Relazione:  Sei Punti e Mezzo su Zevi also in English

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Convegno Internazionale di Studi "Bruno Zevi per l'architettura".
Aula Magna dell'Ateneo, Città Universitaria, Piazzale Aldo Moro, Roma. 14  e 15 Marzo 2002.

International Conference on Bruno Zevi
Prima sessione Giovedi 14 ore 11:00 "La figura di Zevi e il rinnovamento dell'architettura". Coordina Barbera interventi di Terranova, Teodori, Muntoni, Saggio, Wines, Bonito Oliva. Segue "Il pensiero sulla città" coordina Bordini, interventi di Pazzaglini, Marino, Purini, Gabrielli. Terza sessione Venerdì 15, "Storia e critica" coordina Franchetti Pardo, interventi di Fagiolo, Bruschi, Guidoni, Muratore, Spagnesi, Secchi, Rykwert. Ultima sessione ore 15 "L'insegnamento" coordina Terranova interventi di De Mauro, Tentori, Severati, Loris Rossi, Bordini, Barbera, Paris, Celant


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Vai A una Sintesi scritta di tutti gli Interventi a cura (Leontina Vannini CAad 2002)

Ascolta l'intervento tenuto il 14 Marzo 2002 a La Sapienza di Roma

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Sei Punti e Mezzo su Bruno Zevi
Antonino Saggio 14 Marzo 2002 "La Sapienza"

Volevo fare sei o sette interventi in quest'occasione e poi scopro che non sono sei o sette, ma che si raddoppiano e si moltiplicano uno su l'altro come se fossero layer dei nostri pensieri. Cercavo anche di enumerarli e di organizzarli questi argomenti e ritornavo sul numero su cui Zevi lavorava spesso: sette. Ma, poi, mi sono ricordato che in una circostanza mi disse: "No, non sono sei questi punti, non sono quattro, sono quattro e mezzo. E' il 'mezzo' la cosa veramente importante."

E allora, cercando di trasmettere alcuni di questi punti su Zevi, volevo dirvi che quello veramente importante è quel mezzo che vorrei comunicare, ma solo alla fine. Quel mezzo è il momento in cui il pensiero si forma in maniera dinamica, in maniera non finita, in maniera aperta, insomma attraverso quelli che sono i grandi valori di Zevi.
 

I principi

Il centro del modo di pensare di Zevi, almeno come io l'ho capito, è nella frase che una grande istituzione internazionale ha usato quando, conferendogli una onorificenza, ha detto:

"Appassionato e tenace assertore dell'integrazione tra valori democratici e concezioni architettoniche, egli ha rilevato come gli edifici riflettano l'anima di una società" (American Insitute of Architects, in occasione dell'elezione a Fellow, 1984)

Le iniziative culturali, l'opera di studioso ma anche di divulgatore, l'aratura di un terreno in cui far emergere nuove angolature critiche sono radicate in una visione che, come per i suoi due maestri Frank Lyod Wright e Carlo Rosselli, è mossa da pochi fondamentali principi. E' possibile vedere tutto il suo lavoro come se fosse spinto da queste leve che, formatesi in anni cruciali della sua vita, ne hanno sempre orientato l'esistere.

Quali sono, allora, questi principi? Il primo, assolutamente fondamentale, e che riprende e riassume tutti gli altri, è la rivendicazione della libertà dell'individuo. E insieme alla libertà, quasi come necessario contrappeso, forte è il senso della responsabilità come fatto personale, come fatto appartenente alla sfera del singolo.

Il secondo principio, senza il quale non si capirebbe la sua presenza nelle vicende del nostro paese, è l'opera di sprovincializzazione della cultura e della società italiana.

Il terzo principio è la rivendicazione della differenza tra la sua generazione di architetti ma anche di uomini politici e di intellettuali e la generazione precedente fortemente invischiata nelle pastoie accademiche e politiche del periodo del fascismo.

Un quarto principio è la concezione che chiamerei "eticamente funzionalista" che vede l'architettura originata da un bisogno spaziale radicato nella realtà del vivere, nella realtà delle nostre azioni e dei nostri bisogni. E non a caso delle sette invarianti la prima è quella su cui mai transigerà: l'elenco, l'elenco delle funzioni.

Un quinto principio molto importante è quello dell'identità tra critica e storia che Zevi ha trasmesso a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di stargli vicino. E non solo a coloro che gli sono stati vicino fisicamente ma anche a quanti hanno apprezzato le sue opere e lo continuano a leggere e a studiare. Per Zevi critica e storia non sono mai divisibili. La critica, cioè l'azione quotidiana è sempre storica perché è sempre lanciata in un progetto di futuro e la storia non può non essere critica. Il libro curato da Sandra Muntoni e Tonino Terranova e che accompagna questo convegno ha un titolo efficace Una vita di scelte. La scelta per Zevi è la chiave per comprendere il proprio sistema di valori, è il momento per proiettarsi nel futuro e nel passato contemporaneamente.

E infine, il sesto punto è la sua capacità di comunicare l'architettura sin dentro le fibre stesse della materia. E' una comunicazione del pensiero attraverso il coraggio delle idee, la serietà della informazione, la forza cristallina della parola, lo slancio dinamico del corpo e del gesto e una curiosità e un'intelligenza verso i mezzi della nuova società dell'informazione (dalle riviste ai giornali, dalla radio alla televisione, dalle dispense settimanali ai tascabili).

Questi sei punti rappresentano un indice delle cose che volevo dire e che sarebbe bello avere il tempo e forse anche la pazienza per approfondire. Lo potremo fare solo molto molto parzialmente. Per andare avanti in parte leggerò e in parte andrò a braccio per cercare di trasmettervi in maniera viva alcuni tratti di questa grande personalità.

Il concetto di libertà

Partiamo dal primo principio: la centralità del concetto di libertà. Di Bruno Zevi l'opinione pubblica italiana conosce alcune azioni clamorose: il pensionamento dall'Università nel 1979 con quindici anni di anticipo sul limite d'età, la vittoria del suo simbolo, stridente e acuminato, sul Gandhi di Pannella, le dimissioni dalla carica di presidente onorario del Partito radicale pur di non sottoscrivere una scelta per lui blasfema. Aveva contribuito "dopo 50 anni e 47 giorni" a far rinascere il Partito d'azione (la lettera è del 12.12.97) e il fascicolo de "L'Architettura" che abbiamo avuto pubblica quest' atto di rifondazione. Vale la pena leggerlo proprio perché ci troviamo di fronte a una scrittura coinvolgente e che si muove contemporaneamente a vari livelli: personale, politico culturale, scientifico. Da allora mandava sempre la sua corrispondenza con il marchio rosso Partito d'azione a dimostrazione di quanto importante fosse questa rinascita.

In grande sintesi, Zevi ha fatto per l'architettura quello che Elio Vittorini o Cesare Pavese hanno fatto per la letteratura. Ha portato cioè, in un paese sconfitto e da ricostruire, il senso della libertà che aveva imparato ad amare durante il suo forzato soggiorno negli Stati Uniti. Ma non era l'architettura efficientista dei grattacieli o della produzione standardizzata dei grandi studi-corporation statunitensi che Zevi propugnava, ma l'opera di un grande e geniale isolato, di un coraggioso pioniere che spingeva lo sguardo sugli sconfinati orizzonti della frontiera. Frank Llyod Wright era il maestro di cui secondo Zevi anche l'Italia aveva bisogno.

In sessanta anni di accanito lavoro, Zevi ha costantemente divulgato l'ideale di libertà che aveva inalato in quella America trascendentalista, democratica, roosveltiana: scrivendo moltisssimo, dirigendo due riviste, impegnandosi settimanalmente su "L'Espresso", fondando e rifondando una collana di libri, inventando Associazioni e Istituti di cultura, influenzando disposizioni legislative per l'ambiente, l'urbanistica, l'edilizia.

Zevi, quando doveva fare un autoritratto, anche se solo di poche righe, scriveva sempre: "seguace di Carlo Rosselli e membro del Partito d'azione".

Si era formato in quel Lungo viaggio dentro al fascismo ricordato da Ruggero Zangrandi ed era amico e compagno di liceo anche di Aldo Natoli, Paolo Bufalini, Mario Alicata. Eppure l'anima errante, ribelle e libertaria della sua cultura ebraica, lo tenne sempre lontano dall'adesione al marxismo. Il valore primo e indissolubile per Zevi è sempre stata, appunto, la libertà: contro qualunque imposizione, contro qualunque regola, contro qualunque dogma pur se progressivo.

Studiò a Harvard con Walter Gropius che, tra gli architetti moderni, fu il principale assertore del lavoro di équipe, e del rifluire di ogni individualità in un obiettivo comune. Secondo Gropius per rinnovare il quadro sociale e fare emergere una direzione collettiva d'effettivo cambiamento si dovevano accettare compromessi con la libertà individuale. Era, se vogliamo mutare il quadro da quello disciplinare a quello politico, la stessa posizione di molti intellettuali italiani. Il pensiero marxista era una così grande liberazione per l'Umanità che la mancanza di libertà dei paesi del socialismo reale rappresentava un necessario compromesso.

Insomma se per Giulio Carlo Argan, storico dell'arte amico di Zevi ma vicino al marxismo, l'architetto di riferimento era proprio Walter Gropius per Zevi, pur avendolo avuto come maestro, Gropius era da rifiutare. Il valore per Zevi risiedeva sempr e solo nell'individuo anzi, come scriveva Frank Llyod Wright, "Nella sovranità dell'individuo".

Questa posizione che in America aveva una lunga storia (dai pellegrini del Mayflower ai valori cardine del Trascendentalismo ottocentesco di Thoureau alla Beat generation di Ginzberg o Dylan), nell'italiano Zevi si coniugava politicamente nell'azionismo di Rosselli e poi di Parri, e filosoficamente nella lezione di Aldo Capitini.

Anche per Zevi, la liberazione dai limiti e dalle chiusure che si oppongono all'individuo doveva essere perseguita come conquista personale in una ricerca perennemente rinnovata. Questo percorso "non finito" era d'altronde anche un valore dell'arte e dell'architettura. Quello che cercava negli aggregati spontanei e popolari o nei paesaggi secondari della pop art o in un'architettura che non era mai capolavoro in quanto perfezione raggiunta e imbalsamata, ma sempre manifestazione di una vita rinnovabile.

Aprire ancora più a fondo la questione della libertà in una disciplina d'impatto generale come l'architettura, associare il concetto di libertà a una tensione individuale sino all'eresia è argomento che vorrei discutere con tutti.
 
 

Cenni Biografici

A questo punto non so quanti, soprattutto tra gli studenti, mi abbiano seguito. Non credo che quest'occasione serva solo a parlare a quanti queste esperienze conoscono e magari hanno vissuto in prima persona e ne possono cogliere i diversi significati. Vorrei ricordare allora, soprattutto agli studenti, alcune tappe della sua vita a partire da una frase che una volta scrisse privatamente "Dobbiamo lottare per le idee, non per le persone che hanno importanza relativa".

Dopo la direzione in America dei Quaderni Italiani, e la partecipazione da Londra all'organizzazione della resistenza nel 44 tornò in Italia, era stato costretto a lasciarla nel 1939 per le leggi razziali, e subito affiancò all'attività politica quella culturale.

Nei primi anni della Ricostruzione il suo contributo è travolgente. Fonda l'Apao (Associazione per l'architettura organica) cenacolo di lotte e dibattiti, di speranze politiche e architettoniche che si sono travasate nella ricostruzione italiana. Capeggia l'azione dei giovani architetti romani per fermare la costruzione "archi e colonne" della testata della Stazione Termini e riesce a far bandire un concorso in cui si afferma una soluzione tra le più belle e vibranti della nostra architettura del dopoguerra. Contemporaneamente con Mario Ridolfi e Pier Luigi Nervi partecipa alla stesura del Manuale dell'Architetto, indispensabile strumento di aggiornamento professionale per i progettisti italiani. Co-dirige "Metron", che vedrà importanti scritti dei più anziani Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà, nel 1955 fonda "L'Architettura" e tiene una rubrica su "L'Espresso" da cui affianca settimanalmente le battaglie architettoniche e urbanistiche che conduce anche attraverso l'InArch (Istituto nazionale di architettura) e l'Inu (Istituto nazionale di urbanistica) di Adriano Olivetti Via via negli anni la sua azione civile punteggia l'azione critica e didattica.

Contro la legge truffa nel 1953, a fianco della contestazione studentesca nel '68 ma anche attento, sino al rischio personale, nel non svendere la cultura. È tra i primi a sentire il bisogno di usare la libertà dell'etere come strumento di comunicazione delle idee e nel 1976 fonda Teleroma 56. Si incontra e poi si scontra con il Partito socialista all'inizio degli anni Ottanta, diventa presidente e deputato radicale, ma quando deve scegliere, posto in minoranza sulla adesione al raggruppamento per il Parlamento europeo, dice l'ennesimo "No".

Zevi è stato insomma anche un uomo "contro". Conosceva se stesso solo contro la barbarie, contro la guerra, contro la dittatura, contro l'olocausto, contro l'architettura come espressione di sistemi, d'ideologie, di apparati.
 
 

Contributi disciplinari

Zevi ha creato anche dei pilastri per la nostra cultura professionale e per il modo in cui noi architetti comprendiamo e facciamo questo lavoro. Secondo me sono cinque le fondamentali acquisizioni che si devono al suo lavoro e ve le voglio seppure brevemente enumerare.

A ventisette anni ha rilevato in un paese chiuso in se stesso e sconfitto, la lezione di Wright. Verso un'architettura organica (1945) scritto sotto le bombe su Londra da un neo laureato a Harvard, profetizzava una rivoluzione nella concezione del rapporto architettura-natura-uomo che solo Edoardo Persico aveva intuito. Attorno a questa scoperta, la sua capacità di lavoro e d'iniziativa ha costruito innumerevoli iniziative che si sono travasate nella ricostruzione italiana. Basterebbe questo, basterebbe aver portato in Italia questo svecchiamento per fare di Zevi una personalità centrale. Ma Zevi ne altre quattro di carte disciplinari da giocare.

La seconda acquisizione è contenuta in Saper veder l'architettura (1948) tradotto in venti lingue. L'architettura è ricondotta al suo centro: la creazione dello spazio, la capacità di plasmare il vuoto. L'idea era già presente negli scritti di Alois Riegl dell'inizio del secolo, ma è Zevi che ha fatto dello spazio la categoria interpretativa fondamentale della critica architettonica. E come vi dicevo prima questo non è un fatto estetico, ma appunto "eticamente funzionalista".

A trentadue anni dà alle stampe un grosso tomo; è la prima Storia dell'architettura moderna (1950, ampliata nel 1975 e poi nel 1996). In questo libro Zevi si confronta a distanza con un'altra Storia, anche se non si chiamava così, quella di Giedion. In quel caso si trattava di una costruzione che affiancava la posizione dei Ciam e il lavoro di Gropius e Le Corbusier, nel suo la proposta è un'altra. Zevi propone non soltanto quel nesso uomo-natura-architettura che aveva trovato in Wright ma valorizza anche delle storie parallele, delle storie eretiche, dei personaggi nascosti dalla logica Ciam come Olbrich o Gaudì, Mendelsohn o Scharoun che diventano centrali nel suo discorso.

Negli anni Sessanta si afferma la quarta conquista. Sulla scia degli studi su Biagio Rossetti, Michelangelo, Borromini, Zevi compie una lettura del passato attraverso le stesse categorie spaziali che ha scoperto nel contemporaneo. È' una chiave che, soprattutto nella didattica universitaria, dipana "una moderna storia dell'architettura, dalla preistoria a oggi". La formula è quella della critica operativa, ma con più precisione si tratta di critica storica: solo attraverso la conoscenza storica "si può dimostrare che Michelangelo e Borromini hanno da offrire più di Gropius o Aalto perché, nel loro contesto linguistico, furono più coraggiosi e inventivi."

Nel 1973, l'ultima tappa di questa costruzione intellettuale. Il linguaggio moderno dell'architettura condensa tutto ciò in cui crede. Un anticodice stabilisce una serie di negazioni (no al monumentalismo, no alla simmetria) e i principi, non le regole, delle sette invarianti. E ve li voglio ricordare, perché lui ci teneva: Inventario di contenuti e funzioni, Asimmetria e dissonanze, Tridimensionalità anti-prospettica, Decomposizione quadri-dimensionale, Strutture in aggetto e a membrana, Spazio temporalizzato, Reintegrazione di edificio città e territorio. Un codice moderno che comincia dal paleolitico.

Architettura organica, Spazio, Oltre Giedion, Critica storica, Invarianti sono cinque conquiste che basterebbero a riempire altrettante vite di studio e dimenticano molte altre attività come per esempio la rivista L'architettura o la creazione dell'Istituto nazionale di Architettura e del Comitato internazionale dei critici di architettura.

Ma con Il linguaggio moderno dell'architettura la costruzione è compiuta. Si può diffonderla, battersi volta per volta, occasione per occasione, ma l'unica meta autentica che tale studioso può indicarsi è l'azzeramento, la rifondazione.

Ed ecco il suo Controstoria e Storia dell'Architettura, pubblicato prima in fascicoli a mille lire e poi nel 1998 in tre volumi riccamente illustrati in cofanetto: un lavoro durato oltre "Trent'anni per produrre una Controstoria dell'architettura in Italia, un 'De Sanctis dell'urbatettura' (urbanistica + architettura)". Critica e architettura sono positive solo se negano: combattono consuetudini, norme e regole per affermare il valore originale della ricerca artistica. Il progetto di architettura, di per sé prosa compromissoria tra funzione, costruzione e bellezza, si deve spingere oltre. La funzione diventare tensione verso spazi umani e organici, la costruzione segnare l'audacia della conquista dinamica dello spazio, la bellezza essere annullata nel ricominciamento del Grado zero. Un'idea canonizzabile e imbalsamata di "bellezza", anzi, non esiste: è estranea a qualsiasi modernità. Il volume si chiude con questa frase:

"L'ultimo valore consegnato al terzo millennio attiene al rapporto tra architettura moderna e democrazia liberal-socialista. Su questo terreno vibra la testimonianza di Terragni, Persico e Pagano, per i quali la modernità ? quella che fa della crisi un valore, una morale contraddittoria, dice Baudrillard, e suscita un'estetica di rottura ? era sinonimo di vita etica e civile. L'architettura è il termometro e la cartina di tornasole delle giustizia e della libertà radicate in un consorzio sociale. Decostruisce le istituzioni omogenee del potere, della censura, dello sfascio premeditato, e progetta scenari organici. Fuori di una modernità impegnata, sofferta e disturbata non c'è poesia architettonica".

La modernità non è un valore temporalizzabile, è uno stato, una tensione, una coscienza, che "fa della crisi un valore". È questa idea di modernità credo una delle chiavi fondamentali del suo pensiero: la trasmise con grande forza in una delle sue ultime conferenze quando, indicando ciascuno dei presenti disse: "Io sono felice perché so che, in qualsiasi momento, sentendomi mancare, posso rivolgermi a voi dicendo continua tu, tu, tu, tu."

E potrei parlare a lungo sul "dopo" Zevi e in particolare sul lavoro dentro l'Universale di Architettura da lui fondata. Ma questo è un convegno su Zevi, non su di noi e sulle nostre idee e su come noi stessi lavoriamo e pensiamo.

Ma veniamo ora al Mezzo punto finale perché devo chiudere. Zevi disse che un Convegno o è politico o non è, non serve.

Ora in questo mezzo punto vorrei rileggervi alcuni scritti da un suo libro importante. Molte volte Zevi per comunicare sciabola giudizi e posizioni, sa che deve comunicare in maniera rapida e forte, invece in questo libro ci sono saggi strutturati quasi filologicamente, scientificamente, ci sono saggi che partono dal Continuum e che arrivano a Brunelleschi, a Borromini a Mendelsohn. Ebbene in questo libro Bruno Zevi, Pretesti di Critica architettonica, stampato da Einaudi, nell'83, ebbene in questo libro sentite cosa scrive Zevi nel capitolo "La crisi dell'insegnamento architettonico. Scrive:

"Esaminiamo la gattopardesca miniriforma sancita da un decreto del 1982. Postula che il corso di laurea in architettura si articola in ben nove 'aree disciplinari': 1) progettuale architettonica, 2) della progettazione territoriale e urbanistica, 3) storico-critica e del restauro, 4) tecnologica, 5) impiantistica, 6) fisico-matematica, 7) della scienza e tecnica delle costruzioni, 8) socio-economica, 9)della rappresentazione. Inoltre, il corso di laurea prevede quattro indirizzi a) progettazione architettonica, b) tutela e recupero del patrimonio storico-architettonico, c) tecnologico, d) urbanistico; ma altri indirizzi potranno essere preposti dalle singole facoltà, probabilmente quelli del design e degli studi storico-filologici.

E' invero difficile - prosegue Zevi - immaginare un più crudele e perverso smembramento di una disciplina"
 

Cosa dice dopo? Vediamo un altro passo: "Del resto gli stessi 'dipartimenti' universitari si rivelano micidiali per l'architettura. Separando la ricerca urbanistica, tecnologica, storico-critica e via dicendo da quella architettonica, aspirano ad un'autosufficienza culturale e pertanto coadiuvano all'assassinio dell'architettura. La legge, anziché ribadire il principio dell'omogeneità disciplinare, avrebbe dovuto stabilire l'inaccettabilità di dipartimenti non interdisciplinari." E finisco. Preceduto da un brano in cui enumera i più strani e artificiosi sdoppiamenti di materie (la pretestuosa differenza tra 'Storia dell'urbanistica' e 'Storia della città e del territorio' e 'Storia del paesaggio urbano e rurale' oppure 'Cultura tecnologica della progettazione', e 'Tecnologia dell'architettura') Zevi scrive: "Nemmeno in stato di ebbrezza si possono escogitare tante materie. L'università italica, scevra di ogni pudore culturale, sembra omai diretta a proliferare sempre più cattedre e discipline. Maniacale docentificio, di cui l'esaminificio e il laureificio costituiscono i sostegni" A queste parole interviene il pubblico con un applauso e la relazione si interrompe. L'intervento video audio integrale può essere seguito via Internet a questo indirizzo
http://w3.uniroma1.it/saggio/Filmati/ZeviSapienza/SuZevi.Html
 

Antonino Saggio



 
 

Six and a Half Points about Bruno Zevi
Antonino Saggio
 

I wanted to make six or seven main points on this occasion, but found that the six or seven kept splitting and multiplying one on top of the other like so many layers of thought.  As I tried to list and organize these points, I kept coming up with the number seven, a number Zevi often worked with. Then I remembered something he once said to me, "No, there aren't six or four points here, but four and a half, and the 'half' is the really important one."

Well, in trying to communicate some of these ideas about Zevi, I must tell you that the really important one is the half, that I'll like to communicate only at the end.  That half is the moment in which a thought  takes shape in a dynamic, unfinished, open-ended manner, through the great values held by Zevi.

Zevi's Principles
The essence of Zevi's thought, at least as I understand it, is summed up in a phrase used by the American Institute of Architects on making him a Fellow in 1984: "A passionate and steadfast advocate of  integrating  democratic values and architectural concepts, he has revealed in a society's  buildings a reflection the soul of its soul."
His cultural initiatives, his scholarly and popularizing work, and his ground breaking efforts  to bring forth new critical viewpoints are all rooted in a vision that rests on a handful of basic principles, similar to those of his two masters Frank Lloyd Wright and Carlo Rosselli. All of his work can be seen as guided by these tools, which were forged in the crucial years of his life and always guided his steps.
Well then, what are these principles? The first, absolutely fundamental, that encompasses and underlines all the others, is his championing of individual freedom. Alongside this freedom, almost as a necessary counterweight, is a strong sense of responsibility, seen as a personal duty, as something pertaining to the individual sphere.
The second principle, without which it would be impossible to understand his role in the history of our country, is his work to deprovincialize Italian culture and society.

The third is his emphasis on the difference between his generation  of architects, as well as politicians and intellectuals, and the previous generation, which was ensnared in the academic and political fetters of the Fascism.
The fourth principle is what I would call his "ethically functionalist" view of architecture as originating from a spatial need rooted in the reality of life, in the reality of our needs and actions. It is no coincidence that the first of the seven invariants, the one on which he would brook no compromise, is the list, the list of functions.
The highly important fifth principle regards the identification of architectural criticism with architectural history. This is something Zevi transmitted to all those who had the good fortune to be in contact with him, not only those physically close to him but also  those who  appreciated his works and go on reading and learning from them. Zevi considered criticism and history as inseparable. The everyday action of criticism is always historical because it is always projected into a future project, and history is necessarily critical.  The book edited by Sandra Muntoni and Tonino Terranova that accompanies this Conference is aptly entitled Una vita di scelte, "A Life of Choices". Zevi viewed choice as the key to understanding one's system of values, the moment to project oneself simultaneously into the future and the past.
Tthe sixth and last principle concerns Zevi's capacity to communicate architecture by penetrating its very fibers. It is a communication of thought that uses a courageous expression of ideas, reliable information, the crystalline power of the word, the dynamic impetus of body and gesture, and an intelligent and curious interest in the various vehicles of the new information society (from magazines to newspapers, from radio to television, from  publications in weekly installments to paperbacks).
These six principles summarize the things that I wanted to talk about and that I would like to have the time and perhaps also the patience to investigate in depth. We will be able to do so only to a very limited degree. I shall proceed partly by reading my text and partly by talking off the cuff so as to convey as vividly as possible some of the features of this great personality.

The concept of freedom
Let's start with the first principle: the centrality of the concept of freedom. Italian public opinion knows Bruno Zevi  through a number of sensational events: his being pensioned off by the University in 1979, a good 15 years before reaching retirement age; the victory of his sharp and striking symbol for the Radical Party over the image of Gandhi put forward by Pannella; and his resignation from the post of honorary president of the same party rather than subscribe to a decision he regarded as blasphemous. He worked for the rebirth of the Partito d'Azione after an interval of "50 years and 47 days" (as specified in the letter of 12.12.97) and the deed of its refoundation was published in L'architettura. It is well worth rereading this gripping article that operates simultaneously on various levels: personal, political, cultural and scientific. All of his subsequent correspondence was sent with the red emblem of the Partito d'Azione to underscore the importance of this rebirth.
In a nutshell, Zevi did for architecture what Elio Vittorini or Cesare Pavese did for literature. He brought to a defeated country, awaiting reconstruction, the sense of the freedom he had learned to love during his forced exile in the United States. It was not, however, the efficiency-oriented skyscraper architecture or the standardized output of the great American studio-corporations that Zevi proposed, but rather the work of a great and isolated genius, a courageous pioneer gazing toward the boundless horizons of the frontier. For Zevi, Frank Lloyd Wright was the master Italy needed.
In sixty years of tireless work, Zevi constantly disseminated the ideal of freedom he imbibed in the transcendentalist, democratic, Rooseveltian United States. He wrote an enormous amount, edited two journals, contributed to L'Espresso on a weekly basis, founded and refashioned a series of books, invented cultural centers and associations, and influenced legislation on building, urban planning and the environment.
When asked for a personal description, even in just a few lines, Zevi always wrote "follower of Carlo Rosselli and member of the Partito d'Azione".

He had been trained during the "long journey inside Fascism" recalled by Ruggero Zangrandi. He was also a friend and schoolmate of Aldo Natoli, Paolo Bufalini and Mario Alicata. But the wandering, rebellious and libertarian spirit of his Jewish culture always kept him well away from any adherence to Marxism. The paramount and indissoluble value for Zevi was always freedom as opposed to any imposition,  rule or dogma, even if progressive.
He studied at Harvard with Walter Gropius, the primary advocate among modern architects of teamwork and the channeling of individuality into a common objective. Gropius regarded the acceptance of compromises on individual freedom as necessary for social renewal and a collective movement of real change. If we switch from the architectural to the political perspective, this was the position adopted by many Italian intellectuals. Marxist ideas meant such a great liberation for mankind that the lack of freedom in the countries of real socialism was seen as a necessary compromise.
In short, even though Walter Gropius constituted the architectural reference point for Zevi's friend Giulio Carlo Argan, an art historian with Marxist leanings, Zevi himself saw Gropius, his own master, as someone to be rejected. Value for Zevi lay always and exclusively in the individual, in what Frank Lloyd Wright called "individual sovereignty."

This attitude, which had a long history in the United States  (from the Pilgrim Fathers and the Mayflower to the key values of Thoreau's Transcendentalism in the 19th century, to the Beat Generation of Ginsberg and Kerouac) led the Italian Zevi to embrace the political ideas of Rosselli and Parri and the philosophy of Aldo Capitini.
For Zevi too, liberation from the restrictions and prohibitions imposed on the individual was something to be pursued as a personal conquest through constantly renewed endeavor. This "open-ended" path was also a value he sought in art and architecture, what he looked for in spontaneous, popular aggregates, in the secondary landscapes of Pop Art or in architecture that was never a masterpiece of achieved and embalmed perfection but always the manifestation of renewable life.

His central question of freedom in a discipline of universal impact such as architecture and the association of the concept of freedom with that of extreme individualism is an issue I would welcome discussing in greater depth with everyone.

Biographical Notes
At this point, I'm not sure how many of you, especially the students, have followed my train of thought.  I don't see this occasion as one to speak  to only those already aware of these things, perhaps through personal experience, and thus able detect various nuances. I  therefore would like to recall, for students in particular, some stages in Zevi's life, starting with a phrase he once wrote privately: "We must fight for ideas and not for people, who are of relative importance."
Having been forced into exile by the racial laws in 1939, he worked as editor of the Quaderni Italiani in the United States and helped to organize the Resistance movement from London before returning to Italy in 1944 and immediately expanding his activities to include both the political and the cultural spheres.

He made a massive contribution during Italy's early years of national reconstruction. He founded the APAO (Associazione per l'architettura organica), a center for discussion, action, and political and architectural hopes that overflowed into the rebuilding of Italy. He led the efforts on the part of young Roman architects to block the "arch and column" design for the Termini Railway Station and succeeded in prompting a competition from which emerged one of the most splendid and vibrant solutions of postwar Italian architecture. He worked together with Mario Ridolfi and Pier Luigi Nervi on drawing up the Manuale dell'Architetto, an indispensable professional tool for Italian architects. He was co-editor of Metron, which published important writings by his older colleagues Luigi Piccinato and Giuseppe Samonà. He founded L'Architettura in 1955 and wrote a weekly column for L'Espresso in support of the architecture and urban planning battles that he was also carrying forth through the InArch (Istituto nazionale di architettura) and Adriano Olivetti's INU (Istituto nazionale di urbanistica). His work as critic and teacher was intertwined over the years with his action in the civic sphere.

He campaigned against the gerrymandering electoral law of 1953 and took the students' side in the revolt of 1968.  He always opposed any cultural sellout, even at the risk of his personal safety. He was among the first to realize the need to use the freedom of the airwaves as a tool for the communication of ideas and founded Teleroma 56 in 1976. He came into contact and then clashed with the Italian Socialist Party in the early 1980s. He became a member of Parliament and president of the Radical Party but said "No" once again when outvoted on the question of grouping in the European Parliament.
In short, Zevi was also a man of opposition. He saw himself only in opposition to barbarity, war, dictatorship, the Holocaust, and architecture as the expression of systems, ideologies and political organizations.

Contributions to Architecture
Zevi created key pillars of our professional culture and the way in which we architects understand and perform our work. I shall  briefly outline what I see as the five fundamental contributions he made through his work.
At the age of twenty-seven he introduced a defeated and inward-looking country to the ideas of Frank Lloyd Wright. Verso un'architettura organica (1945), written in London during the Blitz by a recent Harvard graduate, prophesied a revolution in our conception of the relationship between architecture, nature and man that only Edoardo Persico had previously glimpsed. His capacity for work and promotion surrounded this discovery with countless initiatives that played a part in Italian reconstruction. This injection of new life would itself suffice to make Zevi a central figure, but Zevi has still another four cards to play.
The second contribution is contained in his Saper veder l'architettura (1948),  translated into twenty different languages. Architecture is taken back to its true center: the creation of space, the ability to mold the void. The idea was already present in the writings of Alois Riegl at the beginning of the century, but it was Zevi who made space the fundamental interpretive category of architectural criticism. And as I pointed out earlier, this is not an aesthetic but an "ethically functionalist" matter.

At the age of thirty-two he published a great tome, namely the first Storia dell'architettura moderna (1950, expanded in 1975 and again in 1996). In this book Zevi measures swords at a distance with another work of history, although not actually called that, written by Giedion. While the latter put forward a construction in line with the position of the CIAM and the work of Gropius and Le Corbusier, Zevi presents not only the relationship between man, nature and architecture he had found in Wright but also the parallel, heretical histories of figures overshadowed by the CIAM line such as Olbrich, Gaudí, Mendelsohn or Scharoun, who assume a central role in his discourse.
The fourth conquest came in the 1960s. In the wake of studies on Biagio Rossetti, Michelangelo and Borromini, Zevi undertook a reading of the past through the spatial categories he had discovered in contemporary architecture. It was this approach, especially in his university teaching, that led to "a modern history of architecture from the prehistoric era to the present". The formula applied was operative criticism, or more precisely  historical criticism. It is only through historical knowledge that we can "demonstrate that Michelangelo and Borromini have more to offer than Gropius or Aalto because they were more courageous and inventive in their linguistic context".
The last stage of this intellectual construction came in 1973 with Il linguaggio moderno dell'architettura, which condenses all of Zevi's beliefs, an anti-code establishing a series of rejections (no to monumentalism and symmetry) and the principles ? not the rules ? of the seven invariants. I recall them here because of the importance he attached to them:  Inventory of contents and functions, Asymmetry and dissonances, Anti-perspective three-dimensionality, Four-dimensional decomposition, Projecting and membrane structures, Temporalized space, and Reintegration of building, city and territory. A modern code starting from the Paleolithic era.

Organic architecture, Space, Beyond Giedion, Historical criticism and the Invariants are five conquests that would suffice to fill five lives of study and do not even include many other activities, e.g. the journal L'architettura and the creation of the Istituto nazionale di Architettura and the Comitato internazionale dei critici di architettura.
The construction was, however, completed with Il linguaggio moderno dell'architettura. It was possible to disseminate it and to take up the cudgels when required, case by case, but the only authentic goal Zevi could set himself was that of wiping the slate clean and starting again from scratch.

The result was his Controstoria e Storia dell'Architettura, published first in inexpensive installments and then in a richly illustrated set of three volumes in 1998. It had taken over "thirty years to produce an anti-history of architecture in Italy, a 'De Sanctis of urbatecture' (urban planning + architecture)". Criticism and architecture are positive only if they are antagonistic, if they combat habits, standards and rules in order to assert the original value of artistic endeavor. The architectural project, in itself a prosaic compromise between function, construction and beauty, must endeavor to go further. Function  becomes striving toward human and organic spaces, construction  marks the audacity of the dynamic conquest of space, and beauty is wiped out so as to start again from the zero degree. An embalmed idea of "beauty" susceptible of canonization is in fact non-existent and extraneous to any sort of modernity. The book ends with these words: "The last value handed down to the third millennium is connected with the relationship between modern architecture and liberal-socialist democracy. This sphere reverberates with the testimony of Terragni, Persico and Pagano, for whom modernity ? the modernity that, according to Baudrillard, makes a value and a contradictory morality out of crisis and generates an aesthetic of discontinuity ? was synonymous with ethical and civil life. Architecture is the thermometer and the acid test of the justice and freedom rooted in a human society. It deconstructs the homogeneous institutions of the establishment, censorship and premeditated devastation, and plans organic scenarios. There is no architectural poetry outside of a committed, anguished and disturbed modernity."

Modernity is not a value that can be linked to time. It is a state, a tension, an awareness that "makes a value out of crisis". I believe that this idea of modernity is one of the fundamental keys to Zevi's thought. He communicated it very forcefully in one of his last lectures when, pointing to each of those present, he said, "I am happy because I know that if I should feel myself going at any moment, I can turn to any one of you and ask you to carry on."
I could talk at length about the "post-Zevi" period and in particular about the work of the Universale di Architettura publishing series that he founded, but this is a Conference about Zevi, not about us and our ideas and the way we work and think.
Let us instead turn to the final "Half point" because the time has come to end. Zevi once said that a conference was either political or  pointless.
For this final half point, I should like to read you some extracts from one of his important books. Zevi brandishes the saber on many occasions because he knows that he has to communicate quickly and forcefully, but this book instead contains essays that are almost scholarly and scientific in structure, essays that start from the continuum and arrive at Brunelleschi, Borromini and Mendelsohn. This is what Bruno Zevi wrote in Pretesti di Critica architettonica (Einaudi, 1983) in the chapter on the crisis in architectural teaching:
 

"Let us examine the cosmetic mini-reform enshrined in a decree of 1982. It stipulates that the degree course in architecture is to be divided into no fewer than nine "disciplinary areas": 1) architectural planning, 2) territorial and urban planning, 3) history, criticism and restoration, 4) technology, 5) plant engineering, 6) physics and mathematics, 7) building science and technology, 8) socio-economics, and 9) representation. In addition, the degree course envisages four majors: a) architectural planning, b) preservation and rehabilitation of the historical architectural heritage, c) technology, and d) urban planning, but other majors can be instituted by the individual faculties, probably design and philological historical studies."
It is really difficult ? continues Zevi - to imagine a crueler and more perverse dismemberment of a discipline.

What comes next? Let us see.

 
"In any case, the university "departments" themselves prove deadly for architecture. By separating architectural research from urban planning, history and criticism, technology and so on, they aim at cultural self-sufficiency and are thus accomplices in the murder of architecture. Instead of reasserting the principle of disciplinary homogeneity, the law should have established the unacceptability of non-interdisciplinary departments."

I shall end here with a passage enumerating the bizarre and spurious subdivision of subjects, the bogus distinctions between "history of urban planning", "history of the city and the territory" and "history of the urban and rural landscape", between "technological culture of architecture" and "architectural technology".

"Not even in a state of inebriation is it possible to excogitate so many subjects. Devoid of all cultural compunction, the Italian university appears to be bent on the ever-increasing proliferation of chairs and disciplines, a crazy factory of professorships with assembly lines churning out exams and graduates."


At this point the audience burst into applause and the address came to an end. A complete video-audio recording is available via the Internet at
http://w3.uniroma1.it/saggio/Filmati/ZeviSapienza/SuZevi.Html

Antonino Saggio

Many thanks  go to Mr. Paul Metcalfe for the Translation into English and to Mrs Loretta Schaeffer who collaborated with the author for the final editing of the essay
 
 


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