Antonino Saggio I Quaderni

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6. Gehry: Liquefare/ to liquefy



 

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Il materiale proviene principalmente da
Antonino Saggio, Frank O. Gehry, Architetture residuali,
Testo&Immagine, Torino 1997
a cui si rimanda per approfondimenti ed una esauriente trattazione dei temi esposti.


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Centro EMR, Bad Oeynhausen Germania 1992-1995

Il programma riguarda la produzione, lo studio e la diffusione di energie alternative e altrettanto stimolante è il sito con un fronte urbano e l'altro verso un cuneo di verde semi-agricolo. Il progetto presenta il ribaltamento di una precedente impostazione: nell'Edgemar i percorsi erano un liquido che scavava la massa, qui sono i fabbricati che si spandono fluidamente all'intorno. Gli uffici, le sale riunioni, la piccola centrale di energia, l'atrio creano una figura che può essere letta alternativamente come pieno o vuoto. È la presenza dell'architettura nel paesaggio la chiave o una sua interpretazione "idrogeologica" come vediamo nelle mappe delle aree di bacino dei fiumi?


 
 


 


 




 

Casa Lewis, Clevaland, Ohio 1989-1995

Gehry e il novantenne Philip Johnson progettano la casa senza reti, per rigenerarsi. Il programma di 2200 mq prevede un misto di aree pubbliche e di aree private per la ricca famiglia e diversi per gruppi di ospiti. L'ultima di una serie numerosissima di versioni, ha quattro igloo (pranzo, soggiorno, camera da letto, studio) che si rifrangono su uno specchio d'acqua. Questi volumi fuoriescono da un meandrico drappeggio che termina su un lato con il garage (con sopra la casa del personale) e sul lato opposto con la vasca per il nuoto. Sull'altro lato un pezzo meccanico (una specie di casa eremo) si incastra nella hall-galleria, mentre isolata è la casa degli ospiti. Come un guanto continuamente girato su stesso interno e esterno si mescolano e un sentire sottomarino, fluido, marsupliale emerge. Si è inaugurata una nuova fase o è solo un espe-rimento? Questa casa in continua evoluzione riporterà, per una nuova via, al non finito che aveva segnato il vero esordio di Gehry a Second Street?
 
 


 

DZ Banca, Berlino, Ohio 1998-2000


 

Progetto per Times Square, New York, 1997
 

NUOVE RETI. FRANK GEHRY A TIMES SQUARE  di Antonino Saggio
       pubblicato su "Il Progetto" n.2, febbraio 1998 (p. 17).

Frank Owen Gehry emerge nello scenario internazionale dell'architettura con un opera del 1978. È la ristrutturazione della sua casa a Santa Monica nella quale, sostanzialmente d'improvviso, un cinquantenne professionista rivela a se stesso e al mondo un sentire nuovo: gli scarti, i rifiuti, la periferia tormentata diventa il centro di una nuova estetica. È una rivoluzione per l'architettura perché Robert Venturi, pur teorizzando da anni la necessità di una apertura alla società di massa, non era riuscito a proporre costruzioni che superassero ironici e intellettualistici connotati neodecorativi. Gehry capisce invece che il ribaltamento deve essere totale. Affonda la sua ricerca non solo nella pop-art, ma anche nel neo espressionismo americano di Pollock e di Rauschenberg e su questa via affronta il problema del non-finito, dell'imperfezione e del mutamento quali basi della nuova sensibilità.

La scoperta di questa architettura residuale si sviluppa negli anni seguenti in una serie di opere (Casa Wagner, Spiller, Norton) e trova la sua legittimazione nella formula del cheapscape. Un'idea di paesaggio moderno basato sui residui, gli scarti, le povertà del mondo industriale ma che rivela, allo stesso tempo, nuove gioiose e vitali potenze. Niente affatto trascurabili in questa ricerca sono i materiali che l'architetto, con la passione del bricoleur, usa. Compensati non trattati, asfalto, ondulati plastici, cartone e soprattutto le reti metalliche che, dai miseri recinti delle bidonville, arrivano nelle sue costruzioni.
 

Durante la metà degli Ottanta, alla prova di edifici più complessi delle abitazioni unifamiliari, Gehry trova altre chiavi. L'edificio-manifesto, che sviluppa un'idea già insita nella pop-art e che adotta nel Museo dell'aeronautica di Los Angeles, il vuotometrico, ovvero la presenza dello spazio pubblico quale motore di volumi parlanti e danzanti (come nell'Università di Loyola al centro di Los Angeles), oppure il tema della fessurazione come nel complesso Edgemar a Santa Monica.

Con il Museo per la Vitra nella seconda metà degli anni Ottanta, Gehry individua un'altra arma: è la traiettoria plastica, di boccioniana memoria. Architettura e scultura si fondono una con l'altra per irradiare di sé l'atmosfera lanciando traiettorie che scuotono l'intorno. Sotto questa luce si possono vedere tre grandi opere come il Centro americano di Parigi, dove gli scontri tra le masse si rafforzano nell'interpretazione del luogo, l'Auditorium Disney di Los Angeles dove la tensione dell'architettura a pervadere di sé l'esterno è ispirata al movimento vegetale di un fiore e soprattutto l'oggi inaugurato Museo di Bilbao, in cui volumi meccanici si incastrano e si espandono a partire da una intersezione urbana.

L'esito di questa opera, celebrata, è una monumentalizzazione del cheapscape che passa attraverso una serie di forse inevitabili contraddizioni in termini. Le due principali sono l'armatura metallica e l'altrettanto costossimo rivestimento in titanio: un paesaggio residuale e meccanico diventa carissimo da fare, in ogni caso è una strada preclusa ai più. Naturalmente, sono aspetti legittimati dall'importanza mondiale dell'opera, ma ribadire sempre e solo questa strada, isterilirebbe la ricerca e Gehry, genialmente, vuole e deve andare ancora avanti.

Guardiamo con molta attenzione allora questo recentissimo progetto per Times Square. Gehry innanzitutto parte da un rifiuto, non fa un macro pesce, un enorme binocolo o un mega televisore come avrebbe fatto a metà degli Ottanta perché sa che è una strada senza uscita. Non propone neanche un macro oggetto plastico, come a Bilbao, perché qui ha il coraggio di superare anche la sua ultima maniera. Parte in sordina con quello che, eliminato quanto sopra, appare l'unico inizio praticabile: un'ossatura scarnificata con appesi, graziosamente ma nulla più, una serie di schermi. Sente però che l'idea è misera e procede oltre. Nel progetto intermedio inserisce ondeggianti lamiere nella griglia e un grappolo di rete metallica in cima, a mo' di monumento a se stesso. È ancora deludente, ma in nuce ha la soluzione.

Nell'ultimo progetto, capisce che è proprio la rete, il tutto. Avvolge in un meandrico e trasparente drappeggio tutta la costruzione. La rete entra e esce, si avvolge su stessa e avvolge le informazioni, gli schermi, le icone, le proiezioni, i pupazzi pubblicitari.

È un idea straordinaria, che siamo felici di pubblicare tra i primissimi. È insieme metafora vibrante del nostro essere oggi, del nostro sentirci parte di una globalità planetaria e di contribuire a fare un nuovo paesaggio. È una nuvola virtuale che ci trasmette i connotati di una ineditamente complessa naturalità informatizzata. È anche la ripresa stimolante di un discorso antico e vitale. Nuova rete, nuove reti.


 



A seguire ne "La rivoluzione Informatica"

appendice su Gehry Digitale, volume a cur di Bruce Lindsey ne La rivoluzione Informatica

leggi / read preface Flying Carpets


 


Experience Music Project, Seattle, WA, under construction, March, 2000


4. Experience Music Project, Seattle WA, skin panel layout facilitated with
shape grammar software developed in house for the project

 
 


Experience Music Project, Seattle, WA, computer model showing skin development

Weatherhead School of Management, Case Western Reserve University,
Cleveland, OH, CATIA drawing

Ray and Maria Stata Center, MIT Cambridge Ma 2002-2004

Louis Vuitton Foundation, Paris 2009-2014



 


 
1. Assemblare
2. Spaziare
3. Separare
4. Fondere
5. Slanciare
6. Liquefare 
 


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1. A.
 


5. Image from software being developed to facilitate skin design
 
 
 

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