi.

    3. Nascita dei Five

    Questo intreccio di iniziative, posizioni, frequentazioni, rifiuti e interessi, intuizioni disciplinari e soprattutto extra-disciplinari si afferma attraverso il lancio e l'affermazione di cinque architetti di New York .

    A un simposio al Museo d'arte moderna di New York (MoMA) del 1969, Kenneth Frampton presenta al pubblico i cinque, tutti tra i trenta e i quaranta anni. Oltre ad Eisenman, Michael Graves (nato nel 1934) John Hejduk (1929), Richard Meier (1934) Charles Gwathmey (1938). L'operazione in realtà è una geniale auto-promozione perché il tutto avviene all'interno della Case (Conference of the architects for the study of the Environment) co-fondato nel 1964, naturalmente da Eisenman stesso.

    Nel 1972 un volume miscellaneo con il nome di "Five Archiects" sancisce l'esistenza, se non di un gruppo, di una impostazione comune ai cinque progettisti e contemporaneamente al volume si apre una mostra al MoMA che andrà anche in altri paesi. Eisenman appare da subito "l'anima teorica", come di lì a poco dirà Manfredo Tafuri, che dedicò attenzione e straordinario acume critico ai cinque architetti a partire dalla prima pubblicazione su "Oppositions" del 1974 sino al volume Five Architects N.Y. del 1976. ((( DOPO? Se Eisenman è il teorico e il terrorista formale, Graves è un illusionista, Meier un meccanico delle funzioni, Hediuk un prestigiatore che lancia e poi raccoglie i suoi pezzi nello spazio, Gwatney associato con Siegel, un colto mediatore.))) Rappresentano visti insieme un mondo dell'architettura senza più riferimenti ideologici, chiuso entro le coordinate del linguaggio di cui sperimentano i limiti con un piacere estetizzante: non masochistico, perché hanno successo, ma senza dubbio un poco sadico. Certo non è lo storico italiano che vuole indicare strade o destini ma "è proprio per tale esperienza del limite, per i loro eccessi, vale a dire, che essi ci interessano: l'eccesso è sempre portatore di conoscenze" (Tafuri 76 p. 10)

    Al fenomeno della promozione dei giovani architetti partecipano sul fronte del sostegno Arthur Drexler, direttore del MoMA che organizza la mostra e introduce il catalogo, Colin Rowe, ormai affermato critico, il più giovane Frampton, nel decennio successivo teorico del "regionalismo critico" ma che in questa fase continua a professare e si occupa in particolare di residenze popolari, William La Riche e oltre oceano lo stesso Tafuri mentre, sul fronte altrettanto importante della negazione, organicamente necessario per giustificare "l'apparato pubblicitario messo in moto per lanciare il gruppo", vi sono architetti come Romaldo Giurgola, Robert Stern, Alan Greenberg che evidentemente criticano da tutti i fronti: l'irragionevolezza, l'esclusivismo, l'estraneità al contesto statunitense, l'invivibilità delle costruzioni: soprattutto quelle prodotte dallo stesso Eisenman.

    In maniera abbastanza sorprendente visto il percorso che abbiamo descritto, l'anima teorica del gruppo, riesce a presentarsi al pubblico non solo via il suo apparato concettuale, ma anche con alcune costruzioni che realizza per committenti sofisticati (accademici o professionisti di alto livello) affascinati dalle sue teorie. La sua progettazione in questa fase si concentra, come è prevedibile, sui meccanismi sintattici. La costruzione, la funzione, la carica ideologica che all'architettura era stata attribuita viene congelata per esaltare il gioco astratto delle parti. Il nesso forma segue funzione è spezzato: i due termini che facevano centro sull'uomo vivono ora un rapporto dialettico e uno scontro nihilista. Il progetto si auto-definisce nella dimensione teorica del "testo" e le quattro case realizzate tra il 1968 e il 1975 non aggiungono nulla a quanto previsto nell'ideazione.

    Non sono pertanto le foto delle costruzioni, i disegni ortogonali del progetto o i plastici il centro delle sue esposizioni, quanto i numerosi diagrammi assonometrici che illustrano i passaggi evolutivi (generativi) dell'opera. Una prassi di smembramento all'indietro del progetto, disegnata, in un'era pre-Cad, apparentemente in modo maniacale. In realtà per una ragione fondamentale. Eisenman sa che la merce del mondo occidentale è la conoscenza (lo abbiamo detto prima ripercorrendo brevemente il ventaglio delle sue iniziative) e quindi essa deve essere anche "formalizzata"; resi espliciti, trasmissibili e comunicabili i meccanismi di legittimazione dell'opera. Assieme agli schemi nasce così una formula che colpisce come una frustata e fa guardare il mondo delle costruzioni con una lente diversa. Cardboard architecture. Architetture di Carta 


    3. Partiture di carte e
    di dadi
    1 Peter Terragni
    Eisenman tra il 1967 e il 1983 progetta una diecina di case di cui ne riesce a realizzare cinque. Come composizioni musicali, i progetti portano un numero progressivo e possono essere divise in cicli. Il primo, dalla House I alla House IV (1967-1975) aderisce alla formula della Cardboard Architecture e corrisponde grosso modo alle mostre collettive (e ai volumi) dei NY Five, il secondo termina nel 1978 con la rinuncia da parte del cliente di costruire House X cui aveva lavorato dal 1975, l'ultimo, che si intreccia con altri progetti, comprende tre opere e si conclude con la Fin d'Ou T Hous S: gioco di parole tra fine di tutte le case, e fine di Agosto. Quello del 1983 che chiude il capitolo.

    Le prime quattro case vogliono essere "di carta" (letteralmente sarebbe "di cartone") non tanto per il loro aspetto leggero, quasi immateriale, quanto per sottolineare il substrato concettuale, autoreferenziale che le ha generate. Gia detto La formula, (letteralmente sarebbe "architettura di cartone") congelando già nella titolazione tutti i significati culturalmente e storicamente attribuiti al progetto, sottolinea che architettura è veicolo e non fine e che la fondazione teorica del progetto-testo è molto più importante dell'effettiva costruzione e certo degli eccentrici committenti.

    Ma i numeri sul foglio bianco della Conceptual architecture non sono più sufficienti quando si deve fare un progetto. Adottare un linguaggio si impone perché , come gli altri Five in questa fase, Eisenman non ne possiede uno proprio. Con sicuro intuito, allora, pre-sceglie quello meno usato e consumato nel contesto statunitense del momento. Rowe lo aveva mosso alla riscoperta del Purismo lecorbusieriano, del Neoplasticismo e soprattutto del Razionalismo di Terragni, Lingeri o Cattaneo, praticamente sconosciuto oltre l'Atlantico e, almeno sino al 1968, poco o nulla indagato nella stessa Italia. Sono coordinate relativamente omogenee che combina e porta al limite studiando alcune tecniche compositive proprio dell'autore della casa Giuliani-Frigerio. Non a caso, l'opera più formalistica della produzione dell'architetto di Como.

    Le Corbusier e soprattutto Terragni rappresentano una provocazione esotica, (perché Wright è americano, Aalto troppo simile al primo, Gropius e Mies completamente americanizzati, Kahn agli antipodi culturalmente). È un dislocamento che determina (se accettato) valore e status. Ma è anche un'operazione che necessita di vaste e onnivore conoscenze e soprattutto della imponderabile sensibilità culturale che fa guardare gli impressionisti alle stampe giapponesi, Picasso e Braque alle maschere negre, Capogrossi e Burri ai moduli ripetibili della città o alla materialità stessa dell'architettura, un quarantenne newyorchese a un quasi sconosciuto architetto italiano, morto tragicamente giovanissimo, e che diventa per lui, ma non sarà il solo, ossessione: sogno, incubo desiderio.
     
     

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    Nella House I e soprattutto nella House II Eisenman affronta una questione di natura formale che ha origine nel suo alter ego. Sempre interessato alle differenze, alle frizioni, alle opposizioni egli è attratto da due opere del comasco in contrasto l'una all'altra. Tra la Casa del fascio e la Giuliani Frigerio (le uniche tra l'altro su cui pubblicherà qualcosa) l'opposizione si basa sul diverso meccanismo di "stratificazione" che le ha generate. Nella Casa del fascio è un processo che parte dall'esterno (la forma stereometrica del prisma) verso l'interno. L'esito è noto. Pur conservando la presenza del semicubo primitivo Terragni riesce a conferirgli un tensione astratta (con partiture a tutta altezza che si alternano asimmetricamente nei fronti) quanto dinamica, (perché i diversi spessori delle stratificazioni sul volume invitano continuamente ad una esplorazione del prisma). In una parola, è un processo di Estrazione, operato attraverso intagli geometrici di diverse dimensione e di profondità variabile .

    La casa Giuliani Frigerio invece è basata su un processo di esplosione. La stratificazione non si muove da fuori a dentro ma all'inverso. L'esito è lo slancio dinamico dei piani e dei volumi che non vengono più trattenuti da alcuna virtualità originaria ma invadono lo spazio. Il problema, per un ricercatore di nuove tensioni quale Eisenman, è quello di lavorare dentro questa differenza, dentro questa tensione tra estrazione e esplosione. Presentare il problema, farcelo conoscere, dargli evidenza. I progetti delle sue prime case diventano a tutti gli effetti due saggi di architettura, il cui tema, come negli scritti, è di natura strettamente linguistica. Gli esiti di questa riflessione, fatta questa volta con le armi del progetto, saranno incomparabilmente più ricchi e profondi dei saggi su "Perspecta" e "Casabella"

    Diciamo subito però che in House I (padiglione Barenholtz) a Princeton del 1967-1968 questo conflitto è appena accennato. L'edificio destinato a mostra di giocattoli presenta la tipica rigidezza di alcune opere prime, un corbusierismo di maniera e forse il suo dato più interessante è l'organizzazione ad "L" del vano interno e il trattamento nella doppia altezza del vano centrale che reinterpreta, ma in maniera originale, il sistema a telaio del grande salone della Casa del fascio.

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    Nella House II (Residenza Falk a Hardwick 1969-1970) che epidermicamente è certamente avvicinabile al Neoplasticismo presenta invece il conflitto delle due opere "opposte" di Terragni. Eisenman riprende da la Casa del fascio l'idea di un quadrato in pianta che viene compresso in alzato nello stesso rapporto di 1/2 adoperato da Terragni. Ma il semi-cubo che egli genera non è più stereometricamente compatto perché viene modulato tridimensionalmente in nove quadrati che vengono abitati di nuovo lungo una "L" (una geometria estranea alla Casa del fascio e alla Giuliani Frigerio e raramente adoperata da Terragni, ma che in Eisenman avrà ulteriori sviluppi) e lasciati liberi nella doppia altezza della corte interna. Questo mondo interno, nella stessa presenza di parti libere e di geometrie dinamiche basate sulla "L " spinge verso l'esterno e si scontra con il sistema a telaio che trattiene la pressione dinamica esercitata dalle parti.

    La stratificazione dei volumi, generata dallo scalettamento dei cubi ad "L", a volte arriva in facciata a volte si ferma presentandosi come puro scavo. Il sistema che trattiene e quello che spinge entrano in conflitto con raddoppiamenti della struttura e con la creazione sui due lati della "L" di uno spazio interstiziale occupato da un lato dalla scala dall'altro da uno spazio libero sorta di diaframma a tutta altezza. Una soluzione quella dello slittamento e sovrapposizione dei moduli quadrati per lasciare posto alla circolazione verticale e orizzontale anch'essa derivata da Terragni e che Eisenman adotta anche in alzato: cosicché all'incertezza palese della House I nel ricavare il sistema delle bucature qui corrisponde la precisione dettata dalle diverse tensioni che generano l'opera.

    La perimetrazione esterna, richiama la presenza della forma primaria e lo stesso uso del telaio della Casa del fascio, ma l'interno mette in azione lo slancio dinamico della Giuliani-Frigerio. Il telaio esterno di conseguenza non definisce più come nella Casa del Fascio intagli geometrici sul cubo ma diventa un piano astratto, una struttura trasparente lasciata all'esterno per trattenere i piani e i volumi che esplodendo vorrebbero eliminare la gabbia.

    La soluzione che Eisenman dà al conflitto che aveva scoperto in Terragni ha una parola: Implosione. Una esplosione delle pareti, dei piani, dei volumi che però non invade l'esterno ma è rivolta all'interno, verso il dentro, verso se stessa. Una violenta reazione chimica viene trattenuta ed esaminata dentro una provetta. Naturalmente si può riflettere ulteriormente "sul significato" di questa operazione: un'architettura ormai divenuta solo linguaggio che esplode su stessa e anche come le parole di "Virtualità" o di "Presenza dell'assenza" (quest'ultima di Jencks) sono in realtà sfocate per l'operazione implosiva scoperta da Eisenman.

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    Se le scoperte si muovono mettendo insieme tensioni o problemi che non erano dati in quanto tali prima della nascita dell'opera, si potrebbe dire che questa casa "dà una soluzione" a una tensione presente, ma non isolata prima quale "Tema".

    Il viaggio nel progettare chiarifica il problema, lo enuclea, ne trova una soluzione. ("Arte è risolvere problemi che non possono essere formulati fino a che non sono risolti" con le parole di Piet Hein). House II dà una chiave critica per comprenderlo e a ritroso per reinterpretare le fonti. In altre parole, il suo lavoro vero su Terragni non sono i due articoli, (importanti "storicamente" per la loro pionieristica lettura sintattica, quanto deludenti oggi) o il libro fantasma promesso dal 1976, addirittura presente in Bibliografia (come, Giuseppe Terragni, Cambridge, 1985) ma mai in circolazione anche se una nuova Casa editrice lo riannuncerà, senza risultati, nel 1992. Il suo vero lavoro saggistico su Terragni è House II.

    2. Differenze e Diagrammi

    A questo punto si capirà meglio come il problema delle Implosione scoperto da Eisenman è diverso da quello di altri protagonisti della scena anni Settanta.

    Le popolarissime case dell'architetto ticinese Mario Botta elaborano una dialettica di contenitore-contenuto. Il primo segue un andamento stereometrico e una volumetria pura, il secondo, invece, articola i piani, i livelli, gli spazi. Stereometria e dinamismo convivono l'uno dentro l'altro perché il contenitore è una scatola svuotata entro la quale si colloca uno scrigno articolato e libero. (Più avanti questa meccanismo verrà svilito attraverso tagli assiali e simmetrie classicheggianti del contenitore che banalizza le tensioni tra il sistema esterno e quello interno).

    Le case di Hejduk elaborano una delle componenti del purismo Le Corbusieriano, (i volumi puri) innestandovi le tarde composizioni urbanistiche del maestro (come quelle di Chandigarh): oggetti a reazione poetica (a volte prismatici, più spesso ad andamento ondulato e mistilineo) non sono racchiusi in volumi unificanti ma lanciati nello spazio e collegati da meccanismi di percorso che anch'essi diventano oggetti. I pezzi di questo gioco di PRESTIGIO possono continuamente variare posizione nello spazio, in un incessante rincorrersi. (È un'operazione simile a quella compiuta da Gwathmey, che se perde in rigore sintattico acquista concretezza nel mediare l'assunto linguistico con le necessita del programma, del sito, della costruzione.)

    Le prime case di Graves sono apparentemente le più simili a quelle di Eisenman derivando entrambe dal medesimo filone, ma piani spazi e forme giocano con il collage, con una presenza quasi surrealista di panelli dipinti e soprattutto con un uso prezioso del colore lontano dall'ascetismo didattico del nostro. Il puro "talento" di Graves, la sua capacità inventiva sono tutti orientati verso una sorta di ILLUSIONISMO percettivo stimolante in questa fase quanto stucchevole più avanti (quando il suo talento si rivolgerà al monumentalismo corporativo e alla riscoperta della tradizione eclettica americana).

    Le case di Meier invece partono dal programma funzionale e organizzativo. Il bianco è il non-colore che adotta sempre e il suo comporre astratto si basa in realtà su una nuova forma di figurazione. Non più quella tradizionale degli elementi e dei punti di vista privilegiati, della simmetria e degli ordini, ma bensì quella delle funzioni. I collegamenti interni, le rampe, le scale, gli spazi serviti con le grande vetrate e quelli di servizio nei volumi pieni sono le basi del suo comporre. I risultati sono buone architetture, ma in fondo prevedibili perché scaturite da certezze che raramente spingono la ricerca nei territori del difficile e dell'incerto. Meier è in questa fase un abile e dotato Meccanico delle funzioni come dimostrano i diagrammi, (programma, struttura, circolazione, geometria) che sempre accompagnano i suoi progetti.
     
     

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    Proprio i diagrammi esplicativi di Meier dimostrano per contrasto la natura di quelli di Eisenman. che, nonostante la loro presunta didatticità, sono maschere. Nel loro asettico susseguirsi essi ripercorrono le mosse di un ipotetico gioco che poco o nulla ha che vedere con la complessità del reale ragionare sul progetto. Male si farebbe a interpretare le sue case fidandosi di questi diagrammi assonometrici (e vieppiù degli scritti dell'autore). La ragione prima dei disegni non è critica (che, come autore, non è tenuto a fare), né autocritica (l'unica legittimato a compiere, e che invece, mai farà) ma pubblicitaria. Sono strumenti in quella campagna di legittimizzazione di cui abbiamo parlato. Senza stampa, mostre o studenti sarebbero inutili. Ma questi schemi promozionali, questi diagrammi di gioco non solo non servono criticamente ma ingenerano nel progettista stesso un grosso equivoco: quello tra una mossa arbitraria (ma rivelatrice) e una semplicemente errata, in cui la partita-progetto viene persa. È quanto avviene con la House III.
     
     

    3. Perversioni dell'arbitrario.

    Trovato e poi risolto con efficacia un autentico nodo sintattico con la House II, Eisenman va in cerca di nuove avventure che si muovono esattamente in questa dimensione "di gioco" dei diagrammi La forzatura del carattere di testo dell'architettura, il suo svincolarsi dalle usuali parametri di controllo costruttivo e funzionale gli permette di fare perno sul concetto di arbitrarietà. È quanto avviene nella Casa III (Lakeville 1969-1971).

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    Si parte anche in questo caso da un cubo questa volta diviso in tre fasce. Poi si ripete l'operazione sul lato contiguo determinando 18 quadrati complessivi (nove per piano). A questo punto, ecco la mossa arbitraria: perché non inserire su questa struttura un nuovo cubo, magari ruotato di 45 gradi? L'origine di questa decisione è arbitraria, non è dettata da ragioni di alcun tipo eccetto quella della sperimentazione pura. (Estranei a Eisenman sono gli assunti del simbolismo funzionale della casa Esherick y di Kahn o quelli della creazione di un esterno dinamico conformato dalle rotazioni delle fabbrica come nel villaggio di y Charles Moore e Mltw) Poco male se, dopo una prima verifica, l'idea venisse abbandonata oppure se si scoprissero, strada facendo, delle inaspettate valenze. Ma questo non avviene, perché l'architetto non rinforza questa mossa arbitraria con alcuna altra scelta e anzi la ibrida ulteriormente, rivelandone la gracilità, creando gli spazi abitati sia lungo la diagonale a 45 gradi del nuovo cubo che lungo un lato dell'asse originario. Certo, nasce un conflitto, una tensione tra queste due geometrie. Ma è solamente quella dell'arbitrio che si ripresenta tautologicamente in quanto tale. La struttura diventa sovrabbondante, doppia, tripla, non per rivelarci una tensione tra i due sistemi in contrasto della House II ma semplicemente quale derivazione della scelta che l'ha generata. L'architettura non è più un testo, neanche un pretesto, ma un solitario gioco di carte che non può che far pensare a una pratica onanistica y. La partita del progetto è persa.

    Naturalmente tutto può essere teorizzato se alle capacità di retorica si aggiunge una spruzzata di cinismo. E qui si teorizza lo straniamento del cliente, il suo essere un intruso che entra in uno spazio non suo. Gli abitanti debbono compiere un processo di appropriazione di un oggetto ad essi estraneo. Questo farebbe scattare "un senso di esclusione che lavora dialetticamente per generare un nuovo tipo di partecipazione-progettazione". Buchi nel pavimento della camera da letto, scale che si muovono al contrario, tavoli a cui non si riesce ad accedere. Una architettura sbagliata viene teorizzata attraverso presunti valori contenutistici che si erano preliminarmente esclusi dal proprio universo contraddicendo la contraddizione in un vortice di non sense.

    Le montagne possono essere scomposte nei volumi puri della sfera, del cilindro, del cono e del cubo. Nascono le tele del Moint y Saint Michel. Le bagnanti di Cezanne incontrarsi con le maschere primitive africane. Nascono le Demoseilles y d'Avignone. Le regole dell'astrattismo, di per se estranee a ogni tensione ideologica, possono essere accoppiate alla rabbia civile per un massacro. Nasce Guernica. Sperimentare frizioni tra distanti è la chiave per nuove conoscenze. La partenza può apparire arbitraria, l'arrivo sancisce l'assoluta necessità di quella scelta. Nella ricerca (artistica, ma non solo) tra "il caso" (che può essere anche generato arbitrariamente) e "l'arbitrio" sino alla rappresentazione, addirittura edificata, dei se stesso vi è una differenza. In questa House III, una mossa arbitraria non conduce a nulla se non a ripresentare se stessa..

    Sono riflessioni che possono avere interesse relativo: il fatto importante è che è Eisenman stesso che comprende nei fatti la differenza Troppo intelligente per imbottigliarsi in un cunicolo senza uscita opera infatti un'immediata retromarcia.

    La House IV, infatti, fa un passo indietro e ritorna al tema scoperto nella House II. L'Implosione qui è risolta in maniera, in stile, in una quasi graziosa esercitazione e nel modo tutto sommato più naturale: uno spazio quadrato centrale con gli ambienti principali distribuiti su livelli sfalsati e uno spazio a corona esterna che contiene un secondo diaframma. Naturalmente questo diaframma si svuota o si chiude, varia leggermente, a volte manca completamente. per far percepire tutta la profondità dello spazio. Un'opera estremamente ben congegnata, che rivela con didattica evidenza come risolvere il problema, ma che anche, per questa sua stessa sicurezza, rischia di innestare, una routine, un modo di procedere, uno stile che il giustamente irrequieto Eisenman rifiuta.

    4. La casa del pendio. Eisenman wrightiano?

    House VI, y Ga, cui "Global Architetcure" ha dedicato un numero monografico, introduce acerbamente una strada diversa. Poco a noi interessa la centralità di cui parla Gandelsonas che però vede giustamente in questa casa un cambio di direzione alla "successione dei piani verticali" delle altre opere. Quello che appare chiaramente in questa casa è un procedere non più per piani ma per volumi o meglio il coesistere di "scatole volume" sovrapposte o scalettate svuotate in alto o in basso, ma appunto non più piani ma volumi. È un'azione che l'architetto non ha la lucidità di portare alle estreme conseguenze e che coesiste con bizzarre travi in aggetto a mo' di cornicioni o basamenti e dall'altrettanta incongrua presenza di setti liberi (fragilissime memorie delle operazioni linguistiche tutte diverse compiute nelle opere precedenti). È una maniera embrionale, inconsciamente contraddittoria, di cercare un tema nuovo. (allo stesso modo dell'incerta House I rispetto alla affascinante House II). Per capire l'incertezza di House VI dobbiamo vedere il problema aggredito. È quanto avviene con la House X (Bloomfield Hills Michigan), le altre evidentemente, almeno agli occhi dell'autore, non presentano alcun interesse visto che non sono state pubblicate né appaiono nei regesti delle opere.

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    House X, iniziata nel 1975 ma a cui Eisenman continua a lavorare per alcuni anni, apparentemente seppellisce il problema terragniano del conflitto tra la forma primaria e la dinamica dei piani esplosi, e poi trattenuti. La casa si presenta come una composizione di volumi in masse estremamente articolate che si muovono tutte verso l'esterno per una libera conquista dello spazio. La tempesta in un bicchiere della implosione appare superata. Negli sbalzi, (mai usati prima) negli angoli svuotati, addirittura nelle tessiture diverse dei materiali (è la prima volta che il materiale entra effettivamente in gioco) il progetto sembra muoversi semmai in una poetica wrightiana, almeno in quella di certe opere californiane degli anni Venti, o forse, ancora di più, nel manifesto della stessa Falling Water. Ma questo riferimento, del tutto evidente a guardare gli esiti, non nasce da uno studio critico o teorico, come per Terragni, o da una esotica riscoperta del maestro di Chicago, ma avviene, quasi, per forza di cose.

    Eisenman infatti per la prima volta non appoggia i suoi candidati oggetti "sopra" un vassoio isotropo, omogeneo e in fondo assente, ma del suolo valorizza la componente orografica (un sito che declina) e quindi le viste che si generano. La sua architettura appartiene a quel luogo è, wrightianamente appunto, "di" quella collina.

    Questa poetica per volumi esplosi (il piano libero come il telaio sono quasi seppelliti) si basa, su un percorso anulare che, legando tra loro le varie situazioni del lotto, attraversa in discesa la casa suddividendola in due blocchi. Il percorso incontrando la casa si trasforma in una scala, i cui pianerottoli generano altri due blocchi distinti per lato. Una mossa questa volta "centrata": innanzitutto funzionalmente, perché i quattro quadranti, creano spazi altamente fruibili, collegati tra loro dalla spina in discesa ma ognuno autonomo (zona giorno, studio, sala di servizio, camere separate per gli ospiti per i circa 730 mq complessivi). Mentre il percorso attraversa l'intera casa per poi continuare a legare tra loro altri episodi sull'area, (la piscina, il padiglione d'entrata, i garage) ogni blocco abitato è dotato di un proprio sistema di scale che permette di accedere al livello superiore con stanze o terrazze sull'intera superficie coperta o solo su delle porzioni. I quattro quadranti staccati e a un tempo collegati si possono articolare in differenti altezze e far dialogare i diversi materiali. Eisenman vi userà sia le reti (poi tipiche di Gehry) che i rivestimenti in panelli di alluminio (che saranno la griffe di Meier) ma anche gabbie modulari vetrate che dal percorso fuoriescono lateralmente.

    Il progetto dimostra come si possa superare il conflitto trovato nelle due opere opposte di Terragni e, attraverso una fase di incertezza, comunicare una nuova persuasiva idea. L'opera anticipa una peculiarità di quello che sarà l'Eisenman maturo. La capacità di fare concretamente architettura tenendo alto il tiro della riflessione teorica. Al di là della consapevolezza dell'autore, in fondo trascurabile, si noti come questa casa segni una strada nuova rispetto a due importanti assunti. Quello del famoso schema wrightiano di "ogni uomo il suo castello" (quattro case autonome e indipendenti ma generate da uno schema cruciforme a cui ciascuna è legata su due lati) e quello del Danteum. Terragni nell'edificio emblema per Dante divide il rettangolo in quattro quadranti che differenzia anche in sezione per generare le aule a diverse quote delle cantiche. La figura della croce è organizzazione interna, smistamento e filtro tra le sale. Ma mentre Terragni e Lingeri racchiudono la composizione in un prisma, e Wright non dà alcuna evidenza spaziale al nucleo geometrico che genera le quattro case, Eisenman spinge wrightianamente i quadranti all'esterno dando al contempo valore di fenditura allo schema organizzativo che presiede al Danteum. Che qui non solo ha ragioni spaziali, distributive e funzionali ma rimanda a intriganti relazioni con il sito, alla circolazione interna ed esterna, al modo stesso di usare la casa. Un'opera vera e riuscitissima.

    5. Trivellazioni nell'inconscio.

    Ma Eisenman non prosegue neanche questa volta anche se le ragioni dell'abbandono di una via così promettente, non sono di natura squisitamente disciplinare. Il cliente nel 1978 decide di non realizzare l'opera e l'architetto, frustrato, comincia a scavare dentro se stesso attraverso la terapia psicoanalitica: un altro classico del manhattanismo. Il perenne sperimentatore Eisenman è per giunta spiazzato dall'ondata nostalgica (vi torneremo) e dal travolgente successo del vecchio amico Graves, (ironizzerà sul cognome - in inglese "tomba" - in un articolo dal titolo Graves of the Modernism del 1978). Si attorciglia in manovre di politica culturale nello Iaus, che comincia ad agonizzare, e soprattutto abbandona la strada ottimistica di House X per cercare nuove origini e motivazioni del suo progettare. Lo scavo nella propria personalità, nel proprio rimosso ebraismo, nella ricerca costante di mentori si muove dalla Io al lavoro di progettazione in un una evidente, quasi letterale, continuità. I progetti diventano come scavati, affondati nel suolo (inconscio, passato, ombra) da cui emergono faticosamente i volumi. L'architettura implosa su stessa, quella organicamente aperta e slanciata di House X, ora va a trivellare il suolo per cercare le ragioni per riemergere da una fase di incertezza.

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    Tipico di questa fase è il progetto di House XI che inserisce più volte a mo' di padiglione nel progetto di Venezia-Cannaregio variandone ad ogni replica la scala. La casa da una parte usa la nuova ricerca sul volume e sui materiali (emergono due tessiture: uno vetrato con montanti molto ravvicinati come una serra e un secondo invece monolitico e senza apertura che si intreccia sovrapponendosi al prima) dall'altra manifesta una intenzione di radicarsi alla profondità. Il progetto, (originariamente per la casa dell'amico Kurt Forster) sfrutta l'antico interesse per le geometrie ad "L" muovendole però su tre dimensioni, sovrapponendole e ruotandole a spirale con la figura dell'elica o meglio, bisognerebbe dire, della trivella.

    Sempre per il progetto di Venezia-Cannaregio disegna un "Contextual Object" che toglie quel minimo di rassicurante presenza del padiglione di House XI . Si presenta come una casa-sezione: un pozzo di trivellazione. Come non pensare alla follia analizzata da Foucault, che Eisenman cita ora ripetutamente, o alla famosa citazione del teatro della follia di Y Marat Piet Heiss y. Nel fosso buio del rivoluzionario deluso Marat, per uscire ci si può aggrappare solo ai propri capelli. Ma per uscire bisogna chiudere un ciclo. Dopo aver sperimentato con House eleven Odd giochi sulla rappresentazione stessa (una casa che è una assonometria) questo compito è assolto da Fin d'Ou tous House. L'opera elabora gli stessi temi delle precedenti (trasformando le "L" in un cubo mancante di una parte) . Vi riappare, a chiusura di un ciclo aperto quindici anni prima, il motivo del telaio terragniano. Siamo nel 1983, in un anno di svolta anche dal punto di vista personale. 


    4. Dislocare il Post


     1. Sterro, tracciati, metafore

    Agli inizi degli anni Ottanta Eisenman appare chiuso in sperimentazioni , di scarso interesse se si esclude il nuovo, dislocante, rapporto con la psicoanalisi, ma in fondo tutto privato e personale. Alcuni critici descrivevano le poche case realizzate come un insieme di forme invivibili (con clienti che decidono di "non abitare" le case da essi stessi commissionate) che non potevano influenzare la produzione dell'architettura soprattutto se confrontate alle molte realizzazioni degli ex compagni di strada dei NY Five (Richard Meier con il suo rigoroso Neo-razionalismo ma soprattutto Michael Graves con la sua architettura neo-decorativa).

    Il motivo della crisi di questi anni, in parte vi abbiamo già fatto cenno, è a un tempo personale e generale. Siamo all'apogeo del Post-moderno (Po.Mo). Un fenomeno che approda anche alla Biennale veneziana del 1981 y attraverso la sorprendente convergenza tra la metafisica rossiana e il neo-barocco portoghesiano. Gli assunti del Po.Mo, come erano stati sistematizzati nel 1977 y in un fascicolo di "Architectural Design", non erano però del tutto privi di interesse. La costruzione del critico britannico Charles Jencks tendeva a ricomporre in una nuova era di libertà, di apertura antidogmatica una serie di rivoli del dibattito architettonico dagli anni Cinquanta in poi: dallo storicismo italiano di Albini e Gardella al partecipazionismo di Erskine o Kroll, dal vernacolare pop di Venturi, alle esperienze Morph, dallo strutturalismo di Piano e per altri versi di Safdie, alle esperienze del Taller de arquitecture con il giovane Bofill o quelle del Mltw e di Charles Moore. Da una parte si rivendicava l'autonomia della ricerca estetica (ancora, per molti, meccanicisticamente dipendente dalla funzione); dall'altra si poneva con grande forza in primo piano il concetto di Luogo di matrice organica.

    Ma "Autonomia estetica" e "Luogo" invece di far avanzare la ricerca verso nuove strade di ancora maggior consapevolezza, ricchezza e libertà espressiva verranno appiattite (soprattutto quando interverrà ad arbitro della varie tendenze Philip Johnson), in un nuovo dogma. Viene valorizzata la componente più trita tra quelle presenti nell'originaria miscela: la classicheggiante e neo decorativa impostazione dello stesso Johnson e del suo famoso ITT, di Venturi, di Moore, di Graves, di Stern, poi di Krier e del suo Principe. Il "luogo" serve per teorizzare presunti ambientamenti nostalgici, la ritrovata "autonomia espressiva" per legittimare pastiches neo-decorativi.: una formula che soprattutto negli Stati Uniti, ma anche un poco in Gran Bretagna e in Francia, ebbe una sua fase di successo commerciale.

    Eisenman naturalmente è spiazzato da questa tendenza. Nel corso degli anni Settanta non ha sviluppato una effettiva rete di relazioni professionali o uno studio strutturato che gli permetta di chiudersi in una fase di resistenza e di autonomia (come quella di Meier o di Pei in questo momento) perché si è concentrato maggiormente nella promozione delle sue numerosissime iniziative che, pur se a volte ecumenicamente onnivore, risultano ormai perdenti rispetto alla grande ondata del ritorno alla Storia. Ha la coerenza intellettuale - lui che spesso viene imputato del contrario - di non abbracciare avventure, di non volersi epidermicamente riciclare.

    Ma la crisi è anche personale perché l'ormai cinquantenne Eisenman non può considerasi né un architetto "credibile" (troppo poche, di modestissima scala e in fondo "teoriche" le sue prove), né un autentico studioso (non ha prodotto alcun testo di peso ma solo alcuni articoli provocatori) mentre la sua azione di promozione culturale soprattutto come direttore dello Iaus si avvolge in estenuanti giochi di politica culturale (dice che non gli interessa il potere, ma il "gioco" della sua conquista). Eisenman comprende che la situazione è senza via di uscita: che bisogna rifondare cambiare nel profondo . Sembra quasi mettere in atto su se stesso la formula derridiana che muove la sua psicoanalisi. "Non buttiamo via le cose rigettiamo o che ci preoccupano o ci creano ansietà, cerchiamo di capire perché le vogliamo eliminare". Comincia così a decostruire lentamente molti aspetti della sua esperienza.

    Eisenman ha sempre rifiutato classicismi, simmetrie, revival stilistici, ma il fenomeno Po.Mo non può essere rimosso come se nulla fosse. Per essere superato, non può essere solo rigettato, ne vanno capite in profondità alcune ragioni, per metabolizzarle, trasformarle andare avanti.

    Ora, dell'autonomia linguistica egli era stato un precursore, ma sul concetto di luogo posto dal Po.Mo alla ribalta egli deve trovare una propria declinazione che non sia quella mimetica e ambientalista, di una banalità paragonabile ai disarmanti esiti. L'idea su cui ragiona (e di cui abbiamo visto l'anticipazione nelle ultimo ciclo delle case) può essere condensata nella formula dello "Sterro archeologico": un riscoprire alcune ragioni del fare architettura in una dimensione di luogo "concettuale", come un disseppellire le storie dei luoghi scoprendo geometrie abbandonate, perdute o soltanto immaginate. Lo strumento per questo lavoro si chiamerà tracciato: reticoli spaziali e ordinatori, griglie complesse stratificate e sovrapposte come in un palinsesto (le vecchie carte medievali su cui si scriveva cancellando, ma non completamente, i testi più antichi) che ne costituirà per alcuni anni il principale strumento di lavoro.

    Ma vi è un altro aspetto portato alla ribalta dal Po.Mo per autolegittimare le opere dei suoi autori: quello dei presunti valori "collettivi", pubblici, di immagine che l'architettura di origine cubista del secolo aveva rimosso e che invece da Venturi a Graves a Johnson si vogliono ritrovare in un conclamato ritorno alla Figurazione contro l'Astrazione. Via libera allora agli elementi riconoscibili di identificazione collettiva del pubblico: i timpani, le edicole le colonne i portici, quando non le grandi statue a mo' di acroteri y. Anche su questo Eisenman, che non può non sentire un viscerale rifiuto; pensa, riflette, e trova una sua soluzione, che cambia i termini della medesima questione.

    La strada è quella della metafora. L'architettura, pur conservando intatta la sua valenza astratta nella relazione tra "segni" senza significato proprio, narra anche una sua storia, trova origine in una intuizione di cui l'edificio, pur se attraverso una serie di complessi intrecci spaziali tecnici, funzionali e costruttivi, conserva e rimanda presenza.

    È quanto avviene con il primo edificio importante che realizza a Berlino ovest accanto al muro all'epoca ancora esistente. L'opera ripresenta l'idea di frattura, di lacerazione sia nei tracciati con cui è sagomata l'elevazione che nella stessa dinamica frammentazione delle masse.
     

    2. Stratigrafia a Berlino.

    Nel 1982, quello dei suoi cinquant'anni, Eisenman si sgancia da una serie di impegni culturali e promozionali, dopo una lunga agonia si dimette dalla direzione Iaus, chiude "Oppositions", decostruisce la propria vita familiare, e allo stesso irrobustisce lo studio (dal 1987 Eisenman architects) perché la proposta di concorso per l'Iba a Berlino che aveva guadagnato il primo premio l'anno prima passa alla fase realizzativa. È il suo primo edificio importante perché una piccola Stazione dei pompieri a Ohio State realizzata nello stesso arco di tempo, si rivela assolutamente deludente.

    Il palazzo per appartamenti, completato nel 1985, sorge in un punto importante della città (Checkpoint Charlie, adiacente al muro tra est e ovest) e completa l'angolo di uno dei grandi isolati della città. In questa occasione l'architetto deve accettare la complessità del programma funzionale perché i clienti non sono più gli eccentrici intellettuali delle case unifamiliari. Gli appartamenti sono serviti da una scala comune posta nel retro del fabbricato e sono distribuiti da un ballatoio che si ripete nei sette piani. I bagni e le cucine sono lungo il percorso, mentre gli ambienti affacciano all'esterno. Lo schema è funzionale, fornisce le dimensioni e i tagli richiesti, risponde agli standard normativi tedeschi e, attraverso l'andamento mistilineo del perimetro, rende ogni casa speciale. Alla base del progetto questa volta non sono tanto i meccanismi sintattici della architettura di carta, ma appunto l'idea dello sterro: tracce stratificate nei luoghi che, ritrovate quasi archeologicamente, conformano il progetto. Per cui l'edificio usando le parole dell'architetto è come "sollevato" da un terreno archeologico, le masse "sono letteralmente fossili fuoriusciti dal piano orizzontale del terreno", che lasciano incise nella terra le tracce della loro precedente esistenza (articolazione della pianta) mentre "svolgono il racconto della loro storia nelle facciate." Queste ultime dunque diventano delle sezioni stratigrafiche, dei pezzi di materia riemersi (e cercano di presentarsi come tali anche se, naturalmente con i necessari compromessi legati all'uso).

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    A guardare l'edificio realizzato, naturalmente, si può essere convinti sino a un certo punto dalla bontà e soprattutto dalla effettiva risoluzione di queste, per altro opinabili, idee. Ma bisogna ricordare che la costruzione è solo un frammento della proposta complessiva, ben più articolata e interessante, che investiva l'intero isolato. Il progetto presentato al concorso proponeva una strategia di modifica di "town design" con nuovi intriganti spazialità e nuove funzioni sia lungo il perimetro che all'interno dell'isolato. Era, come legittimo aspettarsi da Eisenman una relazione dissonante, "per contrasto" tra le nuove costruzioni e quelle che già esistenti. L'isolato ottocentesco era investito da un sistema di reticoli ruotati di 15 gradi rispetto alla maglia ortogonale esistente. La nuova geometria creava una successione di spazi interni, di percorsi di collegamento che determinando nuovi invasi mistilinei e inglobava nella sua nuova trama gli edifici esistenti. Apparentemente un nuovo gioco formalista, in realtà un esercizio geometrico ma che determinava spazi che alla naturale tensione dinamica derivata dall'incrocio dei suoi sistemi geometrici associava la possibilità di una soddisfacente risoluzione funzionale (come dimostra il frammento realizzato).

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    Questo progetto mostra un rapporto critico, dinamico, di cambiamento rispetto all'esistente, dà una lente con cui guardare alla città consolidata ma con fuoco al futuro e non solo al passato di cui però non cancella le tracce. Il concetto di Luogo, viene fatto reagire con altre suggestioni (le griglie hanno motivazioni nella lettura a palinsesto della città, la presenza del Muro viene riassunto a emblema metaforico dell'edificio eccetera) senza aderire alla troppo facile "memoria" o alla riproposizione "mimetica" dell'esistente in parte presenti in altre proposte dell'Iba.

    3. Collage di tracce.

    Questa idea dello sterro archeologico, dei tracciati da riscoprire e portare alla superficie per strutturare il progetto si ripresenta in una proposta per il Parco della Villette realizzata con la consulenza di Jacques Derrida e che viene a integrarsi con il programma tecnico e architettonico della realizzazione di Bernard Tschumi. È una serie di dislocamenti e sovrapposizioni di griglie su un'area di circa 210 metri per 270 che hanno origine da frammenti di storia rintracciate nelle mappe, o in costruzioni poi demolite. Coesiste così l'idea del mattatoio che vi insisteva o quello delle mura che in quel punto circondavano la città. L'esito è un intrigante collage, fa pensare ai lavori di Mimmo Rotella y che scorticava i manifesti pubblicitari che negli anni erano stati sovrapposti l'uno all'altro, ma manca di una strutturazione spaziale convincente. Eisenman ricorre per spiegare le presunte valenze del progetto al valore intellettuale dell'esperienza. Si tratterebbe di un progetto non-autoritario: "Vi erano due siti, uno a Parigi l'altro a Venezia (anch'esso per coincidenza un'area con un mattatoio). Un architetto franco-svizzero, Le Corbusier, va a Venezia e vi inserisce la sua griglia, un architetto americano [Eisenman stesso] raccoglie quella griglia e l'allunga dal Mattatoio a Cannaregio. Un altro architetto franco-svizzero [Tschumi] va a Parigi e mette sull'aria del mattatoio una griglia astratta come quella di Le Corbusier, e chiama un architetto americano [Eisenman stesso] ad inserire una nuova griglia sopra la sua griglia. Quindi naturalmente io metto la mia Griglia di Cannaregio sopra la griglia della Villette. Nessuno può prendere autorità o merito per l'operazione o per chi è arrivato prima".

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    La descrizione è sintomatica: da una parte ricorda, giustamente, che l'idea dei tracciati e dello sterro archeologico, ha origine nel 1978, nel progetto di Concorso che fece per Venezia Cannaregio (dentro cui pose la sua House XI), ma vi è anche una sottile rivendicazione: è indubbio che la realizzazione di Tschumi alla Villette deve più di qualcosa alla pionieristica soluzione eisenmaniana del 1978. Quindi, con una tecnica retorica di una certa sofisticazione, Eisenman enuclea dei fatti (di cui è protagonista), che in realtà smentiscono la tesi che, apparentemente, si vuole sostenere: "Nessuno può prendere autorità o merito per l'operazione o per chi è arrivato prima". È vero il contrario: è ad Eisenman che si deve l'aver trovato questa direzione, questo metodo di lavoro sui tracciati, le griglie i palinsesti.

    Ma nonostante le affascinanti autogiustificazione, i numerosi rimandi di alter ego psicoanalitici e il sottile gioco con Tschumi il progetto come dicevamo rimane deludente. Il gioco con la griglia portato all'estremo e giustificato come "non principio di autorità" spinge di nuovo Eisenman contro il muro, come i diagrammi giocati arbitrariamente avevano portato alla House III. Naturalmente bisogna cercare altre direzioni anche questa volta e Eisenman lo farà.

    Il progetto per il Wexner center, invece del parossistico e intellettualistico gioco di griglia e sterro presentava, sia pure in embrione, anche una nuova idea. Quello dello spazio "tra" le cose: naturalmente generate per frizione e non assonanza e che si evolverà più in là in ancora più convincenti progetti.

    4. Il "tra"

    La realizzazione dello Wexner center for Visual Arts a Columbus, si completa nel 1989, ma nasce da un concorso ad inviti nel 1983. Eisenman incunea tra gli edifici esistenti del campus una struttura reticolare tridimensionale che da spazio di risulta diventa il nuovo fulcro simbolico e funzionale del progetto. Malignamente si mormorerà che la fittissima rete di relazioni pubbliche intessuta sin dagli anni Settanta comincia a dare i suoi frutti: in questo caso con l'affermazione nella Competizione. In realtà, anche ad una rapida occhiata, il progetto presenta una soluzione strategica di grande interesse per gli stessi amministratori dell'Università.

    Il programma richiedeva una serie di attrezzature (un teatro, spazi per esposizioni temporanee e permanenti, uffici, un caffè, studi e laboratori per un totale di 130.000 metri quadri) che né museo, né uffici, né laboratori propriamente detti vede l'arte come un processo continuo dalla fruizione alla produzione. Ne deriva la caratteristica "di percorso" dell'edificio: un'idea che ha una sua storia (anche americana: basti pensare alla spirale del Guggenheim di Wright e alla risposta lecorbusieriana dove una rampa letteralmente attraversa l'edificio del Visual Art Center di Harvard). Ma oltre a strutturare un edificio percorso, naturalmente anche in questo giocando con la rampa, il progetto di Eisenman si rafforza attraverso altre due scelte.

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    La prima è quella di articolare l'edifico non solo sulla spinta di una forza interna, o di una limitrofa situazione morfologica, ma attraverso due Tracciati regolatori: quello della città e quello del campus universitario. Basterebbe, forse, quale base del progetto perché le due geometrie sono ruotate l'una rispetto all'altra ed esercitano dunque una tensione deformante nel progetto. Ma è una nuova idea quella vincente.

    Invece di proporre la costruzione in un lotto libero del campus, Eisenman memore dell'innesto urbanistico compiuto a Berlino, inventa un luogo conficcando la costruzione tra due edifici: l'auditorium e il museo propriamente detto. Una operazione di densificazione che si contrappone allo spreco di nuove aree, e vitalizza gli amorfi retri di servizio degli edifici derivati dalla lottizzazione del campus.

    Del tutto naturale, da queste premesse, la soluzione. L'architetto fa penetrare tra gli edifici del campus una maglia reticolare tridimensionale: una costruzione-percorso che trasforma lo spazio di risulta in nuovo fulcro simbolico e funzionale del progetto. Lungo una rampa che vi scorre, si snodano i percorsi e i fatti espositivi, si accede agli edifici esistenti sui due lati e alle estremità a una serie di attrezzature richieste dal programma. L'idea dello spazio "tra" le cose come strategia di progetto (lo chiamerà, teorizzandolo anche negli scritti, "il between") fa così con questo progetto, la prima cosciente comparsa.

    Ma il progetto presenta anche grosse incertezze. La principale consiste nell'adoperare la vecchia idea di telaio, che caratterizzava la sua fase terragnana, all'interno della nuova concezione. Pur se la strategia del connettere con il percorso, dell'incunearsi tra aree di risulta, di sfruttare geometrie esistenti è valida, l'esito spaziale determinato dallo scontro tra geometrie tridimensionali a telaio (con gli inevitabili incroci, raddoppiamenti e i famosi pilastri tagliati) ricorda un poco l'arbitrario. La griglia tridimensionale, lo capirà oltre, non è lo strumento per plasmare i cavi. L'esito spaziale è lo scontro fine a se stesso.

    Il secondo limite con cui il progetto si scontra è nel conformare lo spazio esterno. La soluzione è molto debole su entrambi i lati. In quello a nord y è la riproposizione di volumi differenziati e tagliati a mo' di sezione: una composizione mediamente interessante ma incapace di raffigurare una chiara articolazione dell'esterno. Sul fronte opposto, invece, si gioca con le improbabili memorie di bastioni militari precedentemente nell'area che vengono ricostruiti con una tecnica volutamente falsa e provocatoria. Al di là della pregnanza culturale dell'operazione rimane il problema. Questi pezzi addossati alla testata mostrano che Eisenman non ha sviluppato una strategia per affrontare un dettato dell'architettura: la creazione dello spazio pubblico attraverso la manipolazione volumetrica e spaziale dell'edificio stesso.

    5. Il futuro del passato

    Sembra aggredire il tema della creazione dello spazio pubblico nel più gehriano dei suoi progetti. Il Museo di Arte nel campus di Long beach, in California. Il rapporto tra Frank Gehry e Eisenman, al di là della concorrenza e della tensione tra i due o delle manifestazioni espositive che li hanno visti associati (come quella alla Biennale venezia del 1991), quali figure di assoluto spicco nella scena architettonica statunitense e quindi mondiale, va un attimo inquadrato.

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    Gehry opera una sintesi, la più alta di questo scorcio di fine millennio, di tre componenti presenti ma distanti tra loro nella cultura architettonica americana.

    La prima componente è palese. È il filone della pop art, che nel suo caso si muove nella riscoperta non tanto dei presunti valori "popolari" alla Venturi, ma in un uso tattile di elementi semplici, poveri, triviali. È una accanita sperimentazione, a lungo condotta in sordina, che inventa un nuovo spazio espressivo per materiali poco usati in edilizia e che rivela al contempo una straordinaria sensibilità scultorea ed espressiva. La stessa di John Johansen. Questa seconda ascendenza, di cui poco si parla ma che non è sfuggita a Paul Heyer, sarà fondamentale in Gehry. Johansen, autore del famoso Mummers Theater y, crea composizioni estremamente dinamiche, esplose letteralmente nello spazio in una logica che ne segna anche il cammino di evoluzione futura.

    Ma detonatore della miscela tra estetica povera e dinamica scultorea è una nuova concezione dello spazio pubblico. Gehry fa tesoro delle ricerche di alcuni architetti californiani e in primo luogo di Charles Moore. Tra gli anni Sessanta e Settanta Moore opera una interessante riscoperta. I volumi puri sotto la luce della tradizione lecorbusieriana portavano con sé (soprattutto nelle banalizzazioni delle periferie di tutto il mondo) allo scollamento tra edificio e spazio. Il primo diventava un volume puro, dimensionato e pensato per le sue valenze funzionali ed espressive autonome. Il secondo era un vassoio verde, isotropo omogeneo non più sagomato come nella precedente tradizione della città in cavi e invasi formati dagli edifici stessi. Moore, anche ispirato da costruzioni rurali e vernacolari sparse per il mondo, come dalle grande architettura tardo romana di Villa Adriana, riscopre invece la possibilità di architettare le relazioni tra gli edifici per creare spazi aperti. Edifico e spazio pubblico vengono pensati di concerto per determinare sequenze spaziale e funzionali che si proiettano dall'esterno all'interno e viceversa. È un'idea con risvolti scenografici, delicata da gestire. Tanto è vero che la pur grande intelligenza di Charles Moore finirà con il cadere nelle risibili parate delle sue piazze d'Italia. Ma ciò nondimeno è una idea nuova che Gehry assorbirà naturalmente trasformandola (è la terza componente di cui dicevamo).

    Le sue architetture pertanto nascono quasi sempre da un incrocio tra un materiale tattile, "pop", (ma anche sensibile al contesto, come nella pietra del suo centro americano a Parigi) montato con esaltanti contrastati e con sapienza nuovissima; composizioni esplose nello spazio alla Johansen ma che fanno sempre centro su un concetto di spazio conformato, creato dagli edifici: la "L" che si apre sulla strada del padiglione ospedaliero di Yale a New Haven, il nuovo foro della facoltà di legge della Loyola University, la stradina interna del centro commerciale di Santa Monica. Ma la genialità di Gehry va ancora oltre, perché questi nuovi cavi circondati dai suoi luccicanti volumi si arricchiscono d'improvviso di oggetti d'arte. Come i grandi cavi barocchi entravano in dialogo organico con le barcacce, le fontane dei Fiumi e le cascate animate di Trevi. L'arte pura riacquisisce un posto: naturalmente con le valenze d'oggi. Il grande pesce di Barcellona o del ristorante a Los Angeles, il binocolo gigantesco, l'aereo appeso alla parete del museo.

    Questa capacità di conformare con l'architettura lo spazio pubblico, nel 1986 aveva già dato più di una prova, ma su questa tema i progetti di Eisenman sono disarmati. L'operazione sia a Berlino, che nel Wexner a Columbus, è tutta di "densificazione" mentre assenti sono tecniche di "diraradazione" che possono permettere la definizione dei cavi. È del tutto naturale: perché mentre l'origine dei cavi di Gehry è nello stage set, lo strumento di Eisenman per attaccare il vassoio corbusierano è la griglia. Un concetto appunto di densificazione e di controllo spaziale che ha la sua origine nelle nuove esperienza della casa bassa ad alta densità (dagli svizzeri di Atelier 5 a Louis Sauer, un altro brillante allievo di Kahn come per altro erano stati Moore e Venturi).

    Ora mentre sia nel progetto di Cannaregio che nella Villette, e nello stesso Romeo e Juliet a Verona del 1985, Eisenman non ha coscienza effettiva di come creare lo spazio pubblico, nel bellissimo museo d'arte per l'università California State a Long Beach egli pone in essere un incrocio tra la manipolazione spaziale di Gehry e i tracciati regolari, le griglie, gli sterri che gli sono propri: gli stessi un poco gratuiti bastioni del Wexner qui, gehrianamente, si trasformano in significanti macrosculture (nella fattispecie un percorso sopraelevato, come un molo, e una torre, che ricorda quelle di estrazione del petrolio). I vari tracciati usati per modellare il progetto con la tecnica del palinsesto derivano di nuovo dalle planimetrie storiche dell'area (il ranch che vi preesisteva, il campus) insieme alle planimetrie della famosa faglia californiana e poi il fiume, la costa, il canale. Ma non è il collage o il palinsesto il solo motore dell'operazione perché le tracce entrano in relazione con l'organizzazione spaziale. Una cavea diagonale (allo stesso tempo percorso, elemento paesaggistico, giardino di sculture all'aperto e organizzazione degli eventi museali che vi si addossano) e un percorso sopraelevato a mezzaluna che la attraversa collegando un nuovo padiglione espositivo e una struttura preesistente nell'area.. Una doppia geometria, secca e ben risolta, che come al Wexner va a ridosso di un edifico inglobandolo in una nuova relazione. Cavea diagonale e mezza luna proiettano linee di forza negli altre angoli del sito legando insieme, il parco preesistente, altri edifici, un nuovo lago. Rimane uno dei più ricchi e intriganti progetti di Eisenman. Assolutamente dissimile da quelli di Gehry, ma anche capace di metabolizzare la lezione dell'amico rivale nella creazione di un nuovo fulcro che fa da perno alle diverse e complesse geometrie di un museo calato nello spazio e nel paesaggio.

    In Eisenman come in Gehry rientra dunque, attraverso una contaminazione di ben sofisticato livello intellettuale, il momento del racconto. "La verità e la metafora possono essere messe in discussione - scrive derridianamente nel 1989 - non sbarazzandosene, ma entrandoci dentro, esaminando criticamente la loro struttura" (Eisen 89a p. 214). I progetti ormai si muovono dal testo-testo della prima fase al testo-racconto ma strutturalmente molteplice, complesso polidirezionato.
     
     

    5.Rivoluzione permanente e grandi conquiste


     1. lotta al Cubo

    In realtà Eisenman sembra essere percorso da un fremito elettrico. Già abbiamo notato il suo costante bisogno di sperimentazione, di novità. Mentre in artisti come Gehry, le componenti fondamentali dopo essere state individuate circa tre lustri fa, si affinano e perfezionano nelle nuove occasioni, Eisenman cerca sempre una nuova sfida, un nuovo dislocamento. Nel cammino egli usa, per poi abbandonare, tecniche di progetto che lasciano a chi voglia raccoglierle una spesso vitale traccia di lavoro.

    In maniera sempre più accelerata nel corso della seconda metà degli anni Ottanta le "scoperte" sono numerose. Filosoficamente è vicino alla teoria di Derrida (che sostituisce il ruolo di ispiratore che aveva avuto Colin Rowe nella formazione, Chomsky nell'analisi strutturale e Foucault nella indagine sulla modernità). Comincia a essere attratto verso la geometria non-euclidea e la teoria del caos: studia i frattali, il Dna (il padre è stato un eminente bio-chimico), .gli atomi leibniziani y, la geometria booleana. Proprio questa geometria oltre a strutturare integralmente un progetto avrà ulteriori sviluppi nel suo lavoro e quindi merita una pur brevissima delucidazione.

    La geometria booleana è dinamica, quanto quella euclidea è statica. Se un cubo viene traslato nello spazio si possono creare molteplici sistemi di assi derivanti dall'unione dei vertici del cubo iniziale con quello spostato. Dal legame virtuale tra i due, nascono infatti una serie di prismi deformati, con assi anche non ortogonali tra loro: una geometria quindi a più dimensioni, nata dal movimento.

    Oltre a tutti i prismi deformati che si possono ottenere dall'unione dei vertici traslati, si può operare anche sui due cubi originari considerandone le reciproche risultanze tridimensionali quando si varia il segno "+" o "?" attribuito a ciascuno. Le "operazioni booleane", (termine che dovremo riusare) sono tre: la prima è di Incastro (la nuova figura tridimensionale è formata dal primo cubo più il secondo cubo, entrambi con segno positivo); la seconda è di Sottrazione (un cubo, con segno negativo, erode la parte in cui si sovrappone al cubo positivo); la terza è di Intersezione (entrambi i cubi hanno segno negativo, la geometria risultante è solo l'area di sovrapposizione dei due).

    Questa geometria (che è alla base di moltissime operazioni tridimensionali operate dai calcolatori) è usata da Eisenman per progettare i laboratori di ricerca di una delle università più conosciute al mondo per la ricerca sull'informatica e la robotica con l'evidente intento di rinforzare metaforicamente la natura dell'edificio. Il cubo booleano, è assunto a tema "dislocante" e allo stesso pertinente.

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    Il Carnegie Mellon research center (1987-1988), da una più ambiziosa e interessante ipotesi che si confrontava con la sinuosità del fiume (attraverso due linee di cubi di scala e di altezza diverse, che si sovrapponevano parzialmente in un doppio spessore), si riduce progressivamente di dimensione e al contempo si complessifica plasticamente (con una serie di operazioni di Sottrazione, Incastro e Intersezione e con una serie di altre strutture filiformi a ricordare le forme degli altri prismi virtuali derivati dal movimento) al punto da preoccupare gli amministratori dell'Università che affidano l'incarico ad altri progettisti. Realizzeranno due edifici distinti, uno elegantemente disegnato ma certo scarico rispetto alla proposta eisenmaniana, l'altro desolantemente trito.

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    I laboratori Biologici per la Goethe Università a Francoforte sul Meno, progettati nello stesso 1987, mettono in atto la stessa tecnica della "dislocazione pertinente". Qui alla geometria booleana del computer, si sostituisce una geometria "biologica": quella del Dna e dei Frattali. (Si tratta, in campo artistico, di principi come quelli elaborati da Susan Condé : "Mai ritrarre solo le utopie euclidee. Non sottolineare l'inizio e la fine, ma la ricorrenza e la molteplicità. Mai lo stato perfetto dell'essere, ma lo stato imperfetto del divenire. La ripresa in diretta della molteplicità e quindi le proprietà frattali dell'autosomiglianza e dell'infinito-finito"). L'interpretazione eisenmaniana del Dna e del suo funzionamento si esplica attraverso tre processi: replica, trascrizione e traslazione. Al di là, come sempre, delle autolegittimazioni teoriche, il progetto propone una strategia più plausibile di quella di Pittsburgh. Ai cubi frammentati e costosissimi del Carnegie Center si sostituiscono sei blocchi di laboratori semplici e funzionali che si attaccano su entrambi i lati di una spina centrale. La spina è l'occasione per creare nuove più complesse geometrie e per articolare a V o a U l'attacco di corpi dei laboratori all'asse centrale. Il procedere della spina nel sito in alcuni casi spezza i blocchi in due parti, come nelle testata dell'accesso, in altri si spinge all'esterno come per indicare la regola della futura crescita dell'organismo, in altri si incunea tra i blocchi per formare le necessarie eccezioni (auditorium e servizi specialisti). La dialettica tra elementi ripetibili ed eccezioni (gli asimmetrici annessi della spina centrale) è l'inizio di una tecnica di riduzione pragmatica tra le necessità concettuali che muove l'ideazione e il doversi fare "realistico" del progetto. Avrà un seguito.

    2. il cagnolino Balla sulla spiaggia

    Ma in queste sperimentazioni, oltre alle scoperte delle griglie, dello sterro archeologico, del "tra", che rappresentano delle effettive acquisizioni portanti del suo lavoro, e ricerche in fondo laterali, dettate da una curiosità specifiche, come il cubo booleano, il frattale, il Dna, Eisenman scopre una tecnica di progetto di grandissimo fascino perché dà una risposta finalmente innovativa ad un vecchio problema della nuova architettura: il movimento.

    La presenza del movimento come tecnica non più tanto di percezione non più statica (dal punto di vista privilegiato del cono prospettico rinascimentale) o quello di esplorazione dinamica della composizione spaziale ma proprio come tecnica di progetto.

    Questo tema ha avuto nel secolo alcuni grandi momenti, tutti in vario modo legati alla rivoluzione einsteiniana: Spazio è Tempo. Lo spazio si misura con il tempo (vedi anni luce) cosi come Energia è Massa, elevata al quadrato con il valore della velocità della luce. In piccolissime particelle di materia è nascosta una energia misurabile con la stessa dimensione (temporale) con cui solo possiamo misurare le galassie: una scoperta, se si vuole la più grande tautologia del secolo, che porta alla scissione dell'atomo. Insieme a queste idee, spesso soltanto orecchiate dagli architetti, come più in là avverrà con lo stesso decostruzionismo derridiano, si associa la presenza della velocità quale dato strutturante la società industriale (treno, automobile, aereo). Cosicché le prime architetture che tenteranno di affrontare il tema del movimento saranno quelle, certo ingenue, dell'italiano Sant'Elia che fanno perno su ascensori in vista, strade che si intersecano agli edifici di centrali elettriche o fabbriche. Il costruttivismo russo teorizza una grammatica basata anche su questi concetti e Tatlin; dà forma a una avvolgente e mobile y struttura. Mendelsohn costruisce una torre in cui la trasformazione delle forze gravitazionali in campi deformati di Einstein y sembra prendere consistenza plastica, ma è con il Bauhaus di Gropius che l'assoluta evidenza di come un edificio possa essere percepibile solo attraverso il movimento diventa paradigmatica (perché l'idea delle masse distinte disposte centripetamente nello spazio si associa alla scoperta di un nuovo medium di relazione fluida e continua tra interno ed esterno: la trasparenza).

    Ma oltre a queste idee e alle molte variazioni e repliche successive, il problema di come traslare il movimento in architettura rimane dopo il 1924 senza sostanziali sviluppi anche se alcune fluidità spaziali di Wright, o alcune strutture in precario equilibrio di Riccardo Morandi o gli stessi recenti edifici semoventi di Calatrava paiono riaprire una strada,. Ma sempre si tratta di una re-interpretazione "fisica" del movimento nell'architettura. La caratteristica immanente del movimento per conformare il farsi del progetto

    Ora Eisenman, attraverso il suo incessante cercare, scopre una tecnica che, io sappia, mai ha avuto prima di lui uso in architettura. Si tratta del blurring, direi sfocamento, che diventa la chiave dello sviluppo di un progettare che usa il movimento quale tecnica del suo interno strutturarsi. Il movimento non viene "interpretato" via la fluidità della rampa del Guggenheim, il raggelamento dell'attimo prima del crollo del salone ipogeo di Torino, o l'aprirsi e chiudersi delle membrane del Padiglione alla Sswissbau, ma diventa l'ispirazione "concettuale" e allo stesso la "tecnica" con cui organizzare un nuovissimo modo di progettare.

    L'origine è nel futurista italiano Giacomo Balla (la Donna con il cagnolino del 1912 y) ma l'immagine universalmente nota è la donna che scende le scale di Marcel Duchamp y 1916 y. Si ricorderà l'immagine. Una serie di sovrapposizioni della figura come in un fotogramma scattato con un tempo troppo lungo in cui i singoli movimenti sono sovrapposti (in Balla, vi torneremo, sono anche "sfocati"). È una tecnica di straordinaria interesse rimasta muta per ottanta anni in architettura. Sino ad Eisenman. Che, ed è molto strano per lui che ama teorizzare, proprio questa volta non rivendica l'importante paternità: l'aver trasmigrato per primo questa tecnica dall'arte figurativa a quanto di più solido esiste. Eisenman è qui, come devono essere gli artisti, parzialmente inconsapevole. O almeno, lascia a noi il privilegio di scriverlo.

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    Il Blurring (termine che non adotta, nel suo pur numeroso indice di parole chiave) fa la sua prima apparizione in un progetto di casa unifamiliare redatto nel 1988, a cinque anni dalla chiusura dal famoso ciclo delle case numerate. Si tratta della Guardiola House a Santa Maria del mar, sulla costa spagnola di Cadice. Di nuovo come House X è una casa sul pendio. In questo piccolo capolavoro Eisenman fa reagire molteplici suggestioni. Parla, nel testo che accompagna il progetto, del concetto classico di Topos come segno stabile dall'urbanesimo militare romano. Ma giustamente ricorda che una componente del mondo d'oggi è "avere una complessità dialettica estremamente più sofisticata (ëuna logica che contiene l'illogico') per cui il concetto di luogo deve contenere il concetto di Non Luogo." Sembra una delle tante disquisizioni cerebrali che si incontrano nei suoi testi, ma in questo caso l'esito è straordinariamente convincente. Eisenman ricorda il concetto platonico di Chora come qualcosa che c'è e non c'è e allo stesso tempo scatta la metafora illuminante. Chora è come le tracce delle onde sulla sabbia. Le onde del mare sulla spiaggia cui guarda questa casa, non sono un oggetto nello spazio "ma soltanto la registrazione di un movimento" che poi sarà cancellato e riscritto. Le tracce regolatrici, le memorie degli sterri archeologici si trasformano ora in questa impalpabile presenza, una assenza ogni volta riproposta attraverso la fragile presenza di un movimento. La stessa dello scodinzolio del cagnolino sulla tela.

    Eisenman disegna così questa casa giocando proprio sul movimento ondulatorie della sua famosa "L" e le geometrie che nascono, vibrano, dondolano, ruotano una sull'altra in pianta, sezione, alzato. Attraverso questi movimenti si vengono a creare booleanamente (a volte con l'Incastro altre con la Sottrazione altre con l' Intersezioni) gli spazi funzionali della casa, (niente affatto assurdi), si forma il percorso che come House X attraversa scendendo la costruzione nasce, soprattutto, una nuova estetica della sfocatura attraverso la ripetizione traslata e sovrapposta della forma base prende forma.

    Questa piccola casa è assolutamente inconcepibile senza una concezione del progetto teoricamente radicata, senza l'esperienza didattica dei suoi primi lavori, senza una sconcertante profondità di riflessione e una capacità (anche professionale) di conformare attorno a queste idee spazi credibile e la stessa costruzione. Ma la soluzione non è automatico risultato perché qui si fa Arte quello che in altri casi è pura legittimazione. Che le onde mare, che le tracce di quel movimento sulla sabbia possano rappresentarsi in architettura e darci un nuovo paradigma sul movimento è un esito entusiasmante.

    3. Cavi Audaci per Insegnare architettura

    L'edificio che deve contenere una Facoltà di architettura è un tema ricorrente negli Stati Uniti. Architetti di varie epoche (a partire dal primo: Thomas Jefferson) si sono incontrati con questo programma; basti pensare, oltre al famoso campus della Virginia, agli edifici Beaux Arts dei primi decenni del secolo, al campus dell'Itt di Mies, oppure alle opere in chiave brutalista come quella di Berkeley, o alle composizioni fortemente plastica di Rudolph a Yale o alla famosa inclinata vetrata di Harvard. Eisenman affronta questo tema in un progetto (College of Design Architecture and Planning, University of Cincinnati) che comincia a studiare alla metà degli anni Ottanta ma che giunge a maturazione solo nel 1991 in un rapporto, questa volta, aperto "agli studenti, ai professori, agli amministratori e agli amici del college per definire un processo evolutivo alla fine del quale ognuno potesse dire "l'abbiamo fatto noi"". Al di là di questa nuova consapevolezza, (sembra che Eisenman sia diventato talmente sicuro da poter ora includere nel processo della progettazione quanti doveva in precedenza escludere) qui vengono usate in un programma complesso alcune delle idee che ha sviluppato negli ultimi anni. Presente, ad esempio, è l'idea dell'incunearsi tra strutture esistenti nel campus, quello dello spazio "tra" le cose, quella dello scaling. Ma l'idea base è la scoperta sulla spiaggia di Cadice .

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    Il progetto, doveva rispondere a una doppia esigenza: riorganizzare gli spazi della facoltà esistente e poi edificare altre attrezzature (biblioteche, sale mostre, teatri studi uffici) che ne raddoppiasse quasi la superfici utile. La prima idea è relativamente semplice. Alla struttura dell'edificio esistente, che si muove funzionalisticamente a zig-zag sul terreno, viene aggiunta una struttura ad andamento ondulato che contiene le nuove attrezzature. Ma l'idea geniale scatta solo dopo il progetto di Guardiola e consiste nell'applicare la tecnica del Blurring simultaneamente al nuovo fabbricato e a quello preesistente. Entrambe le geometrie di base vengono duplicate e ruotate con la tecnica del Cagnolino di balla. Nasce un moto ondulatorio doppio: uno più geometrico (quello del vecchio edificio) l'altro più fluente determinato dalla curva in cui si organizzano le nuove funzioni. Apparentemente una pura follia, ma il risultato è di sconvolgente novità e di grande interesse. Perché queste due geometrie, giocando con incastri sottrazione e intersezioni reciproche dettano la conformazione dei nuovi spazi, dei volumi delle stesse geometrie terrazzate o vegetali che si proiettano nel sito. Il progetto sembra un Yen sens y, il simbolo orientale dell'amore, che fa vibrare e fremere le forme una sull'altra in un incessante moto ondulatorio..

    Ma vi è anche una differenza profonda rispetto al Wexner dove il movimento era rigido e lo strumento della griglia tridimensionale (che abbiamo criticato) poco adatto a conformare gli spazi. Qui a Columbus succede che i movimenti di traslazione e ondulazione delle due geometrie non solo si ripercuotono all'esterno, ma soprattutto all'interno. Allo scontro asettico delle gabbie modulari si sostituiscono spazi interni estremamente più complessi ricchi, affascinanti e novissimi. L'incrocio infatti è qui di volumi, plasmati differentemente e con libertà attraverso le ormai famose tre tecniche booleane. Sono spazi assolutamente sconvolgenti. Vi gioca la luce dall'alto di lato in fondo, i volumi assumono varie inclinate, i pilastri ritmano senza alcuna rigidità preconcetta i cavi. Sono spazi che danno effettivamente forma ad un pensare "concettualmente" all'architettura con una forza e un livello di complessità finalmente adeguato ai mezzi intellettuali che questi ultimi anni stanno elaborando. Il docente, lo studente, chi vi lavora non potrà che riflettere sul progettare il futuro.
     
     

    6. Eisenman realista
    1. Decostruire, ma cosa?.

    Nel corso degli anni Ottanta alcuni architetti hanno lavorato controcorrente rispetto all'ondata del Po.Mo. che, nel frattempo, esaurita la novità iniziale, approda a fine decennio ai parchi di divertimento disneiani. In prima fila Eisenman e Gehry bisogna ricordare Rem Koolhas, olandese viaggiante in moto perpetuo tra le due sponde dell'oceano e fondatore dell'Oma che negli anni Settanta riprendeva in chiave provocatoria le utopie urbane degli Archigram; Daniel Libeskind, polacco dotato di una capacità squisita sulle sovrapposizioni e le tessiture grafiche, Bernard Tschumi, divenuto direttore della Facoltà di Columbia e autore del parco della Villette a Parigi, una geniale allieva di Koolahas a Londra, l'irakena Zaha Hadid. Attorno a queste personalità si muovevano in America alcuni gruppi come i californiani Morphosis e Arquitectonica, con base Miami. Ma anche in Europa vi erano fermenti in una nuova direzione frammentata, dinamica, violentemente anticlassica: in particolare nel lavoro del maturo ed esperto Gunnar Behnisch, autore delle strutture delle Olimpiadi del 1970 a Monaco, di due austriaci che formavano lo studio Coop Himmelblau, e anche dei giovani spagnoli Miralles & Pinos Queste personalità erano minoritarie e spesso censurate, rarissimamente avevano trovato spazio in costruzioni o in mostre.

    All'inizio della seconda metà degli anni Ottanta, un gruppo di studiosi americani (Paul Florian, Stephen Wierzbowski e Aaron Betsky) propone un progetto di ricerca con relativa mostra dal titolo Violated Perfection: The Meaning of The architectural Fragmentation che voleva raccogliere queste e forse anche altre personalità. Sostenere che l'idea della mostra, mai realizzata dai promotori, fu "rubata" è semplicemente assurdo. (Perché la necessità di valorizzare una sensibilità diversa rispetto alla "memoria" era ormai diffusa in moltissime roccaforti culturali e certo Eisenman in particolare ne era stato un ostinato avversario). Sorprendente però del grandissimo lancio internazionale dell'Architettura Decostruttivista sono due fatti. Il primo è che alla mostra realizzata al MoMA di New York nel 1988, e anticipata da un simposio a Londra di "Architectural Design", venga dato il nome, appunto, di Deconstuctivist e il secondo fatto, ancora più forte, è che a Mark Wigley quale teorico della nuova tendenza si associ proprio Philip Johnson. Johnson, autore della famosa definizione di Wright, come il più grande architetto dell'ottocento e della relativa sottovalutazione alla mostra sull'International Style del 1932 (sì: 67 anni fa!), poi miesiano super fedele negli anni Cinquanta, neo-accademico classicista nell'Eur newyorchese del Lincol Center negli anni successivi, architetto neo-corporativo curtain wall negli anni Settanta è il nume tutelare del Po.Mo americano di cui dissemina prove in mezza nazione. Ora che proprio Johnson sia diventato il sostenitore di questa nuova tendenza iper-moderna sconcerta e senz'alcun dubbio legittima riflessioni sul destino dell'architettura nel paese del business. (Anche se Johnson, bisogna pur ricordarlo, possiede qualità assolutamente formidabili e Eisenman stimando e lavorando insieme a lui in molte occasioni di politica-culturale gli riconosce grande generosità e un ruolo di primissimo piano nel sostegno dell'architettura negli Stati Uniti).

    Ma torniamo alla sorprendente etichetta "Decostruzionista". Il successo della formulazione si basa su una serie di assonanze che fanno "orecchio" ma, in realtà, si tratta di malintesi. Da una parte rimanda all'esperienza dei costruttivisti russi cui, senza alcun dubbio, alcuni tra gli architetti citati guardano (ma non Eisenman, né Gehry). Ma una "decostruzione" del costruttivismo è un assurdo in termini logici, storici e sintattici., (perché il costruttivismo russo e poi il Suprematismo sono estetiche che disassemlano per poi assemblare volumi e forme con estrema e dinamicissima libertà). Il legame sintattico, è tutt'altro che decostruttivo ma in particolare come (Tschumi e Hadid), quasi letterale: l'unica cosa che i decostruttivisti decostruiscono di quella esperienza è il valore politico-ideologico che Tatlin Ginzburg Chernikhov e Leonidov attribuivano al loro lavoro nella temperie rivoluzionaria della rivoluzione bolscevica.

    Ma quello che elettrizza stampa, critici, pubblico è che l'etichetta Architettura Decostruzionista fa l'occhietto a uno dei pensieri filosofici più influenti degli ultimi anni: quello appunto di Derrida e di alcune personalità (....) in varie modo legate al filosofo francese. Ora su questo punto la tesi espressa da James Wines, escluso da Wigley e Johnson, forse anche di Eisenman, dalla mostra newyorchese, è convincente: tra la filosofia di Derrida e le opere esposte non vi è una reale affinità. Il decostruzionismo di Derrida abbisogna di un testo, possibilmente "classico" accettato per alcuni versi quale norma. Un testo, appunto, da decostruire facendo intervenire sistemi destabilizzanti (anche dalla scienza, dalla fisica, dalla psicoanalisi) e soprattutto dalla linguistica stessa. Per cui l'analisi decostruttiva alla fine, wittgensteinamente, scopre i limiti stessi del linguaggio che si scontrano con quelli della letteratura della filosofia della scienza delle arti.. Quindi una nuova totalità, una nuova circolarità anche se ormai senza centro e in cui la mente umana è un frammento di un più ampio schema di infinito disordine (entra il caos, come categoria e una assonanza alla teoria dei quanti su cui torneremo). Il fine di ogni indagine Decostruttiva non può essere che quello di informarci, di darci un frammento di conoscenza su questa complessità e quindi per estensione sulla condizione umana.

    Chiaro è che la cosiddetta Architettura Decostruttivista, come altre formulazioni sintetiche della storia dell'arte, non si legittima attraverso filosofia o scienza, ma è qualcosa a se stante. Il valore del lavoro di Zaha Hadid di Libeskind o quello di Eisenman, che dopo la mostra si allontanerà dall'etichetta o di Gehry, che non volle neanche partecipare, non è più o meno valido rispetto alle presunte origini filosofiche quanto il Bauhaus di Gropius sia "prova" della relatività einsteiniana. Il valore che conosciamo, al di là delle fonti di ispirazione è solo spaziale, espressivo, costruttivo, funzionale, la pregnanza (o meno) dell'opera solo storica, la soluzione dell'arte, una maniera nuova di guardare il mondo

    Inoltre ha ancora ragione Wines nel sostenere che semmai il lavoro in architettura filosoficamente "decostruttivo" è casomai quello di Gordon Matta Clark, che sega (letteralmente) stereotipi architettonici come la casa unifamiliare per rivelarci nuovi pensieri, o dello stesso scultore Wines e dei suoi Site che costruisce artificiosamente porzioni di edifici distrutti. Wigley li esclude perché il suo decostruzionismo "non tratta di edifici distrutti", tesi criticamente accettabile, ma allora ha ragione Wines: Deridda c'entra poco. Tra quelli convenzionalmente denominati tali, l'unico decostruttivo cui si può applicare Derrida è Gehry (attraverso una componente di cui non abbiamo neanche parlato: quando inserisce stereotipi classicheggianti nelle sue opere appunto per decostruirli completamente in un nuovo diverso sentire o quando usa al contrario lo stage set scenografico di Moore).

    Comunque sia, moda, business, cultura, rivalutazione della tradizione delle avanguardie, iper-modernismo, rimane il fatto che le manifestazioni di Londra e New York fanno diventare fenomeno di massa quelle che prima erano esercitazioni isolate. Il ruolo di Eisenman come nuovo teorico-architetto di questa ricerca è egemone e assolutamente indiscusso. Ne deriva un rifiorire di pubblicazioni (tra cui il numero unico di "A+U" introdotto da Johnson, quello del "Croquis" e di "Progressive Architecture") e soprattutto un maggior numero di occasioni progettuali. Eisenman è ormai completamente risorto e la sua stella brilla con ancora maggior intensità degli anni Settanta.

    2. Edifici in tre continenti

    I progetti, e gli incarichi di Eisenman anche grazie al nuovo successo del movimento decostruttivista aumentano. In molti progetti degli ultimi non emergono nuove scoperte, ma avvengono lo stesso due fenomeni interessanti: da una parte si intrecciano tra loro modi di operare differenti messi già a punto, dall'altra si attuano dei compromessi necessari a tramutare le idee in realtà. A questo appunto avviene uno strano fenomeno: Eisenman che era stato attaccato da destra (per essere irrazionale, astratto e a-funzionale) ora viene attaccato (magari dagli stessi) da sinistra, accusato appunto di abbassare il tiro. In realtà il compromesso (oppure il gioco "dare-avere" o il trade-off) è assolutamente parte del lavoro dell'architettura e chiunque abbia una conoscenza non libresca del progettare sa che costo, funzione, norme entrano nel progetto, a volte riducendo l'impatto teorico, ma ottenendo nel processo una cosa necessaria: essere realtà fisica, la sola che può innescare processi di mutamento.

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    Tipico a proposito è il Convention center realizzato a Ohio. L'edificio è stato descritto come una manciata di spaghetti su una scatola. Eisenman certo per ottemperare alle necessità pratiche ed economiche deve effettivamente creare un volume rigido. Ma su questo innesta ondeggianti strutture che usano le tecniche che abbiamo visto nel collegio di architettura, richiamando l'ondulato sovrapporsi delle curve di livello, le famose tracce delle onde sulla spiaggia ma anche gli innesti stradali che gli sono limitrofi. Il risultato è che agli insulsi capannoni con frontalini degli abituali Convention center (luoghi coperti per immense manifestazioni espositive) si sostituisce un'idea completamente nuova. una architettura senza facciate, perché ogni onda si presenta autonomamente all'esterno, e che valorizza proprio le coperture (che sono visibili dai grattacieli limitrofi, e che sparano le linee dei laser in movimento sulla città). Gli interni di nuovo sono bellissimi. Forse un attimo sotto rispetto alla Facoltà di architettura, ma vivaddio, questo progetto esiste: fa pensare anche le persone di Columbus e non solo gli architetti che leggono i disegni.

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    Un meccanismo simile di articolazione dell'edificio per nervature arcuate sovrapposte e intrecciate avviene in due progetti non realizzati: l' Hotel Olimpico a Banyoles che risponde attraverso questo mezzo al paesaggio scosceso e l'Emory Center for the Arts della omonima università di Atlanta, un centro che si dovrebbe realizzare per le olimpiadi del 1996.

    L'idea dello spazio "tra" le cose si sviluppa in due opere olandesi. Nell'edificio che progetta per l'Aia (1989) divide gli appartamenti in due blocchi, ma sfrutta il ballatoio centrale di distribuzione come il cuore del progetto: vi gravitano le attività di percorso dei residenti, ed è formalizzato come l'arteria pulsante dell'intervento che si prolunga all'esterno con il grande frattale vetrato delle scale e con la struttura reticolare del lato opposto. È un peccato che il progetto non sia realizzato perché dimostra come una risoluzione figurativa intelligente e se si vuole formalmente ëdecostruttiva' è possibile anche nel limitato bilancio dell'edilizia pubblica. Un altro progetto in cui il between viene esplorato è quello del piccolo padiglione per una mostra video realizzato in Olanda (in cui la sovrapposizione dei due volumi in cui lo spazio è diviso fa nascere il sistema di circolazione). Ma in questa costruzione del 1990 a questa idea si sovrappone quella del movimento scoperta nella Guardiola House. Qui diventa un'altra volta una "disclocazione pertinente" perché, almeno secondo, Eisenman l'operazione di slittamento e sfalsamento incrementale della forma deriva dallo stesso movimento che fa il pennello elettronico per ricostruire le immagini video. Continuamente rigenerate, in realtà sfocate, assumano nell'occhio la sensazione del movimento. Una tecnica, quella televisiva, diversa dalla pura successione fotografica del cinema. (Viene da pensare che se Duchamp y parla nel suo quadro del cinematografo, già inventato da un ventennio, Balla intuisce nel suo la televisione, che sarà scoperta solo quindici anni dopo).

    L'idea dello sterro che aveva fatta la sua comparsa sin dal progetto di Berlino o di frammenti minerali fuoriusciti da improvvisi movimenti sotterranei (riemerge in alcuni edifici alti come nei progetti della Max Reinhardt Haus a Berlino, una specie di Grand arche ma qui composta di segmenti poliedrici, e negli uffici Alteka in Giappone). Mentre altri due progetti come la casa per studenti della Cooper Union a New York e un blocco abitativo (Atocha 123) a Madrid dimostrano come Eisenman ormai sia molto capace nel legare la riflessione teorica e concettuale con i vincoli di una progettazione professionalmente credibile.

    In Giappone attraverso questa doppia chiave, un professionismo ormai maturo e una forte riflessione teorica e concettuale, realizza negli ultimi anni due opere che rivelano che le sue architetture non sono solo stimolanti dal punto di vista della ricerca espressiva e non presentano solamente dei giochi formali e allusivi.

    Gli uffici Nunotani a Tokyo - oltre a specchio convincente della caleidoscopica società giapponese e della telluricità del territorio - presentano dei modi innovativi di organizzazione dello spazio. Il core (blocco centrale di circolazione verticale e servizi dell'edificio multipiano) assume un originale perimetro poligonale che è posto nella zona di sovrapposizione dei due quadrati sfalsati in cui si suddivide il fabbricato. La localizzazione e l'andamento del blocco determina percorsi e viste interne ricche di sorprese e rappresenta un suggerimento distributivo che varrebbe la pena di veder riapplicato. Nell'altro palazzo realizzato sempre a Tokyo (uffici Koizumi-Sangyo), Eisenman dimostra con evidenza che per raggiungere i suoi messaggi (Tokyo come sintesi di luogo e "non-luogo"), non bisogna necessariamente decostruire l'intera fabbrica (con gli immaginabili costi), ma si può agire cercando una tensione dialettica tra le parti: le une standard (in questo caso la scatola uniforme dei diversi piani) le altre eccezionali (il grande bow-window di tre piani ottenuto con una rotazione progressiva di pannelli e bucature su la forma a "L" di base. Ma il suo progetto recente più ricco e interessante è per Francoforte, la città di Ernest May e delle Siedlung. Se si confronta la banale ripetitività di tanti piani urbanistici con quello proposto per il quartiere residenziale a di Rebstock park (primo premio al relativo concorso) notiamo come i meccanismi del folding (piegatura), graft (innesto) e scaling (riduzione/allargamento) insieme ancora ad altre idee contribuiscono a creare uno spazio urbano molto ricco. Innazitutto per gli abitanti.

    3. Rebstock Park. Plasmare la città.

    Questo progetto del 1990 per un quartiere residenziale di ben 450.000 mq tra abitazioni e edifici di commercio apparirebbe dal nulla nella produzione di Eisenman se non si facesse un passo indietro. Temi simili erano stati affrontati nel progetto Fox Hill a Staten Island, firmato insieme a Arthur Baker e Peter Wolf nel 1973. In quel momento si tentava di innestare una sinergia tra il New York State Urban Development Corporation (Udc), il MoMA diretto da Drexler e appunto l'Iaus di Eisenman che oltre al formalismo Five, aveva un filone minoritario, (capeggiato da Kenneth Frampton) attento ai problemi dello sviluppo della città attraverso la residenza a basso costo. Studi dei fenomeni negativi presenti negli edifici alti, e la necessità di proporre soluzioni alternative alla crescita dei suburbi, spinse la Udc a formulare una serie di nuovi scopi progettuali nel suo Criteria for Housing e a collaborare appunto con l'Iaus per la formulazione di prototipi innovativi di cui Fox Hill è un esempio.

    Il titolo della mostra al MoMa(Another Chance for housing: Low rise alternatives 1973) sottolinea che la "diversa scelta" è nel contenimento delle altezze ma, la formulazione più efficace di questa strategia prenderà il nome da un titolo di "Progressive Architecture":Low rise-high density. Case basse ma ad alta densità diventa così la strategia per affrontare simultaneamente molti problemi: territorialità, conformazione dello spazio urbano, appropriazione degli spazi collettivi e semi-privati, creazione di sistemi compatti da inserire anche in situazioni urbane già edificate per evitare l'estensione infinita della metropoli, sicurezza, privacy eccetera. Centrale per ottenere questi scopi era l'innovazione dei sistemi distributivi che ai tradizionali meccanismi a ballatoio, in linea e a schiera sostituisse soluzioni che pur limitando l'altezza ai quattro piani consentissero di radicare l'alloggio, anche quello dei piani più alti, direttamente con il suolo.

    La soluzione proposta da Eisenman a Fox Hill, ma presente anche in altri progetti del gruppo di lavoro Iaus e nella realizzazione del Marcus Garvey Village di Frampton e altri, si basa su una soluzione di "case sovrapposte" l'una altra. Questi pacchetti edilizi composti ciascuno da quattro appartamenti, contenendo ciascuno il sistema di distribuzione autonomo, si possono aggregare con relativa libertà: in questo caso con un andamento a crescent.

    Se paragonata ai coevi esempi che si realizzavano nel recupero di Society Hill a Philadelphia coordinati da Edmund Bacon e per lo più progettati dalla Sauer associates (che gli snob architetti newyorchesi paiono ignorare), la soluzione distributiva è molto primitiva e parzialmente inefficiente proprio nel conformare gli spazi a terra: ma il pur immaturo Fox Hill rimane la premessa necessaria al Rebstock Park, di 17 anni successivo.

    In questo affascinante progetto si incrociano molte tecniche, molte idee. La prima, e non poteva che essere così nella città delle Siedlung, è che l'architettura residenziale non è solo quantità ma essa stessa crea l'immagine (vorremmo dire l'identità) della città. È chiaro che le sottili variazioni dei blocchi abitativi per rispondere alle situazioni morfologiche e orografiche e l'uso del verde come connettivo ideato da Ernest May non possono più essere riproposte. Eisenman focalizza la critica nell'uso del suolo di questo modello, notando che spesso il terreno in questa concezione "si è trasformato in una distesa abbandonata. I volumi degli edifici sembrano distaccati dal suolo, galleggianti su un'area non più influente".

    A questa idea dello scollamento tra conformazione degli edifici e suolo egli sostituisce il concetto di tessuto. Il terreno si deve trasformare da lastra su cui poggiare volumi, in un insieme da progettare attentamente come un insieme compatto in cui interagiscono spazi, strade, edifici, sistemi verdi e lastricati per contrapporre alla discontinuità di quella concezione, la continuità tra uno spazio e l'altro, tra una configurazione e la successiva.

    Il concetto di tessuto d'altronde, sin da Halen di Atelier 5 della fine degli anni Cinquanta, usa lo strumento a lui familiare della griglia. Un sistema a un tempo progettuale e territoriale che investendo globalmente tutta l'area, la riammaglia in un continuum di relazioni e di variazioni perché entro la griglia gli spazi si svuotano, si aprono e si chiudono con dimensioni variabili corrispondenti ai vari modi dell'uso.

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    Eisenman usa a Rebstock park il concetto di tessuto e la griglia ordinatrice, ma li rafforza con la propria idea dei tracciati urbani e degli sterri. Per cui alle griglie ortogonali tradizionalmente adoperate nei sistemi insediativi bassi ad alta densità, egli sostituisce tre sistemi geometrici, tre tracciati regolatori, naturalmente tra loro diversi: il primo a maglia larga derivato dal sistema del Mercatore y (?), un secondo a trama fitta di un'area limitrofa, un terzo mistilineo che segue i confini ondulati dell'area di progetto localizzata tra gli anelli viari del cosiddetto "terzo anello verde" di Francoforte. I tre sistemi, naturalmente, entrano in tensione. I vertici del sistema ondulato si giungono a quelli ortogonali deformando, piegando le linee perpendicolari in una serie di spezzate: un campo deformato che fa pensare a come la massa dell'energia gravitazionale (in questo caso degli edifici) plasma lo spazio tempo di .Einstein y.

    Il risultato di questo esercizio geometrico è che alla ripetitività di alcuni sistemi insediativi "a tessuto", si sostituiscono linee ondeggianti e sempre variabili (ultimamente Jencks ha teorizzato questo muoversi per onde delle nuove ricerche architettoniche. Un sistema partito, per la verità, dal piano di Disurbanizzazione dei Costruttivisti russi nel 1929). Le strade, tutte a leggera ondulatura, seguono le linee del sito che declina leggermente e creano scorci continuamente variati. I corpi edilizi (lineari, organizzati a corte o con un interessante sistema a doppia "C" nei blocchi alti sul margine settentrionale) si deformano per seguire l'andamento della rete dei percorsi ma allo stesso, alla variazione di nello scatto dei piani, si disconnettono dalla geometria base per rispondere alle altre forze sottese dei tracciati con improvvisi tagli o con la fuoriuscita di corpi triangolari.

    Il risultato è un urbanistica che crea un ambiente ricco di strutturate eccezioni e che, al contempo, risponde a tutti i canoni della moderna funzionalità. I mezzi, in fondo non sono più costosi di quelli, per esempio, che hanno conformati i nostri a volte fantasiosi Peep negli anni Settanta (l'ondulazione dell'intero progetto è creata con andamenti poligonali delle linee e una impostazione prismatica dei fabbricati). La vera qualità aggiunta è quella della cultura dell'architetto: Eisenman, affrontando un tema come quello del quartiere residenziale su cui generazioni di architetti si sono misurati in questo secolo, non propone né il funzionalismo anni Venti, né l'ambientismo nordico o le sue riprese paesane, nè la ripresa nostalgica del tipo a corte di molte prove Po.Mo, né solamente il concetto di tessuto dell'esperienza della casa bassa ad alta densità ma combina tutte queste esperienze in una sintesi che molto deve alle sue proprie decennali ricerche. Il progetto dimostra come una riflessione al più alto livello teorico e concettuale sull'architettura e la sua Storia può conformare la nuova città. Ma l'efficacia del progetto in realtà, al di la di queste spiegazioni, è proprio nella semplicità della soluzione, se si vuole nella sua assoluta fattibilità, nel suo realismo. Un esito tutt'altro che scontato per Eisenman.
     
     

    7. Sei Domande. Una risposta


     1. Trattatista di oggi?

    Eisenman, non ha scritto un trattato dell'architettura come Vitruvio, Alberti, Palladio o Durand. La fede di poter sintetizzare l'intera disciplina è, giustamente, svanita. Ma non bisogna sottovalutare la riflessione teorica e le tecniche di sviluppo progettuale che egli ha messo a punto in sei lustri di accanita di ricerca. Ricordiamone alcune: la scoperta della Implosione (House II) derivante da una inedita combinazione di alcuni principi progettuali di Terragni, l'Esplosione dei volumi su una struttura geometrica legata al sito e che struttura i movimenti delle parti (House X), le tecniche di Trivellazione (House XI) determinate con rotazioni a elica di volumi ad "L", l'idea dello Sterro archeologico (Iba a Berlino) per ritrovare geometrie nascoste che strutturano i volumi come minerali, l'idea del Tra, dell'incunearsi tra strutture preesistenti modificando spazi amorfi in nuovi centri (Wexner), i Palinsesti che intrecciano presente passato e futuro e la cui manipolazione progettuale determina spazi pubblici agganciati al paesaggio (Museo Long Beach), i Movimenti astratti dei cubi booleani o quelli organici dei frattali e del Dna (a Pittsburgh e a Francoforte), soprattutto queste ultime tecniche che, combinandosi alle altre, strutturano tre capolavori. Il movimento ripetuto e Sfocato della Casa Guardiola a Cadice, la Vibrazione doppia del nuovo e del preesistente del College of Design a Cincinnati che determina straordinari cavi e si proietta nello spazio circostante e infine la Piegatura del Rebstock park che sintetizza in un nuovo paradigma town design e manufatti edilizi in uno dei temi più portanti di tutta la nuova architettura del secolo. Sono tecniche di progetto. Non automatiche ricette. Conoscerle è importante, per poterle riusare e magari combinare ad altre. La loro applicazione è delicata, ma non difficile, né necessariamente irrealistica. Si tratta per Eisenman stesso e per noi di capire quando servono, quando rinforzano caratteristiche fondamentale del problema quando il loro uso ci rivela, con la magia dell'arte, la loro assoluta necessità. Sfidiamo i lettori a trovare un protagonista della scena architettonica contemporanea che abbia tanto sperimentato e che ci fornisca tanti e così potenti strumenti di lavoro.

    2. Existenz Maximum y?

    Ma al di là della incessante ricerca di novità, della inesauribile curiosità intellettuale e del coraggio della sperimentazione, della teatralità a volte enigmatica e iniziatica con cui vengono diffuse queste idee, queste tecniche sono tutte unite da un concetto. La ricerca artistica, lo abbiamo già detto, funziona per frizioni tra diversi: non per assonanze, ma per contrasti (o come li ama chiamare il nostro "dislocamenti"). Eisenman lo ha fatto sin da quando associava il generativismo chomskiano al farsi dei suoi progetti, un modernismo senza uomo alla Foucalut alle sue arbitrarie composizioni di carte, la psicoanalisi ai suoi sterri e trivellazioni, la filosofia di Derrida, la geometria di George Boole y, il Dna di James Watson e Francis Crick, il Chora di Platone ai suoi progetti. Ma le dislocazioni vanno ancora avanti su un percorso che proprio nel College di Cincinnati e a Rebstock comincia a intravedersi. Quasi impercettibilmente, passo dopo passo Eisenman riconquista quello che aveva all'inizio escluso. Le sue architetture non sono più solo dei testi (o dei racconti molteplici e sfaccettati che si muovono nella dimensione astratta del pensiero), ma diventano anche spazi per i movimenti, la vita, gli uomini.

    Eisenman paralizzò nella sua prima fase, la dimensione storico-culturale dei fenomeni (e su questa esclusione basò la sua posizione eccentrica e vincente); teorizzò l'assolutezza del linguaggio e un modernismo antiumanista. Ma in realtà a vedere questi e altri progetti sembra che le sue ultime architetture facciano fatica a sostenere il suo vecchio antiumanesimo. Se non altro perché le sue prospettive diventano popolate da anziani e giovani, belle donne e bambini. Sembra anzi che quei suoi volumi tagliati e articolati, quei cavi magnificamente dinamici hanno assolutamente bisogno degli uomini per esistere. Sono anti-classiche proprio perché superano ogni posizione astratta e atemporale. Ci parlano dell'oggi e del futuro. Dell'esistere contraddittorio e molteplice della nostra vita. Eisenman ci aiuta a capire, e in questo ha ragione, che il centro non è più l'Uomo (principe dominatore e prospettico) del primo Rinascimentamento, quello senza centro del Manierismo (confuso dopo la controriforma, la rivoluzione copernicana, la scoperta dell'America, la doppia morale di Macchiavelli), quello di una riduzione a quantità e bisogni "minimi" della nuova oggettività funzionalista, ma che il vero centro è diventata proprio la vita nel suo misterioso svilupparsi, nel suo pernenne cambiamento nel suo intrecciarsi in situazioni sempre mutabili con la mente, la percezione, la cultura, il tempo, e la fisicità dell'uomo.

    3. Informatico versus Meccanico ?

    L'ambizione, difficilissima, che Eisenman persegue è trovare una via per dare struttura architettonica al grande, immenso paradigma che ci sta avvolgendo tutti in questa fine millennio.

    L'energia della conoscenza che come un fiume in piena straripa all'esterno, le griglie sovrapposte e intersecanti dello spazio urbano sterrate archeologicamente, il gioco allusivo della città fortificata degli improbabili bastioni terminali, il fossile intagliato accanto al muro di Berlino, oppure i percorsi-moli o le ipotetiche torri di estrazione del Museo in California, ma anche le sue dislocazioni pertinenti: il cubo informatico, il Dna, le onde televisive, la sabbia luogo-non luogo. Questa serie di rimandi diventa per Eisenman un aspetto fondamentale di un testo che non descrive più l'assolutezza dei significati sintattici della sua fase precedente, ma l'ambigua e poliedrica molteplicità del mondo della conoscenza contemporaneo. Sono risposte adeguate? Oppure una nuova autolegittimazione? È questa la strada da percorrere oppure siamo ancora ai dagherrotipi che rifacevano con l'obiettivo fotografico i ritratti a olio? È una banalizzazione di quel turbinio di eventi che ormai si chiama terza ondata, civiltà del computer, epoca post-industriale e che abbisogna di altre ancora più complesse risposte o è gia questa la via?. Hanno queste operazioni la capacità di parlarci di un "paradigma informatico" come quelle della nuova architettura del secolo ci parlavano di un "paradigma meccanico". Le risposte maturano lentamente. Certo oggi, è chiaro che Eisenman sta cercando. E chi voglia cercare in questa direzione del suo lavoro non può fare a meno.

    4. simultaneità contro Velocità ?

    Forse il vecchio paradigma industriale della velocità si trasforma in simultaneità. La concezione fondamentale di questo secolo è stata che edificio è spazio. Oggi si cerca risposta in una nuova direzione: l'edificio è tempo. L'edificio come macchina del tempo che "narra" simultaneamente di passato presente e futuro (la dimensione del racconto molteplice di cui sopra) ma anche che gioca strutturalmente con il problema sostanziale della Simultaneità. Come? Che salti concettuali dobbiamo ancora fare per riuscirci?. Si tratta semplicemente di includere sistemi vivi di trasformazione automatica degli edifici al variare per esempio della situazione di illuminazione (vedi i diaframmi di Jean Nouvel), o del numero di persone o del clima o delle esigenze di sicurezza e controllo?. Oppure si tratta di incorporare nell'edificio sistemi di letterale simultaneità (schermi computer, grandi televisori, il famosissimo Internet con tele conferencing, l'accesso immediato a persone, dati, conoscenze in tutto il globo e oltre?). Ma questi strumenti dovrebbero trovare una loro intrinseca necessaria risposta estetica. Come l'uso del vetro trovò nella nuova dimensione spazio percettiva del Bauhaus. Se l'edificio non è più solo spazio ma soprattutto tempo (nei suoi molteplici infiniti aspetti) quali sono le dimensioni spaziali del tempo?. Eisenman a Guardiola e a Cincinnati fa una proposta. Basta?

    5. La chiave è nel piccolissimo?

    Il problema, ormai chiaro a molti, è di estendere, di moltiplicare, di dilatare la Polisemia dell'architettura e non più di ridurre, circoscrivere, frazionare la disciplina in sotto ambiti particolari come si faceva tra gli anni Sessanta e Settanta. La difficoltà è creare edifici capaci di intessere relazioni "con l'altro da sé" non solo perché luogo costruzione funzione si veicolano in architettura attraverso l'arte ma perché ci rendiamo conto che la mente umana, la sfera delle idee (dalla filosofia alla fisica alla psicoanalisi) entra quale quinta fondamentale categoria dell'architettura. Non più triade di bellezza costruzione e funzione, né poker esteso al luogo, ma appunto mano: con cinque dita. Forse la risposte si trovano nel piccolissimo. Fritjof Capra, tra i grandi divulgatori delle moderna scienza, scrive: "In contrasto con la visione meccanicistica e cartesiana, la visione del mondo che emerge dalla fisica moderna può essere caratterizzata da parole come organica, olistica y ed ecologica. Può essere chiamata anche una visione sistemica, proprio nel senso della teoria generale dei sistemi. L'universo non è più visto come una macchina, composta da una moltitudine di oggetti, ma come una unità indivisibile, dinamica le cui parti sono essenzialmente interrelate e possono essere comprese come patterns (forme-strutture) di un processo cosmico."

    In particolare, quando si guarda agli Atomi, al Dna, alle onde elettromagnetiche è la teoria dei "Quanti" la chiave

    "Nella teoria dei quanti non si termina mai con "cose" ma sempre con inter connessioni. [...} Non possiamo decomporre il mondo in indipendenti piccole unità . Quando penetriamo dentro la materia, la natura non ci dimostra alcun isolato mattone da costruzione, ma piuttosto una complicata ragnatela di relazioni esistenti tra le varie parti di un unificato intero"

    A questo paradigma basato sulle inter connessioni, risponde un poco tutto il pensiero contemporaneo: dall'economia all'urbanistica, dall'informatica (cosa è un microship se non questo) alla matematica, senza parlare di biologia e fisica e naturalmente filosofia. In architettura come non pensare a due opposti? Ancora Alexander con il suo Pattern Language e naturalmente Eisenman. Quando interpreta i granelli di sabbia ondulati, quando organizza i suoi progetti sulle onde elettromagnetiche o sul Dna, quando formalizza episodi degli edifici come dei frattali che dal piccolo al grande ruotano su se stessi. La chiave della vita si nasconde nel piccolissimo. Chissà qualcosa ci aspetta ancora: qualcosa che riesca in una tautologia del Duemila a parlarci insieme della vita e della materia. In fondo quello che cerchiamo di fare con l'architettura. Non solo parlare delle idee, non solo trovare risposte alle vecchie triadi o alla nuova mano ma trasformare la materia inerte del ferro dell'acciaio del cemento (magari delle plastiche o delle lamiere) nella vita stessa degli uomini. Per farli felici, forti, consapevoli: più umani. Spazi come cellule viventi che attaccano assorbono strutturano organizzano l'unica vera natura, l'unico vero paesaggio dell'uomo sapiens. Quello del costruire.

    6. Ancora il "tra ". Eisenman transfuzionalista?.

    Ormai siamo consapevoli che il problema di questi anni non è quello di basarsi su presunte certezze, su dogmi e regole, ma quello di porci, le giuste domande. Ora a me sembra che la domanda fondo dell'architettura è: "Come Possiamo Articolare la Vita nelle Nostre Costruzioni?" (Dove il Come rivela l'esigenza di formalizzare conoscenze trasmissibili, tecniche e metodi di lavoro; Articolare sta per la ricerca di spazi dinamici e fluidi; Nostro vuol dire apertura problematica a quanti dalla comunità ai clienti, alla città sono coinvolti nel processo; Costruzioni significa considerare il progetto come un tutto che investe simultaneamente l'edificio comunemente inteso e le aree libere, "costruibili" anch'esse con l'acqua, la vegetazione, le pavimentazioni, gli arredi, le strutture leggere). La parola decisiva è però, ancora, Vita. Questo vuol dire, in fondo, Transfunzionalismo: abbracciare della vita tutti gli aspetti, da quelli di quantità, standard, norma, ergonomia della prima stagione modernista "oggettiva", a quelli tridimensionali percettivi e tattili della fase organica, a quelli di territorialità, controllo, comunità densità della psicologia dell'abitare, a quelli logici, filosofici, scientifici elettronici dell'ultimo prodigioso aprirsi degli ultimi anni. Senza dimenticare il dato più difficile e più importante. L'arte. Che della vita è la forma più alta e la sola unicamente umana. Transfunzionalismo allora (e non Post! come scrisse nel 1976): oltre il funzionalismo, attraverso il molteplice della vita per cercare risposte ogni volta diverse. L'ultimo Eisenman e soprattutto quello futuro può essere un agente di straordinaria importanza in questa direzione. Il suo costante attraversare, esplorare, cercare risposte con libertà e curiosità ci è necessario.
     
     

    7. Modernità come crisi

    Speriamo di aver dimostrato come l'antiumanesimo di Eisenman, con cui era partita la sua ricerca, ormai si è annullato in una consapevolezza verso l'estensione polisemica dell'architettura che riabbraccia della vita la sua incredibile e affascinate molteplicità. Ma in conclusione un altro tema eisenmaniano, quello dell'antitesi tra architettura moderna (come continuazione della tradizione Umanistica rinascimentale) e quella del Modernismo (come scissione tra uomo e idee. come rivendicazione di autonomia testuale, logica dell'architettura), va discusso. Di questo aggettivo "moderno" e del suo sostantivo "modernità" dobbiamo pur parlare, capire cosa è (e per questo quasi mai lo abbiamo sin ora adoperato).

    Non molto tempo fa, il direttore di questa collana mi chiese "Saggio, cosa è per te la modernità? Sono cinquant'anni che ci lavoro ... " Avevo già capito che la critica è positiva solo se nega: combatte consuetudini, norme e regole per affermare il valore originale della ricerca artistica. Avevo capito che il progetto di architettura, di per sé prosa compromissoria tra funzione, costruzione e bellezza, si doveva spingere oltre. La funzione diventare tensione verso spazi umani e organici, la costruzione segnare l'audacia della conquista dinamica dello spazio, la bellezza essere annullata nel ricominciamento del Grado zero. Era chiaro pure che un'idea canonizzabile e imbalsamata di "bellezza", non esiste.. Ma sulla modernità dissi qualcosa come "Beh, certo è un concetto atemporale, non si riferisce a un epoca ....". Era solo la risposta di un lettore diligente: "Saggio, la modernità è quella che fa della crisi un valore".

    Caspita, pensai, questo vale E=mc2 . Bruno Zevi lo aveva scritto e allo stesso "nascosto" in un inciso del suo recente libro Architettura della modernità, appunto. La modernità è quella che fa della crisi un valore, crea una morale contraddittoria, suscita un'estetica di rottura.

    Modernità è un concetto che attraversa tutta la storia, non è utilmente segmentabile in un arco temporale perché vuol dire affrontare di petto gli elementi di crisi di cambiamento di novità in un dato momento storico e, a partire da questi elementi di crisi rispondere in positivo. Cosicché moderno è l'atteggiamento di Arnolfo Di Cambio o di Giotto, di Bruneleschi o di Masaccio di Michelangelo, Borromini e Gropius. Ora se vi è un architetto moderno al mondo per questa sua incessante ricerca nelle viscere stesse della situazione contemporanea e Eisenman, senza di lui saremmo molto più soli, molto più poveri. Il presunto contrasto tra Architettura moderna e Modernismo, sotto questa luce, appare un falso problema.

    Le sfide che ci sono davanti con cui ho iniziato questo scritto sul newyorchese Eisenman sono "crisi che si devono trasformare in valori", in risorse del progetto per spingerci oltre darci la forza e la vitalità dell'agire. Da Eisenman aspettiamo nuove sfide e nuove risposte.
     
     

    Per Approfondire
     
     
     
     
     
     

    I principali studi di cui si è giovato questo scritto sono indicati nella lista delle abbreviazioni che segue; quelli più specifici, solo nei paragrafi relativi. Un cenno non va omesso ai due lavori più importanti. Il primo è il saggio di Manfredo Tafuri del 1976 esteso a tutti i Five Architects, il secondo è il libro di Pippo Ciorra del 1993. Le citazioni riferite ad Eisenman, eccetto quando altrimenti specificato, si riferiscono alla traduzione italiana di Ciorra dei testi di Eisenman che accompagnano i progetti.

    A+U 88 - Eisenmananamnesie, "A+U", numero unico, 8/88

    AdA 92 - Frederic Levrat, Peter Eisenman, "L'Architecture d'Aujourd'hui", 2/92

    Ciorra 93 - Pippo Ciorra, Peter Eisenman, Electa, Milano, 1993

    ElC 89 - Peter Eisenman, "El Croquis", n. 41 12/89

    De 89 - Deconstruction, Omnibus volume (cura di A. Papadakis, C. Cooke, A. Benjamin), Rizzoli int., New York 1989

    Eisen 76 ? Peter Eisenman, Post-functionalism, "Oppositions", n.16 1976

    Eisen 78 ? P. E, The graves of modernism, "Opposition", n.12 1978

    Eisen 84 - P. E, [Autopresentazione] in AA.VV., Contemporary Architects, EDITORE y, New York con un saggio di C. Ray Smith (ed. 1984), di Nathan Silver (ed. 94)

    Eisen 88 - P.E., Architecture as a second language: The text of between , in varie pubblicazioni (v.p.) tra cui De 89 e Ciorra 93

    Eisen 88a - P.E., The authenticity of differance; architecture and the crisis of reality, v. p. tra cui in Ciorra 93

    Eisen 88c - P.E., En terror firma;:in trails of grotextes, v. p. tra cui in De 89

    Eisen 89 - Intervista a Jencks in De 89

    Eisen 89a - P.E., The blue line text, v. p. tra cui in Ciorra 93

    Eisen. 92 - Intervista a Levrat in AdA 92

    Frank 93 - Suzanne Frank, voce Eisenman, International dictionary of architects, St. martin press 1993

    Heyer 93 - Paul Heyer, American architecture, Ideas and ideologies in the late twentieth century, Van nostrand Reihnold, New York 1993

    Jencks 89 - Charles Jencks, Deconstruction; the pleasure of absence, in De 89

    PA 89 - Peter Eisenman, "Progressive Architecture", numero unico, 10/89

    Tafuri 76 - Manfredo Tafuri, Five architects N.Y., Officina, Roma 1976
     
     
     
     
     
     

    1. Big Bang dell'architettura

    1. Poker Vitruviano?. A quanto già discusso nel testo forse vale la pena aggiungere che gli ordini classici nelle Accademie, il calcolo nei Politecnici, la razionalizzazione delle quantità nel dibattito culturale e nei centri della nascente nuova architettura erano gli strumenti privilegiati che cercavano di "gerarchizzare" gli aspetti divergenti della disciplina: non sfidarne l'unitarietà. Una unitarietà ribadita con la massima evidenza (I cinque punti! di LC) proprio in tutto il lavoro dei maestri della nuova architettura La necessità sintetica d'altronde è connaturata alla natura stessa della disciplina: a differenza di altre arti come la musica, la poesia o la pittura, l'architettura è polisemica: serve uno scopo pratico, e insieme ha altre proprietà. Filosofi e critici avevano dibattuto su questa particolarità, che poi è comune al design degli oggetti d'uso, arrivando alla conclusione, anche con il filosofo italiano Benedetto Croce certo non troppo aperto verso l'accettazione delle componenti "pratiche" e utilitaristiche dell'arte, che sì, pur se l'architettura deve obbedire all'uso, essa è in grado di veicolare messaggi (conoscenze) di ordine estetico. ("Il fine estrinseco non è di necessità limite e impaccio" a quello estetico: "i due fini non stanno di necessità in contraddizione"; "l'attività estetica può andare sempre d'accordo con quella pratica". Sono brevi citazioni di Croce inserite in un discorso più ampio da Bruno Zevi, Paesaggi e città, Newton Compton, Roma 1995 p. 11 che naturalmente incontra questo problema trattando della natura del paesaggio)

    Eisenman attacca più riprese la continuità umanistica della architettura moderna . Un chiaro sunto di questa sua concezione è in Eisen 84 p. 263 dove egli si sofferma sul la differenza tra "architettura moderna" (che addirittura definisce "classica" Eisen 8a p. 212) e il nuovo epistema "modernismo": "Il modernismo, come una sensibilità basata su un fondamentale dislocamento dell'uomo, rappresenta quello che Michel Foucault chiamerebbe un nuovo épistème. Derivante da un attitudine non-umanistica nella relazione tra uomo e l'ambiente fisico. Il Modernismo rompe con il passato storico sia perché non vede più l'uomo come soggetto, sia con il positivismo etico di forma e funzione. Quindi Modernismo non può essere relazionato al funzionalismo. È la ragione per cui il modernismo non è stato fino ad esso elaborato in architettura". (Aveva già spiegato i medesimi concetti in Eisen 76, Post-Functionalism). Naturalmente un problema esiste quando si guarda alla natura strutturalmente polisemica dell'architettura. In altre parole se questa idea di modernismo si basa sull'estraniazione - se si vuole alienazione dal fondamento umano - perseguire questo programma proprio in una disciplina che si basa sul suo radicarsi anche in una serie di ragione pratiche (tettoniche, di uso) ma anche, simboliche, psicologiche, rappresentative, ambientale, è particolarmente complesso (anzi impossibile, anzi sbagliato) Eisenman d'altronde lo dice "è più difficile in architettura perché (...) l' architettura è radicata nella sua presenza nel suo essere vista come riparo e istituzione, house and home. L'architettura è il guardiano della realtà. È l'ultimo bastione della location. È un vero problema. L'architettura reprime la dislocazione per la stessa paradoxical posizione che ella tiene. Non si ha questo problema con teologia, filosofia o con la scienza." (Eisen 89 p.143)

    2. Riduzionismo esclusivista. La tesi dottorale di Eisenman (The Formal Basis for Modern Architecture, Cambridge 1963) è disponibile solo in alcune biblioteche molto attrezzate (come quella dell'Eth di Zurigo) ma andrebbe da qualcuno pubblicata perché è una testimonianza a un tempo storica - solo negli anni successivi questo tipo di analisi diverrà abituale - e allo calzante di una ipotesi di lavoro dottorale nell'area della progettazione. Colin Rowe, (che Eisenman definisce come "il più importante dei miei padri" in Eisen 92) oltre Terragni gli fa scoprire Palladio e Serlio. Caratteristica di questa fase è Colin Rowe, Robert Slutzki, Transparence, Réelle et Virtuelle, (ed. francese introdotta da Werner Oechslin; di un famoso saggio scritto tra gli anni Cinquanta e Sessanta), Les Edition du Demi-cercle, Parigi 1992.

    Il tema del Big bang anni sessanta in rapporto alla scomparsa dei maestri è stato introdotto in due scritti precedenti su Eisenman (la recensione al volume di Ciorra in "Domus", 7/8 1993 e Il teorico scende in campo, "Costruire", 9/93). Per quanto riguarda la sintesi qui proposta del lavoro su Kahn cfr. "Domus" 10/92. Per Tafuri 76 p. 9 sia Kahn che Venturi operano "un rovesciamento dell'architettura su stessa, che renda legittimo sprofondare nel pozzo senza fondo dell'autonomia formale". Ma una cosa sono i fenomeni che Kahn innesta (senza dubbio, anche, un fortissimo formalismo) un'altra cosa è il senso del suo lavoro (l'esatto opposto del formalismo, anzi una concentrazione fortissima sull'unitarietà dell'architettura, della sua inscindibilità in sfere autonome). I due volumi chiave degli anni Sessanta sono Robert Venturi, Complexity and Contradiction in Architecture, Mit y 1966, e Christopher Alexander, Note sulla sintesi della forma (titolo inglese y) 1963. entrambi disponibili in edizione italiana

    2. Architettare testi e manifesti

    1. Architetto-artista concettuale. Sul manhattanismo cfr. il saggio di Herbert Muschamp in Thinking the present. recent american architecture, (cura di M. Hays e C. Burns) Princeton architectural press, Princeton 1990 discusso da Ciorra 93). Alcuni dettagli sulla vita di Eisenman, come la partecipazione alla guerra di Corea, si devono a Suzanne Frank (Frank 93) tra l'altro committente insieme al marito di House VI. Sull'Iaus un saggio specifico è Joseph Rykwert, The Institute for Architecture and urban Studies, in "Casabella" n.359-360 1971 ma esistono anche lunghi passaggi e commenti in Frank 93, Smith 84, Wines 89 e nell'intervista con Jencks (Eisen 89). In tutti questi scritti, pur se in diversa dose, il pettegolezzo si mescola alle notizie e ai giudizi sulle varie fasi di attività dell'istituto. Sulla sua diversità rispetto a Venturi e Rossi, Eisenman scrive "Venturi ha trasformato il linguaggio; Rossi ha trasformato il linguaggio, ma sempre all'interno del linguaggio. Parlo di due personaggi che hanno riformulato gran parte del linguaggio post-bellico dell'Architettura. Il mio lavoro invece ri-formula il linguaggio, o sposta (disloca) il mio linguaggio dall'esterno, dalla fisica dalla biologia, dalla teoria delle catastrofi, dalla matematica ..., in altre parole spinge sempre nuove cose dentro l'Architettura dall'esterno" (Eisenman intervistato da Fabio Ghersi in "Controspazio" 1/2 92 p. 13) Eisenman dice una cosa vera e una errata. Chi ha portato dentro l'architettura l'esterno (il kitch il popolare il quotidiano il Pop) è stato proprio Venturi. Rossi, poi, in tutta una fase legava la sua ricerca a ragioni socio-politche di attacco alla società capitalistica. Il problema non è quindi così semplice. Il fatto è che per i due architetti citati vi era un problema di "contenuti" ( o se si vuole di valori) mentre per Eisenman almeno all'inizio il dislocamento era una tecnica, un esercizio intellettuale. Ma nel suo lavoro a forza "di spingere sempre nuove cose dentro l'architettura dall'esterno", lui stesso, vi torneremo, riscoprirà dei (molteplici, sfaccettati, pluri direzionati sin che si vuole) contenuti. Il manifesto concettuale di Eisenman di cui si parla è in "Design Quarterly", n.78-79 1970 (e anche "Casabella" 12/71 e Tafuri 76) un secondo apparirà in varie testate tra cui "Casabella" 2/73. Di Noam Chomsky bisogna almeno ricordare Generativism, Mit press y, di Umberto Eco, La struttura assente, Bompiani Milano 1969 y originariamente redatta come dispensa della facoltà di Architettura di Firenze in cui Leonardo Ricci lo aveva chiamato ad insegnare. I critici e storici d'arte che hanno esercitato influenza su Eisenman sono ricordati da Jencks 89. La frase su Terragni è stata pronunziata a Harvard nel 1985 ed è riportata in Giorgio Ciucci, Ennesimeanamnesi (bel titolo: Anamnesi - esame dell'anima su una serie di indizi - di un bel saggio) in Ciorra 93.

    2. Cultura è un business. Sulle capacità promozionali di Eisenman si soffermano molti autori Ciorra 93 p. 22, per esempio, sostiene. "La sua costruzione teorica è un vero e proprio apparato di propaganda, tendente a dimostrare come la sua immagine di questo nuovo sistema di relazioni sia l'unica e la più efficace" Sul valore delle scelte "esotiche" e controcorrente scrive Diane Ghirardo . "La soluzione è assumere una posizione teorica esclusivista, (...): se funziona questa diventa status" (Peter Eisenman Il Camoufflage dell'avanguardia, "Casabella" 6/94 p. 27). Sull'impostazione quale individualità e business y dell'architettura statunitense cfr. Eisen 92

    3. Nascita dei Five. Il catalogo della mostra dei Five a New York con gli scritti di Rowe, Frampton, Drexler e La Riche è: Five Architects, George Wittenborn & Company, New York 1972. testi (anche molto critici) sui Five appaiono sul numero unico di "Architectural Forum", 5/73. Tafuri 76 dà delle definizioni molto calzanti e profetiche: Se Eisenman è il teorico e il terrorista formale, Graves è un illusionista, Meier un meccanico delle funzioni (aggiungeremmo che Hedjuk, forse, un prestigiatore che lancia e poi raccoglie i suoi pezzi nello spazio, Gwathmey associato con Siegel, un colto mediatore). Mario Gandelsonas pubblica saggi sui Five su "Progressive Architecture" 3/73 e "Casabella" 2/74 in cui a pagina 22 scrive "Paralizzando la dimensione semantica, la dimensione sintattica assume un peso inusitato". Definizione assolutamente perfetta di questa fase di Eisenman, che viene citata anche da altri, in un articolo che appunto si intitola Linguistic in Architecture.. La definizione della "energia didattica" del suo lavoro è di Jencks 89. Del tutto naturale dato che il suo dottorato è specificamente in progettazione architettonica.

    3. Partiture di carte e di dadi

    1. Peter Terragni. I saggi di Eisenman sono: Dall'oggetto alla relazionalità: la Casa del Fascio di Terragni, "Casabella",1/70 e From object to relationship: Giuseppe Terragni, Casa Giuliani Frigerio, II, "Perspecta", n.13-14 1971. Cfr. su quanto sintetizzato su Terragni nel testo Giuseppe Terragni, Vita e opere, Laterza, Roma Bari 1995. Nella propria bibliografia in Eisen 85 appare anche il titolo Giuseppe Terragni, Cambridge 1985. Manfredo Tafuri scrisse la premessa all'ipotetico volume (che poi sarà pubblicata come saggio autonomo nel 1978, "Lotus", n.20) perché né l'Mit, né successivamente Rizzoli international, che pure annunziò con tanto di copertina, il volume mai hanno dato alle stampe il lavoro. Certo che il continuo annuncio del libro-fantasma ha dato più aura alla sua immagine di una superficiale e affrettata pubblicazione.

    2. Differenze e diagrammi. Tra i molti critici che si sono occupati di Eisenman in questa fase una delle osservazioni più pertinenti è contenuta in Heyer 93 che a p. 138 scrive "Nel lavoro di Eisenman le componenti sono inestricabilmente bloccate, come se diventassero collapsed inward, ... [y] curare traduzione] In eisenman'work components are inextricably interlocked as they become collapsed inward, almost slid onto organizing and regulating line and entwined as they reemerge outward as layered exterio form". Sullo sviluppo successivo di Meier cfr. "Domus" 12/93, recensione al volume Richard Meier , a cura di P. Ciorra e L. Sacchi, Electa Milano 1993

    3. Perversioni dell'arbitrario. Naturalmente privilegiare il momento del disegno è un fenomeno comune a tutta l'avanguardia architettonica degli anni Settanta. A questo proposito non si può non ricordare (assieme al lavoro di Rossi, Scolari, Grassi e altri architetti della "Tendenza") soprattutto quello dell'italiano Franco Purini. La cui forte vocazione teorica (L'architettura didattica, Casa del libro, Reggio Calabria 1980) innerva tutti i propri testi: vuoi disegni, progetti o scritti. Su alcune convergenze tra il lavoro di questo architetto romano e Eisenman cfr. Franco Purini, Fra Futurismo e metafisica, Costruire, 4/94 e F. Purini, recensione a P. Eisenman la fine del Classico, "Casabella", 12/87

    4. La casa del pendio. Eisenman wrightiano? Su House VI cfr. "Architectural Design" 1/78 Cfr. anche Peter Eisenman, House X, Rizzoli International, New York 1982 che ripubblica un saggio di Mario Gandesonans, From Structure to Subject apparso sia su "Oppositions" n. 17 1978 che su "A+U" 1/78.

    5. Trivellazioni nell'inconscio. "Fu allora, che decisi di intraprendere la terapia psicoanalitica. Ero veramente preoccupato, dopo aver impiegato così tanto tempo a progettare House X, nel non vederla costruita. In quel momento cominciai ad andare verso il mio inconscio attraverso le mie sedute di analisi: divenni meno orientato verso la testa. Questo causò una modifica nella mia architettura: andò verso la terra" (Eisen 89 p. 142). Cfr. anche, riassuntivo sull'intero ciclo delle case, Peter Eisenman, House of cards, Oxford University press, Oxford 1987 (con saggi di Rosalind Krauss e Manfredo Tafuri).

    4. Dislocare il Post.

    1. Sterro, tracciati, metafore. Jencks 89 p. 127, scrive: "Il progetto Cannaregio per Venezia del 1978 indica questo cambiamento verso quello che io chiamo il suo ëNon Post-Modernismo' cioè l'uso di norme Post-Moderne in una maniera invertita o Decostruita". Molto vi sarebbe da discutere, in parte vi torneremo, su questa implicita (anche se invertita paternità che Jencks si attribuisce). Ma l'osservazione è stimolante. Comunque molto prima Bruno Zevi aveva intitolato un suo editoriale L'anti-memoria di Peter Eisenman ("L'architettura - cronache e storia", 10/82)

    Molti autori si soffermano sulle incongruenze funzionali delle case di Eisenman. Una sintesi efficace è quella di Ray Smith in Eisen 85. " le scale non hanno ringhiere, le colonne non toccano il suolo ma risultano appese, i requisiti funzionali di bagni e cucine sono negati, si abbisogna di aria condizionata sul lato nord. (...) Nella House VI per Suzanne e Richard Frank, una scala è troppo bassa per scendere senza saltare aduck y, una porta è troppo stretta per entrare senza girarsi, un pilastro cala tra le sedie del tavolo da pranzo". La svolta di Eisenman tra il 1982 e il 1983 è ricordata tra l'altro proprio da (Susanne) Frank 93 p. 235: "L'11 agosto 1982, festeggiando nel suo piccolo studio il cinquantesimo compleanno, Peter Eisenman ha fatto un breve discorso per affermare: "Ho passato i miei primi cinquant'anni a lavorare per l'istituto (l'Iaus), i prossimi cinquanta saranno per lo studio e la progettazione attiva" " Del 1982 sono infatti le dimissioni da direttore dell'Iaus e la chiusura di "Oppositions" e altre vicende della sfera personale.

    2. Eisenman riemerge a Berlino. Sull'Iba berlinese vi è una sterminata bibliografia, un buon testo riassuntivo in italiano è stato redatto in occasione della mostra Berlino capitale...Multigrafica y. È interessante notare che su alcune strategie simili di town design, Eisenman si è misurato anche per la città di Roma, e in particolare per l'area del borghetto Flaminio. Nessuno, apparentemente, nella affannosa rincorsa ai commissari esteri per giudicare il Concorso espletato nel 1995, si è ricordato di questo progetto redatto otto anni prima (cfr. Triennale di Milano, le Città invisibili 1987). Il progetto romano completa idealmente una triade con quello per Venezia-Cannaregio (1978) e quello a Verona denominato Moving arrows, eros and other errors: Romeo e Giulietta del 1985. Di questi lavori si tratta anche nel volume Peter Eisenman , La fine del classico (a cura di Renato Rizzi) Cluva, Venezia 1987 in specie nel saggio di Franco Rella, Figure nel labirinto.

    3. Collage di tracce. Eisenman spiega la differenza nell'uso del termine testo tra la sua prima fase (quella grosso modo della Cardboard Architecture) e la seconda (caratteristica, tra gli altri del progetto per la Villette con la consulenza di Derrida): "Nella prima di queste elaborazioni, il testo non è più considerato come la rappresentazione di una narrazione, quanto piuttosto come la rappresentazione della struttura formale di una narrazione. Nella seconda, il testo ënon è più qualcosa di completo, racchiuso in un libro e nei suoi margini, ma è piuttosto un sistema differenziale. Un tessuto di tracce che rimanda all'infinito a qualcosa di diverso e altro rispetto al testo stesso". In quest'ultimo senso, il testo "rimuove l'idea convenzionale o naturale' del lavoro letterario. e se il concetto di testo come struttura dell'opera si riferiva ad un processo interno all'opera stessa, questa seconda nozione di testo crea una condizione fondamentale di "spiazzamento"; non dipende più da alcuna relazione interna, come la struttura. (...) Il testo non corrisponde mai a un solo significato; ogni singolo elemento che vi appare ha più di un significato". In Eisen 88 p. 206. Sul progetto della villette vedi "Domus"3/87.

    4. Il "tra". Il progetto del Wexner center for the arts ha avuto un grandissimo eco sulla stampa specializzato e non quando è stato aperto al pubblico nel 1989. "Raramente un edificio è stato inaugurato allo stesso modo del Wexner Center a Columbus Ohio, dove l'anziano statista dell'architettura Philip Johnson, si è unito con alcune delle più brillanti leve della nuova generazione - Charles Gwathmey, Michael Graves, Richard Meier, Harry Cobb - per non citare i rappresentati del cosiddetto circolo delle avanguardia delle arti, come Laurie Anderson, il Kronos Quartet e Twyla Tharp" (Ghirardo cit. "Casabella" 6/94 p. 23). Diane Ghirardo aveva trattato con toni critici del lavoro di Eisenman nel volume da lei curato Out of site, A social criticism of architecture, Bay press, Seattle 1991 in particolare nel saggio Two Institutions for the Arts. Indubbio che il clamore della stampa ( Rizzoli international nel 1989 stampa un intero libro sull'edificio con saggi di rafael Moneo e Jonathann Green) è adeguato più al ruolo culturale dell'autore e alla novità del suo primo grande edificio pubblico in America che al valore intrinseco dell'opera, inferiore, e di molte spanne, ad altre opere pensate in seguito per la stessa Columbus.

    5. Il futuro del passato. Frank Gehry e Peter Eisenman sono stati associati in diverse occasioni negli ultimi anni di nuovo dall'autorità di Philip Johnson (basti ricordare la sua Introduzione a Peter Eisenman & Frank Gehry, catalogo della V mostra internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia, Rizzoli international New York 1991). Un anticonvenzionale ritratto Gehry Eisenman amici -nemici, di Andrea Stipa, "Ricerca e progetto" n. 3 1994 y. Heyer 93, attraverso il montaggio mirato che opera nel suo volume, accosta Johansen a Gehry. Sulle nuove concezione dello spazio pubblico di cui Gehry rappresenta il massimo artefice e su alcune evidenti reinterpretazioni operate da Gehry dello stage set di Charles Moore Cfr. Il vuotometrico. Se il vuoto si fa progetto, "Costruire", 5/95 ma giusto ricordare che nella bibliografia di questo volume si trova la seguente affermazione "Frank Gehry ha sviluppato lo spazio Post-Moderno di Charles Moore e altri con una attitudine Tardo-Moderna". (Jencks 89 p. 119) In questa operazione Gehry è letteralmente un architetto decostruttivo. Decostruisce cioè stereotipi scenografici in un sentire opposto. In altre occasioni, per spiegare gli stessi fenomeni di ibridazione (cfr. Scenari futuri inedito a questa data ) abbiamo usato la metafora del lievito: un enzima malato che diventa lievito fragrante di una nuova sintesi. L'importanza del Museo californiano è sottolineato bene dal seguente paragrafo:

    "Nella proposta per il Long Beach Art Museum, del 1986, una delle prove migliori dell'ultimo decennio, l'idea della rivelazione delle tracce, della sovrapposizione indifferente delle varie ëforme urbane' genera un insieme complesso ed efficace, meno letterario delle coeve sperimentazioni fatte per la biennale del 1985 (Moving arrows...) o per la Triennale del 1987 (proposta per via Flaminia a Roma), ma più credibile e interessante, capace di suscitare curiosità vera su come sarebbe un pezzo di città (o di paesaggio) progettato da Peter Eisenman." (Ciorra 93 p.19) Il giudizio è assolutamente condivisibile, (a parte l'aggettivo "indifferente": forse si tratta semplicemente di "differente": delle tracce si usano qui solo le porzioni che contribuiscono alla struttura spaziale del progetto). Il progetto è pubblicato con un testo di Eisenman in "Lotus" n. 50 1987 e in "GA international 18" 4/87. Cfr anche a cura di Pippo Ciorra, Botta Eisenman, Gregotti Hollein: Musei, Electa, Milano 1991.

    5. Rivoluzione permanente e grandi conquiste

    1. Lotta al Cubo. Delle diverse teoriche scientifiche applicate da Eisenman alla progettazione architettonica tra cui appunto la geometria di Boole, il Dna, il frattale un utile compendio è in Gerhard Schmitt,Architecture et Machina. Computer Aided Architectural Design und Virtuelle Architecktur, Vieweg, Wiesbaden, 1993 in particolare perché qui ne viene studiato il possibile sviluppo elettronico. Il progetto per Carnegie-Mellon è stato discusso a più riprese tra Schmitt (docente e collega di chi scrive alla medesima università) e Eisenman (che in quel periodo teneva un corso al Dept. of Architecture). La citazione di Susan Condé è in Marco De Martino, Euclide da Vinci, "Panorama" 18/2/94 pp. 152-156.

    2. Il cagnolino Balla sulla sabbia. Eisenman scopre il Chora di Platone ("il ricettacolo" come qualcosa tra luogo e oggetto) via Jacques Derrida che stava lavorando al Timaeus Timeo y di Platone al tempo del Progetto della Villette, ma l'idea si decanta solo tre anni dopo in questo progetto spagnolo. Eisenman per spiegare le vibrazioni che assume la forma base propone "arabesque": termine pieno di equivoci, almeno in italiano. Crediamo che "sfocamento" o l'inglese Blurring sia estremamente più appropriato. Mai abbiamo trovato né in Eisenman, né in altri autori alcun cenno a Duchamp né tanto meno a Balla. Ma le fonti di ispirazioni più autentiche, anche negli iper-teorici, devono viaggiare sotterraneamente!.

    3. Cavi audaci per insegnare architettura. Il progetto viene presentato in AdA 92 con la datazione 1991 e risulta redatto in collaborazione con Lorenz e Williams inc. A questo splendido progetto, nell'ampio servizio a cura di Levrat, spicca il saggio "Le génie de la matière" nel quale Standford Kwinter dedica all'opera una dettagliata analisi una volta tanto non "letteraria" ma estremamente pertinente alle tecniche e alle idee che effettivamente guidano lo strutturarsi di questa "materia".

    6.. Eisenman realista

    1. Decostruire, ma cosa?.. Sul fenomeno decostruttivista ormai la letteratura è vasta. In Italia, tra altri Livio Sacchi, ne è stato un critico attento (Cfr. Sacchi 90 e il suo scritto Architettura, ermeneutica, decostruzione in Bianca Bottero Decostruzione in architettura e in filosofia, Cittàstudi, Milano 1991) ma la fonte bibliografica per cogliere la complessità del fenomeno è De89. Questo corposo volume (294 pagine di grande formato) una volta tanto dà credito al titolo Decostruction Omnibus volume. L'interesse dell'opera, che raccoglie anche scritti apparsi sul catalogo della mostra al MoMA di New York o su "Architectural Design", è anche dare voce ad autori come Jencks (Deconstruction: the pleasure of absence) e soprattutto James Wines (The Slippery Floor) che da posizioni opposte destabilizzano le nuove ipotetiche certezze. Si tratta di una linfa critica, che i curatori Papadakis, Cooke e Wigley, hanno l'acume di comprendere e che dà ancora maggior prestigio al volume e al movimento che vi viene presentato. I due saggi della Cooke sono estremamente pertinenti. In Russian precursors, in particolare, l'autrice mette a confronto rivoluzioni scientifiche costruttivismo e decostruttivismo anche con uno stimolante raffronto di immagini. Alcune delle sue osservazioni e le citazioni di Fritjof Capra (The Turning point, New York 1982 traduzione italiana y) hanno innestato la quinta domanda del capitolo conclusivo.

    2. Edifici in tre continenti. Una carrellata alla produzione recente di Eisenman come quella compiuta in questo paragrafo è possibile oggi solo attraverso lo studio di Ciorra 93, la prima vera monografia dedicata ad Eisenman. Grande merito a Ciorra e all'editoria italiana nell'aver redatto questo lavoro spianando la strada agli studi successivi.

    3. Rebstock Park. Sulle caratteristiche del progetto di Fox Hill all'interno della problematiche residenziale e sul ruolo dell'Iaus in onnessione all'Udc cfr. Sistemi distributivi e architettura residenziale , "Ricerca e Progetto", 12/90. Sulla posizione teorica di Kenneth Frampton (che firmò diversi progetti residenziali Iaus-Udc) vedi il suo famoso saggio L'evoluzione del concetto di abitazione 1870-1970, "Lotus" 10 1975. In questa fase Frampton è molto vicino a Eisenman e "certo prima o poi - come abbiamo scritto in altra occasione - vedremo un Kenneth & Peter che indaghi le convergenze e le successive evidenti diversità - come nel Giovanni e Giuseppe di Cattaneo -Terragni") Gli studi e progetti residenziali di questa fase - bruscamente interrotta per il cambio di interesse verso l'edilizia economica e popolare che in tutti gli Stati Uniti caratterizza la seconda metà degli anni Settanta. sono stati diffusi in AA.VV., Another Chance for Housing: Low Rise Alternatives, Museum of Modern Art, New York 1973; "Low Rise, High density", Progressive Architecture, Dicembre 1973 e su "L'Architecture d'Aujourd'hui", 8-9/76

    Il concetto di Tessuto (e tutte le implicazioni tecniche, costruttive, economiche metodologiche, sociologiche) sono affrontate in diversi altri lavori soprattutto in Using Goals In Design, Carnegie-Mellon, Pittsburgh 1988 difficilmente però consultabile in Italia. Per approfondimenti e riscontri bibliografici si può confrontare Un architetto americano. Louis Sauer, Officina Roma 1988. Specificamente sul Rebstock Park cfr. John Rajchman, Perplications: on the space and time of Rebstock park, catalogo della mostra dei progetti, .Ernst & Sohn, Berlino 1991 e l'ARCA y. Sulle teorie ondulatorie cfr. Charles Jencks, An architecture of waves and twists, "Architectural Design" 5/6 1995 e anche The architecture of the jumping universe, Academy Editions Londra 1995 di questo tema mostrando connessioni tra il lavoro urbanistico degli architetti Costruttivisti e quello di Tschumi aveva trattato C. Cooke (Russian precursors cit. in De89)

    7. Sei Domande e una risposta

    Alla fine mi rimane impressa una frase del nostro ".i.Terragni; non esiste, .i.Terragni; non c'e' .i.Terragni; l'ho inventato io" . Per un attimo mi sorge un dubbio: l'Eisenman di queste pagine c'e' veramente, o è quello che vorremo che fosse?. Questo Eisenman, l'ho forse inventato io?

     



     
     

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