Antonino Saggio  I Quaderni
 
 

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Estetiche di rottura

recensione di Lorenzo Imbesi

Pubblicata su "Domus" dicembre 2007


Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura
Antonino Saggio
Carocci, Roma 2007
(pp. 164, € 14,70)


Gli anni Novanta
del Secolo scorso hanno rappresentato per la ricerca architettonica una sorta di era d’oro per lo sperimentalismo che la animava sulle possibilità che le nuove tecnologie, in particolare quelle legate all’informazione, potevano aprire nel formalizzare strutture complesse, ambienti sensibili, architetture ibride, spazi interattivi. Un’ondata di creatività che ha visto un’intera generazione d’avanguardia con protagonisti nomi come Kolatan/Mc Donald, NOX, Oosterhuis, Stephen Perrella, Greg Lynn, Reiser e Umemoto, dECOi, solo per citarne alcuni

Ogni nuova tecnologia che si fa strada, nel momento in cui emerge, si presenta sempre come una natura artificiale esterna con la quale imparare ad interfacciarsi. Ma per le generazioni successive, quelle che crescono in un ambiente che ha già acquisito la stessa tecnologia, diventa un fenomeno culturale percepito come fatto naturale, che sviluppa conseguentemente nuovi modelli e strutture mentali.
La bomba informatica, per usare i toni apocalittici di Virilio, innesca un’accelerazione inedita nei processi di trasformazione dei paesaggi, non soltanto fisici, ma scientifici, mentali, economici: emerge una nuova ontologia postorganica fondata sulla contaminazione tra tecnologia e corpo, rendendo reali immaginari fantascientifici e ripensando radicalmente il rapporto tra corpo e spazio, oggetto e ambiente e sfumando i confini tra reale e virtuale. Ed è anche il momento della rivincita del capitale umano, con il suo plusvalore creativo immateriale incorporato nella società della conoscenza, sul capitale fisso e materiale dell’industria fordista. La conoscenza diventa forza produttiva, avviando una profonda mutazione dei valori e degli scenari sociali.


La rivoluzione informatica che ha inaugurato la società postindustriale dei flussi globali, l’economia dei servizi e del terziario, l’industria dell’informazione e della comunicazione, l’organizzazione del lavoro infrastrutturato a rete, il commercio dell’immateriale, ha anche inaugurato una vera e propria sfida estetica a rappresentarne, ma soprattutto a reificare, cioè a materializzare attraverso forme, i nuovi paradigmi culturali di cui è portatrice.
Questa generazione d’avanguardia nata con il computer, ha accettato la sfida progettuale della crisi aperta dalla Information Technology aprendo un versante di ricerca architettonica che automaticamente ne muta gli obiettivi e i confini disciplinari, i territori di intervento, gli strumenti e lo stesso processo di elaborazione ed infine i risultati prodotti. Al di là di una forma di determinismo tecnologico, questa crash culture architettonica si accorge di quanto i nuovi medium siano influenti nel creare le forme dell’organizzazione sociale, strutturando rapporti spaziali e temporali innovativi. Come già avvertiva McLuhan, le tecnologie informano di sé qualsiasi cosa trasmettano, influenzando di conseguenza l’immaginario contemporaneo. E loro rintracciano nello stesso strumento le ragioni per una nuova concezione dello spazio e della forma.


Antonino Saggio, che dirige già da quegli anni di entusiastico sperimentalismo una collana editoriale sulla Rivoluzione Informatica ed i suoi riflessi nel progetto, nel suo ultimo lavoro edito per i tipi di Carocci e dal titolo eloquente “Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura”, parte appunto dalla constatazione che ogni crisi che si verifica storicamente, crea una sua estetica di rottura che trasforma a sua volta la congiuntura legata al cambiamento improvviso, in valore ed opportunità per l’innovazione. Come per la rivoluzione industriale sono nati intorno alla catena di montaggio una serie di paradigmi che ne informano l’universo concettuale, come la serialità meccanica, la riproducibilità industriale, il funzionalismo oggettivo, l’igiene razionale; altrettanto, l’informazione finisce per essere il nuovo topos della contemporaneità, dove si sperimentano più i processi che i prodotti, dove le relazioni sono più importanti delle cose, la personalizzazione si impone rispetto alla standardizzazione industriale, l’interattività con il coinvolgimento fisico ed emotivo dell’utente si afferma rispetto ai modelli statici, la mixité si sostituisce al rigido monofunzionalismo, la simulazione e il diagramma al disegno pianificatorio. E come la modernità aveva saputo trovare in risposta ai suoi dettami etici una sua estetica nell’idea di trasparenza che ne incorporava l’oggettiva funzionalità, altrettanto l’età dell’elettronica rintraccia nelle nozioni di interattività e di processualità la sua formalizzazione estetica.
Antonino Saggio constata la mutazione paradigmatica avvenuta e, dopo le tante sperimentazioni progettuali, fa il punto sulla sfida lanciata dalle tecnologie informatiche, rintracciandone il portato culturale e disegnandone la mappa concettuale. Nel farlo utilizza in questo senso una serie di dualismi oppositivi che, per differenza, ne indicano il percorso di crisi: emerge un paesaggio urbano che ormai già vive di e nelle reti, combina attività e funzioni, intreccia reale e virtuale, elabora un tempo istantaneo, ricerca un nuovo modello di natura. Rimane la questione estetica, compito proprio del progetto di interpretarne le valenze più contemporanee.


In un percorso quasi ipertestuale in cui non mancano i rimandi interni al testo stesso, il progetto, mai messo minimamente in crisi dalla dialettica postmoderna, rimane centrale non solo come strumento per designare l’ambiente in cui viviamo, ma come vero e proprio apparato cognitivo di ricerca per comprenderne la complessità delle dimensioni. Il modello informatico cambia alla radice gli stessi ragionamenti mentali, gli schemi interpretativi, le capacità di elaborazione, le stesse procedure decisionali, insomma i modi di operare tout court che devono assumere la complessità dello scenario in cui si trovano ad operare, ormai come dato acquisito. Come sottolinea de Kerckhove, le tecnologie di elaborazione delle informazioni “incorniciano”, come un brainframe, il cervello in un quadro, una struttura, fornendo contemporaneamente un nuovo modello interpretativo ed elaborativo che in qualche modo assorbiamo. Le capacità ed i processi progettuali in particolare, anche per l’intreccio sempre più stretto con le tecnologie informatiche a supporto, ne subiscono l’impatto e l’influenza su tutti i livelli di gestione.


Lasciati dietro i grandi piani universalistici e con la consapevolezza che non è più possibile lanciare teoremi forti, si fa avanti un’idea fluida di progetto che in maniera generativa è in grado di simulare la complessità e la simultaneità dei fenomeni per un’ architettura informatizzabile, non solo nella manipolazione virtuale, piuttosto nei comportamenti. Quindi un’architettura variabile, mutevole, in grado di incorporare l’informazione come valore aggiunto, costruendo vere e proprie narrazioni.
Raccontare cioè l’ormai avvenuta mutazione con estetiche che non si fermino alla costruzione di forme più o meno bloboidali mai manipolate prima, ovvero al trasferimento di una realtà ricostruita in altri ambienti virtuali alla 2nd life; piuttosto “estetiche di rottura” che accettino tutte le crisi per trasformarle in valori condivisi nella contemporaneità. La sfida è già aperta per i nati con il computer.

Lorenzo Imbesi

Recensione di Antonello Marotta

Pubblicata su "industria delle Costruzioni" luglio 2007

 
Come si può definire il paradigma dell’informazione, quali rapporti intercorrono tra informazione e nuova visione del tempo, come le nuove tecnologie hanno modificato la stessa nozione di spazio.

Antonino Saggio da risposta a questi temi nel nuovo libro Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura, edito da Carocci editore.

L’autore dopo aver attraversato la modernità nei testi dedicati all’opera di Pagano e di Terragni e averci mostrato le trasformazioni che a partire dagli anni Settanta, nella produzione di Eisenman e di Gehry, hanno determinato nuovi percorsi compositivi e spaziali, ci offre con questo nuovo lavoro una mappa teorica e concettuale della ricerca generata dalla rivoluzione informatica. Il volume affronta per la prima volta una trattazione complessiva, sia sul piano teorico che operativo, con l’intento di evidenziare nuovi processi ideativi e strutturali dell’architettura digitale.
Il testo è pregevole in quanto sintetizza almeno 10 anni di ricerche condotte in parallelo con la collana da lui diretta La rivoluzione informatica in architettura, pubblicata per diversi anni all’interno della Universale di Architettura di Bruno Zevi, che è stata tradotta in inglese, cinese e coreano, ed oggi edita con grande cura dalla Edilstampa.
Vediamo in sintesi i passaggi significativi del testo.

Innanzitutto Saggio concepisce e struttura il libro come una postazione interattiva, in accordo con i temi di cui tratta, in cui come in un sistema museale è possibile muoversi attraverso una lettura sequenziale o di tipo ipertestuale. I temi sul tappeto riguardano la Città, il Paesaggio, l’Informazione, il Tempo, lo Spazio, il Modello. L’aspetto centrale è che queste categorie (che sono quelle classiche disciplinari) vengono rilette alla luce della rivoluzione informatica, delle informazioni che oggi viaggiano a distanza, costruendo network e programmi integrati che uniscono, all’interno di un modello complesso, aspetti strutturali, di costo e beneficio, di fisica tecnica. La tesi che alimenta il libro è che l’informazione (in formazione, ovvero come fa notare l’autore, in costante, dinamico, inesausto, muoversi e divenire), intesa come una massa fluida che deve prendere forma, sia la nuova materia prima dell’architettura contemporanea. Saggio offre al lettore un nuovo modo di intendere il progetto, la città, il paesaggio. Si comprende dalla lettura, direzionata agli studenti, ma che diventa uno strumento utilissimo per ricercatori e studiosi, che lo sfondo che struttura il pensiero vive di ambienti da sempre fertili: il mondo dell’arte, della letteratura, del cinema. Il testo costruisce nuovi meccanismi relazionali a favore di una lettura della rivoluzione informatica che è al contempo l’intreccio di aspetti estetici, tecnologici, artistici e sociali. L’autore invita il lettore a concentrarsi su un nuovo paesaggio mentale, metaforico, ricco, allusivo. Si percepisce che il libro si muova su due binari distinti che si intrecciano costantemente lungo l’esposizione: un piano effettuale, dato dalla analisi dei sistemi che governano il progetto sempre più interattivi, dinamici, pluristratificati ed un secondo livello che costituisce lo sfondo di uno scenario a venire, che diventa per l’autore il piano di ciò che l’interattività potrà offrire in futuro: un’architettura che grazie alla tecnologia possa diventare uno strumento sociale di rinnovamento.

Il libro come detto vive di queste linee che si intrecciano, come nei diagrammi di Paul Klee. Queste piattaforme concettuali e mentali si rinseguono lungo il testo, pensate come un meccanismo di rimandi. Da qualsiasi punto uno si trovi il testo gioca con il lettore, rinviandolo ad altri passaggi, a testimoniare che i temi affrontati siano fonte di un unico pattern relazionale.
Il tempo come si evince dalla lettura del libro e dalla stessa struttura narrattiva e concettuale (che viaggia per salti o in continuità) diventa il principio cardine che anima il libro, ma più profondamente ci aiuta a comprendere la stessa visione di spazio contemporaneo. La rivoluzione informatica, intesa come infinita processualità, scardina i principi del tempo stabile e a-priori.

L’autore ci invita ad entrare in una nuova visione spazio-temporale, in cui l’architettura entra nella sfera delle infinite possibilità di prendere forma, di cristallizzarsi in uno dei suoi innumerevoli potenziali. Ma questo passaggio, offerto dagli strumenti, entra in una sfera più complessa. Recuperando il famoso artificio elaborato nel 1884 dallo scrittore Edwin A. Abott nel romanzo Flatland, unitamente agli studi elaborati nell’Ottocento dal matematico George Riemann che ha introdotto l’idea dello spazio quadridimensionale e gli studi sulla topologia, oggi centrali per la comprensione del cyberspazio, Antonino Saggio intreccia il pensiero scientifico con quello letterario per introdurre il tema del salto, concettuale, processuale e compositivo che permette di spiegare la nuova visione del tempo e dello spazio dell’architettura informatica.

«Qual è la navigabilità prevalente di uno spazio a quattro dimensioni? In quella lineare la navigabilità è solo quella del binario, in quella a due è evidentemente piatta, in quella a tre è anche verticale, ma la navigabilità del mondo a quattro dimensioni è esattamente quella del salto! Se in un mondo a due dimensioni posso cambiare continuamente linea e in quello a tre posso cambiare continuamente piano, in quello a quattro posso cambiare continuamente volume, posso cambiare sistema di riferimento tridimensionale. La navigabilità di base di un mondo a quattro dimensioni è quella che permette di saltare da un mondo a tre dimensioni a un altro a tre, e questo salto non è solo spaziale, è spazio-temporale».

Ad Antonino Saggio, una nuova generazione critica, di cui faccio parte, è debitrice non solo dei temi affrontati nelle due collane che da anni cura con grande competenza, ovvero la già citata Rivoluzione informatica e la serie Gli architetti, che Bruno Zevi aveva promosso a partire dal 1978, ma anche di una nuova modalità operativa Il per approfondire, o Bibliografia ragionata che, a differenza dei classici apparati di note, che in maniera lineare rinviano al testo citato, permettono all’autore di allargare il campo, mostrando una serie di livelli che altrimenti non verrebbero evidenziati.
Sembra un passaggio secondario ma questa piattaforma consente di offrire al lettore attento o al ricercatore strumenti per allargare il campo e permettono all’autore di inserire una serie di strati che in un testo canonico verrebbero esclusi. In questo volume la bibliografia ragionata diventa un vero e proprio libro nel libro.

Con la Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura Antonino Saggio sgombera il campo da facili semplificazioni, quelle che definiscono le due retoriche che aggravano la critica odierna, ovvero la retorica della perdita e, per riflessione, la retorica del nuovo; la prima considera il tempo passato come eroico, su uno sfondo ideologico appesantito dal disagio per la perdita della condizione etica del progetto, la seconda considera ogni innovazione tecnologica come portatrice di grandi conquiste. L’autore invita a leggere questa trasformazione tecnologica attraverso la lente di osservazione del mondo dell’arte e di quello scientifico sullo sfondo di nuove protesi sempre più complesse. Il volume, in ultima analisi, offre una nuova prospettiva di rilettura del mondo sedimentato: quello antico e quello multimediale offerto dall’Information Technolgy, invitandoci a percepire nuovi legami sintattici.

Nel 1969 Fernand Braudel in Scritti sulla storia analizzava i tempi storici in sequenze di lungo, medio e breve periodo, ovvero i grandi cicli di pensiero durati secoli, quello platonico – aristotelico, sino all’avvenimento, la cronaca giornaliera. Utilizzava per far comprendere questi sistemi la metafora del mare, i grandi fondali, visualizzanti i cicli lunghi, sino alla spuma delle onde che rappresentava l’avvenimento quotidiano. Ciò che lega questi diversi tempi è la stessa sostanza del mare. Di conseguenza il tempo non può essere isolato o congelato in categorie dialettiche, in quanto facenti parte di un’unica sostanza. La sostanza, che per Edoardo Persico è desiderio di una speranza etica e sociale, diventa nel pensiero di Antonino Saggio il legame che unisce la contemporaneità agli strumenti del mito.
 
Antonello Marotta

 

 

 

 

Recensione di Antonino Di Raimo

pubblicata in "Metamorfosi" n. 66, 2007  

E’ da poco uscito il volume “Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura”, edito da Carocci, e scritto da Antonino Saggio, docente di Progettazione Architettonica nella Facoltà L. Quaroni, dell’Università La Sapienza. Questo libro, per certi versi molto atteso, cerca di dare conto, sul piano teorico, ma non senza tracciare delle possibili direzioni operative, della centralità nella cultura contemporanea, del nesso fra paradigma informatico e architettura. Tale rapporto tutt’altro che scontato, o dato per acquisito, è indagato attraverso un approccio si direbbe globalmente cognitivista,  ma profondamente teso ad interrogarsi circa la possibilità di definizione di un nuovo sentire, una nuova dimensione estetica, innescata appunto dalla Rivoluzione Informatica, dizione che costituisce anche il nome della collana diretta dall’autore del libro.Infatti, sebbene la parola rivoluzione evochi immediatamente l’immagine di un cambiamento politico epocale, un rovesciamento in accelerazione di fatti e di cose, la rivoluzione al centro di questo libro, che è per l’appunto quella Informatica in Architettura, sembra essere, a nostro avviso, di ben “altra sostanza”, che quella dei mutamenti, violenti e sofferti. Rivoluzione infatti, nella sua accezione fisica, anziché politica, è moto armonico di corpi celesti nello spazio, attorno ad altri corpi.

Dunque, la rivoluzione innescata dal paradigma informatico sembrerebbe avere questo carattere di movimento armonico, ciclico e non violento per definizione, la cui portata in architettura, chiedeva urgentemente una trattazione teorica pertinente. Se infatti, potrebbe apparire ormai scontata, la presenza dello strumento basato sull’elettronica nella pratica progettuale, meno scontata e assolutamente necessaria, è questa interrogazione dell’informatica tutta orientata -per dirla con Kuhn – alla scoperta delle “promesse del paradigma” nel fare architettura.   Ma osserviamo dunque questo libro, del quale cogliamo immediatamente la particolare struttura dal suo index, (per dirla con un linguaggio legato all’esperienza del web), che l’autore gli ha dato. Guardiamolo questo index, che scopriamo essere formulato per consentire al lettore la possibilità di una lettura “a salti”: si può cominciare da un certo capitolo, e quindi da un tema che sta particolarmente a cuore, oppure si può procedere secondo una lettura progressiva e lineare. Si tratta naturalmente del modello dell’ipertesto, termine quest’ultimo, rivelatore di quella modalità concettuale e operativa, fortemente sostenuta dall’autore, come si scopre proseguendo nella lettura, non solo nella struttura del libro, ma soprattutto nelle modalità di indagine conoscitiva sulle sostanze via via enumerate.  

Del resto uno sguardo ai temi indagati nella prima parte, ovvero “comunicazione”, “città” e “paesaggio”, rivela che questi siano concatenati logicamente, non tanto nei salti di scala che naturalmente vedrebbero in rapporto città e paesaggio, quanto nei salti consentiti dalle logiche tipiche del paradigma informatico, che ne modella la fisionomia in quanto scenari centrali dell’agire architettonico contemporaneo, connessi continuamente l’uno con l’altro.In tal senso, la presenza massiccia dei media nella società contemporanea, che pure sul paradigma informatico via via si ridefiniscono, richiede un confronto continuo, con la questione “comunicazione” in architettura, sicuramente come ci dice l’autore, più a livello cognitivo che narrativo; analogamente la “città” che ci si invita a guardare più attraverso le logiche del display che quello dell’orologio, diventa più digitale, un apparato soggetto a dei refresh continui, più che alle logiche del meccanismo; così infine “il paesaggio”, tema che Saggio impernia, oltre che sulle urgenti necessità ecologiche, sulle quali gran parte della ricerca è impegnata, sulla proprietà di costituire in primis rappresentazione, collettivamente condivisa, di un mondo in costante mutamento.    

Ma come quindi “il tempo”, “lo spazio”, e “il modello”, (citando i paragrafi relativi agli aspetti teorici), entrano in gioco nell’architettura e cambiano, in rapporto alle trasformazioni culturali innescate dall’informatica? A guardar bene, da sempre, queste sono le categorie della ricerca speculativa delle teorie architettoniche. Tuttavia, qui, non appena si converrà con la definizione proposta dall’autore:  “informazione, come applicazione di una convenzione a un dato”, acquisiscono come il senso di una “nuova sostanza”.E’ assolutamente convincente infatti, che al centro del progetto architettonico contemporaneo, gli architetti “creino il tempo e lo spazio”, e che il tempo appaia come “unico modo per descrivere uno spazio”, come anche lo spazio stesso, può essere considerato parafrasando un approccio cognitivo, un “contenitore di informazioni”, quindi vivente sulla base di applicazioni di sistemi convenzionali, che lo rendono definibile come assolutamente contestuale e legato alla fisiologia di chi lo vive.Del resto, la preoccupazione di delineare una possibile idea contemporanea di “modello”, non fa che precipitare le due nozioni precedenti, nel vivo dell’elaborazione informatica, che come si tende a sottolineare continuamente nel libro, non può, basata com’è sulle interconnessioni dinamiche di informazioni, non dar vita ad un modello simulativo, processuale, ma vedremo soprattutto interattivo.E fin qui, ci si troverebbe ancora nello schermo, nell’ambiente visivo generato dallo strumento, se non fosse per la presenza centrale degli altri due capitoli (Nuovi spazi dell’interattività, e Sintesi), che sottolinea in maniera forte, l’esigenza appunto di planare sul terreno dello spazio architettonico, di “reificare” il portato teorico della rivoluzione informatica. Infatti, “reificare”, verbo che appare molto caro a Saggio, costantemente preoccupato nella sua attività critica e didattica, di approdare all’architettura, non significa delineare e intravedere quegli esiti che l’autore sintetizza nella formula ”Architettura informatizzabile”, la quale coglie sicuramente l’estetica dell’indimenticabile Blur, l’edificio di qualche anno fa di Diller e Scofidio, realizzato per l’Expo svizzera del 2002? Quest’opera, fra le architetture citate nel libro, che come sostiene Saggio quasi fra le righe, c’è e non c’è, è accesa e spenta, on/off, cogliendone così quasi in due parole il senso; edificio costituito da una sorta di miriade di interruttori, non è forse il prototipo di quello spazio a portata di dita (e presto di sguardo), personalizzabile e amico dell’ambiente, reattivo e senziente circa la presenza dell’individuo? In questa luce apparirà chiara la metafora dello “spazio come contenitore di informazioni”, e investito sin dalla sua prima concezione dalle implicazioni del paradigma informatico.

Eppure, questo libro, che lo ricordiamo, è  appunto “Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura”, oltre a sottolineare la necessità di un ripensamento della disciplina, proprio come era stata ripensata all’epoca della rivoluzione industriale, è ancora molto altro: infatti l’insieme dei temi, indagati attraverso un’esperienza più che decennale di critica e di docenza, condotta da anni su questo campo così peculiare, è chiaramente orientato alla pratica progettuale.  Come non sentire in queste necessità e scoperte, quella Zeviana “critica operativa”, quell’atteggiamento si direbbe, rinunciatario alla rinuncia, di Zevi, sicuramente interprete altro, nel panorama italiano, che citando Baudrillard,- mancato da poco  ci conviene aggiungere - poneva al centro del fare architettonico, la “crisi”, quale elemento in grado di “suscitare un’estetica di rottura” non appena un atteggiamento moderno l’avesse saputa trasformare in valore? E naturalmente è proprio questa definizione contemporanea e a-temporale di modernità, che viene a costituire la premessa su cui regge l’urgenza di questa trattazione.Certo la crisi, come si dirà in molti, parecchi anni dopo, può essere nominata anche conflittualità, rischio, squilibrio, e così via, ma  senza quel “continua tu, tu, tu”, che l’autore continuando letteralmente Zevi quasi incide nel libro (non sfuggirà al lettore attento), sembra essere impossibile da trasformare in valore condiviso. In altre parole, non si suscita un’estetica di rottura senza lo sguardo molteplice delle “interconnessione dinamiche”, proprie del fare architettura ai tempi della rivoluzione informatica. Per Saggio dunque,  se “tutto è  pubblicato sul web” è urgente la necessità, quasi di portare il web, (quale mondo la cui navigabilità è quella del salto), considerato da un punto di vista cognitivo, direttamente nell’architettura: come a dire che possiamo raggiungere gli esiti di una Piazza Navona (risultato di una stratificazione collettiva nel tempo e nello spazio) attraverso l’intelligenza delle interconnessioni dinamiche su cui la rete sembra essere costituita.  

Ma il cuore della riflessione come l’autore ci ricorda, tendendo un filo fra il mattoncino tecnologico della Lego nelle prime pagine, e la dizione “spazio informatizzabile” più avanti, sta nella domanda che il libro nello stesso tempo formula progressivamente, e sulla quale cerca di introdurre coerentemente una risposta: esiste un’estetica dell’architettura al tempo della rivoluzione informatica? Se è vero che un edificio come il Bau Haus, costituiva sicuramente in termini estetici la risposta alla crisi innescata dalla Rivoluzione Industriale? Quella risposta, come si sottolinea che “rese possibile un’estetica e non solo un’etica” del Movimento Moderno?E soprattutto si può condividere la formulazione “Informazione, materia prima dell’Architettura”, tanto provocatoria, quanto intrigante e lungimirante, che sebbene costituisca quasi il filo di Arianna di tutto il libro, a testimonianza della continuità di una riflessione, sia anche il titolo di un articolo piuttosto assennato dello stesso autore di qualche tempo fa?Naturalmente se vogliamo guardare le informazioni come “applicazioni di convenzioni a dati”, e se nel mondo informatico “tutto è in formazione”, appare immediatamente chiara, non solo la “svolta fisiologica” che abbozzata dalla filosofia contemporanea è ormai approdata al mondo architettonico, ma soprattutto acquista ancora più forza la metafora dello “spazio quale contenitore di informazione”.E in fondo, chi è che percepisce lo spazio in termini di dati ai quali applicare convenzioni?Sicuramente insieme a noi, individui che usiamo e viviamo lo spazio, per i quali ad esempio la luce può essere tante cose, ma difficilmente è onda elettromagnetica, a meno di non essere un fisico immerso in una profonda riflessione,  è indiscutibile come l’autore sembra suggerirci, che “il tool”, il computer, li percepisca esattamente così. A sottolineare con questa considerazione, la necessità di uno sguardo degli architetti sintonizzato con quello molteplice, e di natura convenzionale, del tool. L’introduzione alla rivoluzione informatica in architettura, cerca appunto di orientare questo nuovo sguardo molteplice, sulla creazione del progetto architettonico, sulle sue potenzialità di reificare il nuovo paradigma, allorché sia concepito all’interno dell’informazione quale “materia prima”.Vorremmo infine, sottolineare anche la presenza di una citazione posta quasi alla fine del libro, nel capitolo “Sintesi”, nel tentativo di delineare delle possibili prospettive sulla ricerca e sugli obiettivi delle trasformazioni in corso, senza però non assumere significativamente anche un atteggiamento etico e politico, (nel senso dell’organizzazione della polis).

E’ significativo che il nostro autore, sicuramente figlio di una formazione culturale particolare (l’eredità della Tendenza che negli anni settanta costituiva la premessa teorica di molte attività di ricerca nelle Facoltà di Architettura Italiane, combinata in maniera imprevedibile con la vicinanza dell’autore a Zevi, e la formazione americana alla Carnegie Mellon dove l’informatica costituiva già materia di sperimentazione per molti architetti), avvii la conclusione del libro, in “Architettura Informatizzabile” citando le parole di Gilles Ivain, pubblicate nel 1958, nel primo numero dell’Internazionale Situazionista, compendiando così, il ruolo, la prestazione, il senso dell’Architettura Informatizzabile, che come ribadisce accoratamente Saggio, Ivain profeticamente già intravedeva:  la possibilità di un’architettura in grado di “articolare il tempo”, “ modellare la realtà”, nel senso di una “modulazione influenzale che si inscrive nella curva dei desideri umani”.Infatti la richiesta di un’architettura nella quale sia la dimensione collettiva, libera finalmente da pregiudizi, che quella individuale, siano riformulate a partire dalla questione assolutamente centrale dell’informazione, costituisce la misura esatta, per la quale lontani dall’ideologia dei decenni passati, l’architettura contemporanea nel suo reificarsi, sia in grado anche di soddisfare una certa sete di democrazia, spesso senza risposta.Allora la “sostanza di cose sperate” che chiede quasi come un manifesto, “un’architettura informatizzabile”, in grado di rispondere alle molteplicità differenti della vita contemporanea, ai suoi fenomeni caotici eppure fecondi, nonché alle sue contraddizioni, è quella dell’informazione dunque, la quale attraverso il proprio sguardo molteplice, più che mirare al consenso, diventa la premessa disponibile e necessaria, per suscitare risposte moderne alla soggettività dei desideri umani da un lato, e alle crisi collettive dall’altro, attraverso uno spazio necessariamente interattivo, formulato sul paradigma di questa rivoluzione, di questo movimento armonico, senza il quale il sogno di un’architettura davvero centrale nelle vicende umane, sembrerebbe impossibile.    

Antonino Di Raimo

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