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  LetteraVentidue Edizioni

        Imprinting 


Imprinting
collana ideata e diretta dal 2023 da
Antonino Saggio



"Imprinting: A Series to Revitalize Italian Architecture"

"Behind all our intentional activities, behind our domestic world, there is this ideal landscape created during childhood. It traverses our selective and self-censored memory, like a myth and an idyll of how things should be, the lost paradise to be regained." - Colin Ward

"Imprinting" aims to present personalities who have reached a full expressive maturity and can demonstrate to the national and international culture that Italian architecture has been reborn. To present this rebirth, the series replaces the narrative based on language, style, and ideology - as it was in the 1970s for Aldo Rossi and Giorgio Grassi's "La Tendenza" - with a different narrative. Firstly, a central role is played by the presence of a native landscape - from the Alps to Sicily - as mutable in the different Italian regions as a source of inspiration and continuous reflection for the architects featured in the monographs. Italy is a country of a thousand landscapes, and these landscapes operate within sensitive personalities like enzymes in the creative process: a continuous rethinking, a creative turmoil, a perpetual betrayal of the obvious and the easy. No one has our landscapes, no one has this richness, and no one, like our best architects, can make us feel how this transforms into today's architecture with a thousand rebounds, a thousand negotiations, without any nostalgic memory, without any given genius loci once and for all. But by recreating and reinventing every time. This process and this search for an "ideal landscape" give the name to the Imprinting series.

The second aspect characterizing the series is the bond that the architects featured in the monographs weave with a particular Italian master, a kind of ideal father. This bond demonstrates how rich in ideas and teachings our architectural culture has been and how fertile it still is. The third aspect concerns the concrete development of the project. Whether in freehand drawing, clay models, painting, computer possibilities, or a Socratic relationship with clients, each architect has developed a particular "how" of designing that is a stimulus, reflection, and perhaps emulation for readers still in their formative stage. The new Italian architecture has not risen from the ashes of a linguistic approach but has instead understood how to leverage the richness and variety of its landscapes, the vitality of its architectural culture, and the transformation of the difficulties of our country into resources for architecture. It has been very difficult, but ultimately, once again, we have miraculously succeeded.



Per rilanciare l'architettura italiana


Da anni i miei colleghi all’estero mi dicono: «Ma che succede all’architettura italiana? È dai tempi di Rossi e della Tendenza che non sappiamo più nulla di voi!».
Rimango sempre interdetto. Ma da un poco di tempo ho cominciato a pensare a questa crisi. «Ma non è vero – mi dicevo – noi abbiamo almeno una dozzina di architetti di grande valore. Ma com’è che anche questo amico così colto e importante non ne sa nulla?»

Non so come, ma una volta ebbi l’illuminazione. Non la conoscono la nuova architettura italiana perché la “narratività” è sbagliata. Loro pensano a un nuovo stile unitario perciò
non capiscono il valore di questi nostri architetti. Bisogna sostituire alla narrazione antica (lo stile metafisico condito di “architettura cittadina” della buonanima di Marcello insieme alla passione pure ideologica per la Stalinallee) una diversa chiave interpretativa.
Il primo elemento di una nuova narrazione deve far comprendere che il valore non passa affatto per un nuovo stile. Un linguaggio comune semplicemente non c’è in Italia. Tutto
è cambiato e anche l’antica categoria dello stile è defunta insieme all’ideologia. Il fatto che non ci sia uno stile omogeneo è, invece che una debolezza, una forza di questa nuova condizione. Ma come faccio a dare forza al concetto?
A un certo punto ho avuto la seconda idea. Mi dissi: «Ma certo! Bisogna far capire l’Imprinting».
Da tre decenni ci penso. Deriva da una miscela. Da una parte c’è Konrad Lorenz. Ricordate quando il grande etologo coniò il termine? Illustrava il fatto che gli essere viventi nei primi tempi della loro vita costruiscono dei luoghi mentali che costituiscono la loro presa di coscienza del mondo. Compì l’esperimento con le ochette orfane che si fecero convinte che lui, Konrad, fosse la loro madre e per tutta la loro vita si rapportarono con lui come la mamma. Questa scienza è. Ma pensai, secondo me noi animali umani facciamo di più. Creiamo questo Imprinting non solo con le persone ma anche con i luoghi.

I luoghi della nostra infanzia vengono a costituire un “paesaggio nativo” o meglio: «Dietro a tutte le nostre attività intenzionali, dietro al nostro mondo domestico, c’è questo paesaggio ideale creato durante l’infanzia. Esso attraversa la nostra memoria selettiva e autocensurata, come un mito ed un idillio di come le cose dovrebbero essere, il paradiso perduto da riconquistare», scrisse Colin Ward.

Ora mi domandai, ma vero è? E cominciai a fare delle verifiche. Cominciai a lavorare sull’Italia e mi chiesi: «Qual è il paesaggio perduto di Terragni?».
 Beh non è difficile, una volta così impostata la questione. È il cardo decumano del castrum romano. È l’astrazione razionale, il dominio delle regole umane sulla natura. E d’improvviso capii la Casa del Fascio. Questo prisma astratto che domina la vetta di Brunate che lo sovrasta. Vince il cardo decumano che vediamo dappertutto nella Casa del Fascio sul paesaggio.
 In Padania insomma permane l’Imprinting di quell’infanzia mitica del segno astratto di fondazione per riemergere, anche secoli dopo, nelle menti più sensibili. Aldo Rossi che dipingeva la Milano della periferia da ragazzo non poteva che essere lombardo.
 Poi mi chiesi: «E al Sud che succede, la stessa cosa è?
Lo stesso Imprinting c’è?» No, è diverso.
 Lì il mondo come deve essere è quello dell’infanzia mitica greca. È l‘ara che si erge come inno al cielo e agli dei. È una architettura mono-materica dal chiaroscuro abbagliante che appunto ricorda la nascita della stele, dell’altare, del tempio in cima al monte. Il mio primo test fu con Pasquale Culotta. Non v’erano dubbi, era un’idea che con Pasquale funzionava a meraviglia, lo rivelava, lo interpretava, forniva le giuste chiavi di lettura della sua architetture a Cefalù e dintorni.
 E poi mi dissi: «E al centro di questo nostro paese, che succede? È romano?». No, non è romano questo è il bello: non è affatto romano, ma etrusco. L’infanzia perduta e sempre ricercata in questa regione d’Italia è quella dove l’architettura 
si da come matrimonio con l’ambiente. Una terra vulcanica in cui si scava il tufo per fare i percorsi sacri nelle vie cave. È lì dove emerge una relazione sezionale tra architettura e natura.
Alessandro Anselmi fu il mio primo test. E naturalmente ancora altri con Piranesi, e il frammento, e la scena urbana. Funzionava. Almeno tre macro Imprinting esistono in Italia,
al Nord vince la pianta e l’astrazione romana, al Sud vince il prospetto della Magna Grecia e al centro vince la sezione, potevo anche aggiungere ricordando un pezzo di Franco Purini su “Casabella” del gennaio del 1991.

Fermiamoci qui. Avevo l’idea della narrazione nuova per disegnare una collana. Mi dissi voglio solo architetti italiani, affermati, maturi. Niente promesse. E voglio autori-critici di prim’ordine. O giovani che mi conoscono bene e che vogliono “imparare” ancora da me, oppure vecchi amici con cui ho lavorato alla Universale di architettura. Ricordate “gli architetti” con la Testo&immagine e Marsilio?
O la Rivoluzione Informatica in Architettura con Birkhäuser, Edilstampa e Testo & Immagine?
All’estero devono capire che l’Italia è paese dei mille paesaggi, e che questi paesaggi nativi operano dentro le personalità sensibili come enzimi del processo creativo. E che questo è tesoro unico, ed è la nostra particolarità, altro che linguaggio. Un continuo ripensamento, un rovello creativo, un perenne tradimento dello scontato e del facile. Nessuno ha all’estero i nostri paesaggi, nessuno ha questa ricchezza e nessuno come i migliori architetti nostri può far sentire come ciò si trasformi in architettura di oggi con mille rimbalzi, mille negoziazioni, senza nessuna memoria nostalgica, senza nessun genius loci dato una volta per tutte. Ma ricreando e reinventando ogni volta. Nei sentieri antichi non si torna uguali a prima.

«Altre ali fuggiranno dalle paglie della cova | perché lungo il perire dei tempi | l’alba è nuova, è nuova» scrisse il poeta materano Rocco Scotellaro.
 Capiremo così insieme perché Franciosini è umbro, Pujatti non può che essere friuliano, Peluffo genovese, Vaccarini marchigiano, Luciano Pia torinese, Zucchi, per la miseria, milanese e Gambardella, Song’e Napule è.
 Ora, parlai del mio progetto con l’editore nella figura dell’architetto Francesco Trovato. Credo che ci mise 24 ore a dirmi di sì. Poi gli dissi e come la chiamiamo «Architettura e architetti contemporanei italiani?». «Ma quando mai! Imprinting la dobbiamo chiamare!», mi rispose. 
E adesso avevo nome e editore. Poi mi dissi ma basta questo concetto ad inanellare le perle della collana? No una triade si deve fare mi dissi.

Ed ecco il secondo elemento, “Il maestro“. Vuol dire che volenti o nolenti di architetti l’Italia di maestri ne ha tanti.
E ognuno di questi maestri, per gli architetti che sopra abbiamo nominato ad esempio, è punto di studio, di riferimento, di dialogo. Un dialogo da pari a pari, ma maestro 
è maestro e tale rimane. Possiamo capire mai Zucchi senza Caccia Dominioni, Pujatti senza Gino Valle, Peluffo senza De Carlo? Dobbiamo di nuovo far capire ai nostri amici d’oltrealpe con chi ci hanno a che fare. Che ci abbiamo anche questa cosa, che hanno pure loro, certo, ma non la stessa proprio. Infine è mezza vita che lavoro non solo sui libri miei, ma soprattutto su quelli degli altri. E la mia fissazione è avereuna scrittura “pertinente”, che parli della spazialità, della costruzione, dell’invenzione, dell’uso e delle difficoltà del fare
 – in Italia folli e al Sud pure di più. C’è bisogno di una scrittura che sia vicina “al come”, questo è il terzo elemento della triade. Perché chi legge capisca – ed emuli se vuole – chi ha nel disegno a mano, nel Bim, nel plastico in creta o nel modellino in cartone riciclato, la chiave della sua casa-architettura.
 Una chiave che apre il processo che poi ciascuno sviluppa
 con consulenti e collaboratori e a suo modo. 
Una triade Imprinting-Maestro-Processo.
 Ecco i tre fili che intrecciati tra loro tengono insieme i libri di questa collana.

A. S. Siracusa, agosto 2023





1. Luigi Franciosini

di Gaetano De Francesco
l'Autore del libro consegue il dottorato di ricerca in Architettura - Teorie e Progetto presso la Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma, dove svolge attività di ricerca e di assistenza alla didattica nei corsi di progettazione architettonica e urbana. Nel 2018 fonda DFR Architecture, studio di Architettura con sede a Roma che investiga la condizione contemporanea dell’abitato e che si configura come un laboratorio permanente che ibrida la pratica professionale con la ricerca accademica. Autore della ricerca Infrastrutture dell’acqua, ha curato volumi, articoli e saggi su magazine online e riviste di settore e ha partecipato a workshop, convegni e conferenze in qualità di speaker e di docente.

Luigi
                                  Franciosini Imprinting


Iussu Preview

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....L’“ecologia etrusca” e cioè l’aspetto culturale, simbolico religioso e la presenza del mondo naturale di quella civiltà è un insieme profondamente coeso. La cultura modella gli esseri umani e gli esseri, umani e non, parlano alle piante, ma allo stesso tempo, non esiste materia inerte in questo mondo. La terrà è viva, la terra ci parla, ci ascolta e noi essa ascoltiamo. Ebbene questo è esattamente il punto. Franciosini da architetto etrusco quella terra la “ascolta”, quasi da aruspice la interpreta e ci dialoga continuamente. La parola ha un nome nella cultura architettonica. Si chiama “suolo”....

dalla Prefazione


Luigi
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Luigi
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Luigi
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Luigi
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Luigi
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1. Stefano Pujatti

di Michela Falcone
l'Autrice del libro architetto, lavora a Londra dove è docente all’Architectural Association e coordinatrice e senior lecturer del programma Interior & Spatial Design alla Buckinghamshire University. Ha lavorato come architetto in studi internazionali come Shigeru Ban, UNStudio e Zaha Hadid, partecipando a progetti dalla fase di concept a quella di cantiere. Il suo lavoro e le sue installazioni sono state esposte, tra gli altri, alla Biennale di Lione e all’Open House Roma. È curatrice della piattaforma web Experimental Architecture e ha preso parte alla giuria di concorsi internazionali di architettura. Da gennaio 2024 sarà mentore per il programma WIA Women in Architecture.
Stefano
                                  Pujiatti Imprinting


Iussu Preview

Stefano
                                    Pujatti Imprinting


... Il Friuli arido e petroso, ma luogo mitico per tutti quelli che vi provengono, è terra d’emigrazione. Di grandi muratori per esempio, e non mi dilungo su dettagli familiari. Tutti conoscono la tradizione dei maestri comacini, ma anche i maestri friuliani sono una risorsa inesauribile. A riprova non ho ancora citato il grande Marcello D’Olivo, friulano di Udine.
Pujatti si trova in questo libro, perché il suo talento e la sua bravura lo fa appartenere da una parte a questa tradizione rafforzata nel suo caso da una solida formazione con Gino Valle proprio allo Iuav, dall’altra presenta un secondo aspetto caratterizzante di questa terra. L’andare con coraggio alla scoperta del nuovo....

dalla Prefazione


 Stefano
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Stefano
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