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Nemesi. Miracolo a Roma
di Antonino Saggio

Pubblicazione Originaria:
AS, REALISMO FANTASTICO. PROFILO DELLO STUDIO NEMESI "Costruire",
n. 227, Aprile 2002 (p 74-77)
 


Complesso residenziale al Velodromo. Concorso 1 Premio Roma

Il gruppo di architetti romani Nemesi combina due approcci spesso rimasti tra loro estranei. L'uno è quello del "tessuto", l'altro del "paesaggio". Il  modo di progettare che si basa sul concetto di  tessuto si basa nel lavoro teorico di una serie di architetti formati già negli anni Sessanta come antagonisti al credo assoluto dei maestri del Ciam: gli olandesi Aldo Van Eyck e Herman Hertzberger, l’inglese svedese Ralph Erskine, l’italiano Giancarlo De Carlo, gli svizzeri Atelier 5, l’americano Louis Sauer.  Il progetto - sostenuto dalle tecniche della psicologia ambientale e della sociologia urbana nasce nel primo caso come "una" tra le possibili configurazioni di una griglia spaziale data: come se fosse un disegno che intreccia spazi pieni e vuoti sulle maglie di un tappeto.
Il secondo gruppo, quello del paesaggio, è più concettuale, astratto e filosoficamente impegnato e vede come indiscussi protagonisti l’americano Peter Eisenman, l’irachena Zaha Hadid, il compianto spagnolo Eric Miralles, i californiani Morphosis e si consolida solo nella seconda parte degli anni Ottanta del Novecento.
In questo secondo caso l'architettura introita le regole stesso del paesaggio naturale che viene letto e interpretato però con le lenti assolutamente anti-romantiche della scienza contemporanea.

Dobbiamo partire da questi due approcci qui per capire la particolarità del lavoro di Nemesi (lo studio  fondato  nel 1997  da Claudia Clemente e Michele Molè  che ne è diventato dall'aprile 2002 il titolare unico). Nemesi si  muove sin dal'inizio della propria ricerca in un territorio alla confluenza delle due aree. Quindi, per un verso è vicino al concetto di tessuto (e quindi anche ai dati pragmatici, realistici  e sociologici del progetto), ma contemporaneamente attraverso sviluppa una sensibilità “tutto paesaggio” che lo apre  a una dimensione concettuale e letteraria della ricerca architettonica.
 
 


Piazza a Sinnai (con Delogu Lixi, Maria Lai - artista)

Per cogliere in atto questa combinazione si guardi al progetto di risistemazione della piazza di Sinnai realizzato con Delogu Nixi Associati. Siamo in un paese della Sardegna denso di richiami ancora vivi alla cultura contadina che ha spinto Nemesi a re-interpretare quelle presenze agricole, quelle tessiture di campi arati e di lavoro della terra come una vera e propia trama per la nascita del progetto. Ma se l'idea della connessione dei frammenti urbani attraverso la tessitura (significativa tra l'altro la pavimentazione ideata da Maria Lai) è una bella re-interpretazione dell'idea di paesaggio, i singoli elementi del disegno hanno ragioni anche pratiche. Il taglio, nato dagli allineamenti degli edifici che immettono nella parte centrale dell'invaso raccoglie le acque piovane, mentre il sagrato, nella sua geometria triangolare, integra la scalinata d'accesso alla parte alta della piazza con una geometria triangolare che ne nega una amorfa simmetria per fare della chiesa il fuoco dinamico del progetto. Il progetto di sistemazione urbana è inteso in questo caso come un insieme unitario e frammentario a un tempo (e in questo doppio aspetto del fare contemporaneo rimangono dopo Deleuze pochi dubbi) ma qui vi è un ulteriore strato: affiora anche una storia vera che parla il linguaggio del luogo e della sua cultura simbolica e materiale.
È un progetto riuscito che dovrebbe servire da esempio alle innumerevoli scempiaggini che vediamo come risistemazioni urbane in paesi e città d'Italia.
 
 


Stage Store, Roma

L'atteggiamento di Nemesi a un tempo agganciato ai temi portanti del dibattito architettonico ma anche attento alle esigenze realistiche del tema è evidente in due realizzazioni romane. Guardandole pensavo proprio ad alcune ricerche degli architetti della tessitura e in particolare agli olandesi Van Eyck e Hertzberger. Bene, si chiedevano questi progettisti, ma perché un pilastro deve essere solo un pilastro? o una ringhiera solo una ringhiera o un pianerottolo solo un pianerottolo? È possibile al contrario accoppiare creativamente più funzioni e reinventare ogni elemento: per esempio un pilastro può diventare l'occasione per una panchina magari ingrossando la sua sezione per permettere alle persone di sedersi, una ringhiera può essere fioriera o elemento di illuminazione, un pianerottolo un luogo per fare chiacchiere tra vicini e una scala condominiale può diventare un vero evento sociale.
Credo che tutti abbiamo sotto gli occhi questi esempi e se non è fosse cosi basta guardare la Casa per madri sole di Van Eyck ad Amsterdam o l'intervento all Iba di Berlino di Hertzberger.
Torniamo ora ai nostri architetti che devono piegare gli elementi del programma per ricercare attraverso questi l'architettura.
Vediamo così nel negozio Stage di Roma la creazione di un grande arco che funzionalmente è l'elemento organizzatore della esposizione dei capi di abbigliamento ma che gioca contemporaneamente almeno altri tre ruoli; dinamizza l'interno, dà una nuova dimostrazione dello spazio rigato (o delle tessiture verticali se vogliamo tornare alla nostra terminologia) e suggerisce infine un grande telaio da tessitore.
Viene realizzato con una trama di cavi di acciaio che, dopo aver attraversato il locale definendo una sorta di velario, viene appunto "tessuta" tra tre tubolari di ferro ad andamento curvilineo; la superficie che così si determina costituisce il fondale ed insieme il supporto per l'esposizione dei capi di abbigliamento.
E viene da pensare che se le macchine a cui si ispiravano i primi architetti funzionalisti erano le turbine dei transatlantici o i motore delle formidabili automobili degli anni Venti ora la macchina di Nemesi è proprio un telaio che lancia le sue trame nello spazio e lo riconnette con le sue fibre. Il progetto ha ottenuto il premio Ridolfi, ma lo studio Nemesi ha assunto una ben delineata presenza nell'asfittico panorama della nuova architettura romana particolarmente con la realizzazione del ristorante Duke's nel quartiere Parioli.


Ristorante Duke's Roma

In questa opera vediamo in azione tutti gli elementi fin qui illustrati, combinati però in un progetto più complesso per scala, per le numerose caratteristiche del programma e per la stessa esiguità della cubatura disponibile.
Bisogna dire che la richiesta del committente di un ristorante californiano, risulta quanto mai fortunata per gli interessi degli architetti: la California è il luogo in cui si afferma il paesaggio povero di Frank Gehry fatto da pezzi non finiti e in cui Thomas Mayne o Michael Rotondi operano con continuità anche nell'insegnamento.
I Nemesi "smontano" l'edificio preesistente (in Italia non si può abbattere neanche una casupola) a eccezione dello scheletro strutturale e della "tettoia" di copertura in lamiera grecata e fanno in modo di usare la logica provvisoria della vecchia casupola come risorsa di progetto. All'interno del Duke's non vi è solo la presenza di una serie di effetti del folklore californiano ma anche la costruzione di una nuova spazialità che riconnette il fronte sulla strada e il retro sul giardino attraverso una serie di onde e isole. Spazialità evocativa della dimensione californiana e attenta attribuzione funzionale si accoppiano con efficacia nel ritmo delle travi che, a partire dai cavalletti che costituiscono i due fronti principali dell'edificio entrano all'interno dello spazio inserendosi sotto la copertura preesistente; oppure nella pavimentazione in doghe di legno come il camminamento dei pontili; o nella materialità del lungo muro che dalla strada conduce al giardino oppure nella curva del bancone.
Naturalmente chi conosce gli scanzonati e allegri frequentatori del bar dei Parioli sempre affollato a partire dalle prime luci della sera, immagina i nostri architetti parte di quel mondo.
Incontro invece Michele Molè e Claudia Clemente sempre nelle aule universitarie. Si dedicano all'insegnamento della architettura con dedizione e con un grado di ufficialità e di riconoscibilità, ma questo è un male endemico in Italia, inferiore all'efficacia delle loro opere.
Ma è proprio l'immagine frivola e allegra che il ristorante Duke's trasmette che non risponde alle loro figure. Molte volte li ho visti  con il volto segnato e la voce stanca delle ore di fatica che a loro come a molti dei  nuovi architetti italiani costa questo lavoro. E mi prende un sentimento,  misto di rabbia e di speranza, perché anche la nuova architettura italiana comincia a esistere, e a competere.
 


Progetto Fori Roma
 
 

Poco tempo nei bar alla moda dunque, moltissimo nello studio con gli amici e i colleghi (tra gli altri Francesco Isidori, Daniele Durante, Marco Sardella, Leonardo Consolazione, Federico Pitzalis) che formano l'arcipelago Nemesi.
Sul tavolo ci sono lavori che promettono grandi cose. In particolare la ristrutturazione di un attico al centro di Roma che si propone come un interno quasi teatrale, una serie di interventi misurati ma in grado di valorizzare i percorsi museali e urbani nella grande area dei Mercati traianei a Roma, una casa in Toscana e molti progetti di Concorso tra cui la notevole trasformazione museale del Castello di Alicante attraverso nuovi percorsi che attraversandolo lo riconnettono alla città e soprattutto il nuovo complesso residenziale al Velodromo di Roma. Ma l'architettura di Nemesi ha assunto un ruolo spiccato nella nuova architettura italiana con la grande chiesa del Quartaccio di recente inaugurata. Un vero e proprio miracolo alla periferia di Roma.
 



S. Maria della Presentazione  Roma.


 


È abbastanza straordinaria la storia di come Nemesi, risultato secondo a un molto frequentato e pubblicizzato concorso per cinquanta chiese a Roma, riceva in cambio il micro incarico per degli spazi sportivi annessi a un complesso parrocchiale in un quartiere di edilizia economica e popolare. Ma con intelligenza, dedizione e quella capacità che abbiamo già descritta di trasformare il dato di progetto in occasione immaginativa gli architetti  riescano a far lievitare il bilancio. Ne nasce un complesso del tutto particolare. Una specie di cuore pulsante di attività, un edificio insieme laico e religioso, un luogo di culto e uno spazio di servizio al quartiere.
Il programma finale definisce un complesso capace di ospitare funzioni connesse alla liturgia - una cappella feriale, alcune aule per la catechesi, la casa del parroco -  spazi legati allo svolgimento di attività sportive (il Coni partecipa alla gestione) e attività anche propriamente civiche (rappresentazioni teatrali, assemblee cittadini). Nemesi crea conseguentemente un edificio che, vive del rapporto e del contrasto tra più organismi architettonici: la parte civica appare come una "presenza", un volume compatto che diventa un "oggetto emerso", nel quartiere; la parte "sacra" invece si configura come un vuoto, un'assenza contenuta ma anche quasi nascosta all'interno. Non è solo la complessità del programma e la notevole capacità di risolvere flussi e situazioni all'interno di una ricerca architettonica di qualità che qui emerge, ma anche la notevole abilità costruttiva per un gruppo di architetti non ancora quarantenni per la prima volta a confronto con un opera così impegnativa.

Per esempio la struttura verticale della palestra è realizzata in un ottimo cemento armato a faccia vista (realizzato con casseforme Peri e con pannello Vario) ma con una modalità studiata e applicata appositamente a per questo progetto. La struttura verticale della grande copertura è invece realizzata con pilastri in acciaio alti fino a 25 mt il cui diametro di 35 cm è gettato. La struttura della copertura è composta da una piastra reticolare tridimensionale in acciaio a geometria variabile da un'altezza massima di 2,20 metri a una minima di solo 3 mm in punta. La palette di materiali si articola ulteriormente con: pannelli in lamiera pressopiegata in alluminio mentre l'involucro esterno è composto da una struttura portante appesa in acciaio zincato a caldo e pannelli di rete metallica. La sfera è stata gettata in opera con apposite casseforme prefabbricato, mentre tutte le vetrate sono realizzate con profili standard Metra, occasionalmente variati per le particolari condizioni del progetto.Antonino.Saggio@Uniroma1.It



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